«Libero Pensatore» (sempre)

Autentica delle firme nelle liste elettorali

La sezione quinta dei giudici di Palazzo Spada, con la sentenza 31 marzo 2014, n. 1542, interviene nel delineare – sul piano formale – i requisiti necessari per rendere valida la sottoscrizione delle liste elettorali per le elezioni amministrative in piena osservanza dei precetti del Testo unico della documentazione amministrativa (ex D.P.R. n.445/2000).

L’intera vicenda, attinente alla irregolarità dell’ammissione alla competizione elettorale di candidature “illegittimamente” autenticate e qualora accolta, tale posizione processuale, si produrrebbe l’effetto derivato di invalidare l’esito elettorale (la proclamazione degli eletti)[1].

In prime cure, il ricorso veniva respinto rilevando che l’autenticazione delle firme risultava sostanzialmente corretta e che l’unica “irregolarità” riguardava la successiva apposizione del timbro non disponibile al momento della sottoscrizione (tale mancanza non è di per sé idonea a inficiare le operazioni di autenticazione si sosteneva nella sentenza).

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La nuova comunicazione informatica

Con la riforma del procedimento amministrativo e l’adozione del codice dell’amministrazione digitale si è dato un forte impulso alla comunicazione informatica e più in generale all’uso della telematica nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati individuando una linea di sviluppo improntata all’efficienza e alla riduzione dei costi amministrativi, in una prospettiva di spendig review.

Questi nuovi meccanismi procedimentali hanno trasformato il sistema della comunicazione pubblica attraverso l’uso degli strumenti informatici e telematici e la fruibilità di questi sistemi on line, consentendo alla p.a. di trasferire informazioni, dati, documenti, provvedimenti con questi supporti telematici, dando diritto ai cittadini e alle imprese a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi (ex art. 3 del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n.82), riconfermando che con l’uso della telematica, sia nei rapporti interni che esterni la p.a., si intende conseguire maggiore efficienza e produttività, oltre alla diminuzione dei costi.

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Mobbing e assetti organizzativi

L’organizzazione del lavoro pubblico fonda i propri pilastri nell’articolo 97 della Costituzione ove viene postulato che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”.

Nella sua chiarezza espositiva, la norma primaria mette in relazione gli aspetti della “riserva di amministrazione” da quelli del perseguimento dell’“interesse pubblico” sin dalla definizione degli assetti organizzativi, prefigurando un’attività amministrativa finalizzata a coltivare il “fine pubblico” con una struttura adeguata allo scopo.

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Indenizzo per il mero ritardo della p.a.

L’articolo 28, della legge 9 agosto 2013, n. 98 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto -legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, introduce il diritto per l’interessato di chiedere un indennizzo, sino alla somma massima di euro duemila, per il “semplice ritardo” della pubblica amministrazione, nella conclusione dei procedimenti amministrativi iniziati a istanza di parte, precisando, in prima applicazione e in via sperimentale, che l’efficacia di tale istituto avviene esclusivamente per i procedimenti relativi all’avvio e all’esercizio di un’attività d’impresa iniziati successivamente all’entrata in vigore della legge (21 agosto 2013).

Inoltre, l’articolo citato integra l’articolo 2 bis della legge 241 del 1990 con l’estensione dell’indennizzo da “mero ritardo”, alle condizioni e con le modalità da stabilirsi con apposito atto normativo, a tutti i procedimenti ad istanza di parte, precisando che le somme corrisposte o da corrispondere vanno detratte dal risarcimento del danno.

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Strade vicinali

La servitù (diritto reale sulla cosa altrui) di uso pubblico su una strada di proprietà privata (da non confondere con le strade vicinali private formate “ex collatione privatorum agrorum” di proprietà dei conferenti) è caratterizzata dall’utilizzazione, da parte di una collettività indeterminata di persone, del bene privato idoneo, quest’ultimo, al soddisfacimento di un interesse generale.
La prima conseguenza comporta che tale “uso” incide sull’utilizzo del bene privato, bene che deve essere da una parte, idoneo allo scopo, dall’altra, essere effettivamente destinato al servizio della totalità dei cittadini (uti cives), quali titolari di un pubblico interesse (non uti singuli): la collettività si trova in una posizione “qualificata” (iura in re aliena) rispetto al bene gravato.
In questa prospettiva, le strade vicinali si caratterizzano per la proprietà privata del suolo, compresi accessori e pertinenze, mentre l’uso è in capo all’ente pubblico (e, in via strumentale, a tutta la popolazione), titolare di un diritto reale di transito (ex art. 825 c.c.); di converso quelle demaniali si identificano per l’appartenenza solamente alla P.A. (nelle sue articolazioni).

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Lavoro straordinario per esigenze indilazionabili

Nell’ambito del pubblico impiego, la prestazione di lavoro straordinario soggiace ai profili costituzionali dell’articolo 36 e alla manifestazione espressa dal datore di lavoro pubblico di avvalersi della prestazione oltre i limiti ordinari.

L’erogazione del compenso presuppone, in via generale, una concreta verifica della sussistenza di ragioni di pubblico interesse in primis, così da giustificare tale forma di prestazione eccedente il normale orario di servizio, in secundis una preventiva autorizzazione a copertura, da una parte, dei citati presupposti, dall’altra, della verifica del rispetto anche dei limiti di spesa fissati dal bilancio di previsione (Cons. Stato, sez. V, 26 agosto 2013, n. 4268).

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