La sez. Trento del TRGA, con la sentenza n. 30 del 8 febbraio 2019, delinea l’inammissibilità di un ricorso avverso un orientamento espresso dall’Amministrazione su una determinata questione urbanistica: parere preventivo privo di forza decisionale (rectius provvedimentale).
Il giudizio viene proposto da una Parrocchia contro un diniego dirigenziale che comunicava la non compatibilità tra la destinazione d’uso ricettiva di un immobile, avente destinazione turistico ricettiva, con l’esercizio extra-alberghiero di un “Bed and Breakfast”, e la precipitata impossibilità di esperire concretamente la vendita.
La sentenza risulta di interesse per aver espresso la distinzione tra atto provvedimentale (con l’esercizio dell’autorità pubblica) e l’atto privo di tale potere di incisione della sfera giuridica del destinatario.
La nota impugnata sosteneva che «l’esercizio di bed and breakfast è da considerarsi una casa privata in cui si offre ospitalità e pertanto a destinazione residenziale, viola la normativa provinciale. La residenza nell’immobile dell’esercente il bed and breakfast deve essere, infatti, intesa unicamente quale elemento coesistente allo svolgimento di tale attività ricettiva extra-alberghiera, ma non può invece confondersi con la necessità di una destinazione d’uso residenziale».
Nel merito, sull’inammissibilità del ricorso:
- la nota dirigenziale impugnata non ha contenuto provvedimentale;
- non costituisce la conclusione di un procedimento;
- neppure può essere riconducibile quale atto endoprocedimentale, dal momento che non esiste un procedimento avviato, tanto meno finalizzato al cambio di destinazione d’uso (peraltro, è noto che non è possibile, in via ordinaria, ammetterne una sua immediata impugnabilità, stante il suo carattere di atto non immediatamente lesivo delle situazioni giuridiche dei soggetti privati, ed inoltre quando non è suscettibile di determinare un arresto procedimentale)[1];
- la cit. nota suddetta, di fatto esprime un mero orientamento in ordine alla questione posta, senza assumere al riguardo alcuna determinazione.
Si tratta, nella sua estensione, di un “parere preventivo” richiesto al fine di valutare se dare o meno corso alla presentazione di una domanda in campo edilizio, non essendo di fronte ad alcuna manifestazione decisionale.
Appare utile segnalare, seguendo il percorso interpretativo dei giudici di Palazzo Spada[2], è pur vero che la Legge n. 241/1990 afferma una distinzione tra pareri (in senso ampio) e valutazioni tecniche: quest’ultime hanno un carattere valutativo fondato su regole di ordine tecnico e specialistico, ed escludono ogni apprezzamento diverso di opportunità, ma pur sempre all’interno di un procedimento istruttorio, che, ai sensi dell’art. 2 della cit. legge, dovrebbe concludersi, con un provvedimento espresso in tempi certi: la mancanza di una istanza si riverbera su un’attività di tipo orientativo e non di tipo dispositivo, mira di fatto ad ottenere una “attestazione” ossia “una dichiarazione di scienza”, e cioè un atto da formarsi e non un atto già formato in possesso della Pubblica Amministrazione.
Pare utile, ancora, segnalare per completezza espositiva la differenza tra:
- “attestazione” che è una dichiarazione di scienza “originaria”, in quanto riferita a fatti o atti direttamente percepiti o compiuti da chi la rilascia;
- “certificazione” che è sempre una dichiarazione di scienza, ma “derivativa”, riferendosi a fatti, atti o qualità non direttamente percepiti o compiuti da chi la rilascia, ma risultanti da elementi obiettivi, quali registri o documenti cui l’ordinamento giuridico riconosce una particolare efficacia probatoria, in quanto fa fede fino a querela di falso della provenienza del documento da parte del pubblico ufficiale che l’ha redatto[3].
Ne consegue che la nota interlocutoria, si presenta nella sua essenzialità come di un «atto di mera scienza, al quale è estraneo qualsiasi contenuto volitivo (contenuto proprio, invece, del provvedimento), con cui l’amministrato è stato preventivamente informato della posizione dell’Amministrazione sull’argomento, posizione che, nondimeno, non vincola quest’ultima rispetto all’eventuale provvedimento definitivo, che ben potrebbe discostarsene in forza di nuovi argomenti e di nuovi avvenimenti».
In termini diversi, la nota orientativa non riveste neppure la natura di atto endoprocedimentale, non vi è una lesione della sfera giuridica del soggetto destinatario dello stesso, essendo normalmente imputabile all’atto che conclude il procedimento.
Di converso, è acclarato pure che l’eventuale atto “endoprocedimentale” è impugnabile nel caso ricopra natura vincolata (pareri o proposte), idoneo come tale ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva capace di cagionare un arresto procedimentale: una evidente frustrazione all’aspirazione dell’istante ad un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato.
L’approdo di una tale dichiarazione di scienza è, quindi, inidoneo a determinare una lesione immediata, concreta e attuale dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio, con la conseguenza che non v’è alcun interesse giuridicamente tutelabile a ottenerne l’annullamento dal Giudice Amministrativo: l’interesse processuale presuppone, nella prospettazione della parte istante, una lesione concreta ed attuale dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio e l’idoneità del provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare il medesimo interesse sostanziale.
L’atto interlocutorio impugnato non ha espresso alcuna determinazione nell’an e nel quando, idonea a soddisfare l’interesse pretensivo o ad imprimere un indirizzo ineludibile alla determinazione conclusiva dell’Amministrazione: non avendo un autonomo carattere provvedimentale, non sussiste un effettivo e attuale interesse a ricorrere che sia idoneo a sostenere l’ammissibilità dell’impugnativa[4].
Neppure è ammissibile una domanda di accertamento, essendo la praticabilità di azioni di accertamento atipiche ed autonome nell’ambito del giudizio amministrativo da escludersi, a meno che essa non risulti concretamente indispensabile per la soddisfazione della pretesa sostanziale di parte ricorrente.
In mancanza di un procedimento amministrativo, di una attività discrezionale da valutare non vi è nemmeno una posizione di tutela degli interessi legittimi attraverso il quale si vaglia la legittimità del provvedimento amministrativo: il parere preventivo è privo di lesività visto che il presupposto perché venga adita la tutela giurisdizionale riposa nell’interesse alla decisione, derivante da una lesione (né paventata né futura né inattuale) ad una posizione giuridica attiva tutelata dall’ordinamento.
La Parrocchia non si è trovata di fronte ad una decisione definitiva ma ad un orientamento su una questione prospettata e non attuata (o voluta), le strade per giungere ad un pronunciamento definitivo necessitano di una attenta istruttoria a fronte (ma anche fonte) di una volontà concreta nel vedere riconosciuta una situazione sostanziale attraverso un atto provvedimentale, finché rimane un’idea non vi è un pronunciamento, e nemmeno si è persa un’occasione futura (la prospettata vendita) essendo anche questa incerta, ovvero un orientamento del privato che non giunge a compimento.
In termini più semplici, il “parere preventivo” richiesto rimane un orientamento privo di valore cogente e definitivo, con il riflesso che l’Amministrazione – in queste evenienze – non avvia il procedimento amministrativo, non esprime giudizi, si limita a rappresentare i fatti senza valutazioni mancando l’avvio di un valido rapporto giuridico, rimanendo relegato ad una fase (pre)interlocutoria (un consiglio, più che un parere, che potrà sfociare in sede istruttoria ad un provvedimento con effetti giuridici costitutivi).
[1] T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, sentenza n. 19/2009.
[2] Cons. Stato, Adunanza della Commissione Speciale per il pubblico impiego del 5 novembre 2001, n. 480/2000.
[3] T.A.R. Lazio, Roma, sez. III quater, 17 maggio 2016, n. 5861.
[4] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 2013, n. 2511; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 14 novembre 2012, n. 1888.