La sez. II bis Roma, del T.A.R. Lazio con la sentenza n. 10268 del 23 ottobre 2018, interviene rilevando lo spessore istruttorio di una segnalazione anonima, capace di dare impulso ad un’attività d’indagine con effetti diretti sul contenuto dei fatti esposti (abuso edilizio), seppure di ignota provenienza.
La sentenza affronta gli effetti di un esposto anonimo sull’attività di vigilanza conseguente, compresi gli effetti sanzionatori, affrontando con chiarezza e puntualità una serie di argomenti di primario interesse per l’azione amministrativa e di vigilanza.
A seguito di un esposto, pervenuto per posta ordinaria, i Vigili Urbani effettuavano un sopralluogo, dal quale si accertava la presenza di tre cancelli abusivi (realizzati anche con demolizione di muro di recinzione) aggettanti su pubblica via.
Seguita, dopo gli opportuni accertamenti tecnici, una sanzione pecuniaria nella misura pari al doppio dell’aumento del valore venale del bene in conseguenza della realizzazione delle opere abusive.
Nel ricorso si lamentava:
- l’illegittimità del gravato provvedimento, sulla base dell’assunto che il procedimento aveva preso avvio da un esposto anonimo che, pertanto, non poteva considerarsi utilizzabile, ai sensi dell’art. 333 comma terzo c.p.p.;
- la violazione dell’art. 10 della Legge n. 241/90, sulla mancata valutazione delle informazioni che si riteneva di produrre attinenti alla preesistenza dei cancelli;
- difetto di motivazione in merito alla data di installazione dei cancelli e alla esigenza o meno della D.I.A., rispetto al regime autorizzatorio non richiesto (ex Legge n. 47/1985);
- difetto di istruttoria in quanto il provvedimento sanzionatorio era fondato esclusivamente sul rapporto amministrativo redatto dalla Polizia Municipale, tra l’altro illegittimo per mancanza di sottoscrizione e contrastante il rapporto anonimo con cui invero si denunciava l’istallazione di un solo cancello;
- mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento e incongruità nel merito della sanzione applicata, in quanto avvenuta in assenza di verifica in concreto (fatto, quest’ultimo, peraltro ritenuto irrilevante).
Il Tribunale respinge tutte le doglianze, con condanna alle spese, con un articolato motivazionale che si sofferma sull’utilizzabilità dell’esposto anonimo, ai fini dell’avvio del procedimento (in applicazione analogica dell’art. 333 comma 3 c.p.p.): atto d’impulso.
L’analisi per inquadrare gli effetti producibili dall’esposto anonimo sono così espressi:
- l’apporto conoscitivo dell’esposto anonimo è limitato nell’ambito della c.d. pre-inchiesta, ossia nella fase in cui gli organi investiganti ricercano elementi utili per l’individuazione della notizia di reato e che si caratterizza, da un lato (sotto il profilo procedurale) per l’atipicità e l’informalità delle attività svolte sia dal pubblico ministero, che dalla polizia giudiziaria; dall’altro (sotto il profilo cronologico) per la collocazione in un momento antecedente all’avvio delle indagini preliminari;
- fermo restando che la denuncia anonima non può essere utilizzata a fini probatori, onde in base a essa non possono essere compiuti atti, quali ad esempio le intercettazioni telefoniche, le perquisizioni o i sequestri (ossia, atti di indagine che presuppongono l’esistenza di indizi di reato), tuttavia le notizie contenute nella denuncia anonima possono – anzi devono, per effetto del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale – costituire spunti per una investigazione di iniziativa del pubblico ministero o della polizia giudiziaria, al fine di assumere dati conoscitivi diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi gli estremi di una notitia criminis (ex multis, Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 2008, n. 4329, sez. VI, 21 settembre 2006, n. 36003);
- le norme presenti nel c.p.p. (ex 240, comma 1, 333, comma 3, 330) non escludono alla polizia giudiziaria ed al pubblico ministero di formare autonomamente la notizia di reato, accedendo a fonti d’informazione c.d. spurie, tra le quali si inserisce anche l’esposto anonimo (idem l’impostazione ermeneutica dell’art. 5 del D.M. 30 settembre 1989, impone che nel registro (c.d. modello 46) sono custoditi, presso la procura della Repubblica con modalità tali da assicurarne la riservatezza, i documenti anonimi);
- una denuncia anonima può contenere gli elementi che possono stimolare l’attività di iniziativa del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi estremi utili per l’individuazione di una notitia criminis, ammettendo, pertanto, l’utilizzabilità dell’anonimo esclusivamente come mero atto di impulso investigativo.
Si comprende, a chiare lettere, che l’esposto anonimo è un documento che può dar corso ad un’attività istruttoria, in grado di sollecitare un’attività accertativa d’ufficio, che appare doverosa ove circostanziata e in grado di far apparire fondata la segnalazione, ergo imporre un apposito sopralluogo per verificare l’attendibilità dei dati descritti dall’anonimo (un “whistleblower sotto copertura”).
Dall’atto d’impulso, ovvero dalla segnalazione anonima su presunti abusi edilizi, si è giunti ad accertare la fondatezza dei fatti e l’abusività delle opere: l’istallazione di un cancello.
Il ruolo svolto dall’esposto (anche anonimo), come chi scrive ebbe in più occasioni da indicare (Brevi considerazioni sull’accessibilità agli esposti tra trasparenza e tutela dei dati, LexItalia, n. 4, 3 aprile 2018; Obbligo (sempre) di provvedere della p.a. in caso di segnalazione di un abuso edilizio, La Gazzetta degli enti locali, 30 marzo 2009), «non ha natura necessaria, bensì meramente sollecitatoria, rispetto ad una funzione amministrativa già in capo alla P.A. e che la stessa deve comunque generalmente esercitare, indipendentemente da segnalazioni private, in attuazione del canone di buon andamento dell’attività amministrativa (ex art. 97 Cost.), specie in settori sensibili, quali quelli in ambito ambientale e/o edilizio» (T.A.R. Veneto, sez. III, 20 marzo 2015, n. 321).
È indicativo del tema, trovando conferma l’orientamento sopra indicato, la lettura dell’art. 6, comma 3 («Segnalazioni Anonime») del Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici da parte di ANAC del 4 luglio 2018, ove si dispone che «Le segnalazioni anonime che riguardino fatti di particolare rilevanza o gravità e presentino informazioni adeguatamente circostanziate possono essere tenute in considerazione al fine di integrare le informazioni in possesso dell’ufficio nell’esercizio dell’attività di vigilanza. Il dirigente dell’ufficio può altresì proporre al Consiglio di avviare un autonomo procedimento di vigilanza».
Le denunce anonime se circostanziate danno corso all’avvio di un procedimento istruttorio volto alla verifica della fondatezza dei fatti esposti dall’anonimo.
Ciò posto, viene anche trattato il rapporto tra esposto anonimo e accertamento effettuato: nell’esposto anonimo si segnalava un cancello abusivo, nell’attività di verifica si accertavano tre cancelli abusivi.
Si perviene a stabilire che risulta del tutto destituita di fondamento la censura fondata sull’asserita contraddittorietà fra l’esposto anonimo e le risultanza del sopralluogo, in quanto l’esposto anonimo è stato solo l’impulso al fine di accertare d’ufficio la presenza di abusi edilizi.
Ne consegue che il valore probatorio deve assegnarsi unicamente alle risultanze del sopralluogo, peraltro eseguito da soggetti qualificabili quali pubblici ufficiali: trattasi di atti che assumono un valore di fede privilegiata, ovvero sino a querela di falso ex art. 2700 c.c. (Cons. Stato, sez. V, 3 novembre 2010, n. 7770; 28 gennaio 1998, n. 103; sez. I, 8 gennaio 2010, n. 250; cfr. anche, per il principio, T.A.R. Campania, sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 760; 11 dicembre 2012, n. 5084, 21 giugno 2012, n. 2944; 2 maggio 2012, n. 2006, 2 maggio 2012, n. 2006, 5 giugno 2012, n. 2635 e n. 2644; 30 marzo 2011, n. 1856; sez. III, 20 novembre 2012, n. 4638; sez. IV, 3 gennaio 2013, n. 59).
Per le altre censure, la sez. II bis Roma, del T.A.R. Lazio con la sentenza n. 10268 del 23 ottobre 2018, si rileva:
- il rapporto informativo della Polizia Locale anche se non firmato, risulta comunque riferibile ai due agenti accertatori, identificabili per relationem al loro numero di matricola e che è stato fatto proprio dal Dirigente che ha provveduto a firmarlo, acquisendolo agli atti del procedimento, per cui risulta – in ogni caso – imputabile all’Ufficio;
- per l’assenza di motivazione e istruttoria si rileva che in materia edilizia la sanzione è un atto tipicamente vincolato, in relazione all’abuso edilizio accertato e non necessita di una particolare motivazione in ordine all’interesse pubblico che è in re ipsa (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 28 dicembre 2009, n. 9638; sez. VI, 9 novembre 2009, n. 7077; sez. VII, 4 dicembre 2008 , n. 20987);
- l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio e della sua sanabilità incombe sull’interessato, e non sull’Amministrazione, la quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere – dovere di sanzionarla ai sensi di legge (ex multisA.R. Campania, Napoli, sez. VI, 17 settembre 2015, n. 4565; Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 703; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 2 luglio 2010 n. 16569; Cons. Stato, sez. IV, 10 gennaio 2014, n. 46; Cons. Stato, sez. III, 13 settembre 2013 n. 4546; Cons. Stato, sez. VI, 20 dicembre 2013, n. 6159, Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2013, n. 4182; Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 631);
- il principio che la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza è nella disponibilità dell’interessato, e non dell’Amministrazione, dato che solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’addotta sanabilità del manufatto che, nel caso della doppia conformità, necessita della previa verifica dell’epoca di realizzazione delle opere, stante la necessità di poterne accertare la conformità sia con riferimento all’epoca di realizzazione, che alla data della domanda, dovendosi – in ogni caso – fare applicazione del principio processualcivilistico in base al quale la ripartizione dell’onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova (Cass. S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533);
- l’art. 6 della Legge n. 47 del 1985 stabilisce a carico del proprietario dell’immobile una presunzione semplice di responsabilità per gli abusi edilizi accertati, sicché l’interessato può sottrarsi a tale responsabilità dimostrando la sua estraneità all’abuso commesso da altri (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 4 luglio 2014, n. 1744);
- il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (principio questo applicabile in riferimento a tutte le sanzioni in materia edilizia, Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 9).
Il quadro complessivo porta a conseguire la piena cittadinanza nel diritto positivo all’esposto anonimo come atto d’impulso in grado di attivare – in via autonoma – un accertamento (rectius attività istruttoria d’ufficio) che può sfociare nella fondatezza dei fatti segnalati, specie quando attinenti ad opere abusive (molto spesso e nella prassi segnalate con esposti anonimi).