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Articolo Pubblicato il 18 Aprile, 2025

Piena legittimità della liquidazione del risultato senza valutazione

Piena legittimità della liquidazione del risultato senza valutazione

La sez. I d’Appello della Corte dei conti, con la sentenza n. 60 del 17 aprile 2025, conferma la decisione della sez. territoriale sull’assenza di responsabilità erariale per la liquidazione del risultato in assenza di un sistema di misurazione e valutazione della performance, quando nei fatti prima e in diritto poi, non vi è stata prova di negligenza e neppure di mancata realizzazione degli obiettivi, rectius attività positivamente (proficuamente) svolta a favore dell’Amministrazione di appartenenza.

Fatti

La sentenza del primo grado ha accertato l’assenza di colpa grave considerata anche l’utilitas conseguita dell’Ente attraverso la prestazione lavorativa resa dal dipendente pubblico.

Secondo la Procura appellante, il Giudice territoriale avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni normative e negoziali che disciplinano l’erogazione della retribuzione di risultato, recepite tardivamente: diversamente, la corretta applicazione della retribuzione di risultato, voce accessoria del trattamento economico, poteva essere erogata solo in presenza di una valutazione periodica del dipendente, da effettuare sulla base di criteri e procedure previsti da apposito sistema, adottato in via preventiva: “a monte” della valutazione della prestazione resa dal dipendente, da effettuarsi “a valle” nei tempi prestabiliti e nel rispetto degli obiettivi prefissati[1].

Merito

Il Giudice rileva che i motivi di appello non colgono nel segno (rigettato):

  • il giudice di primo grado appura che le erogazioni economiche percepite dalla parte convenuta non abbiano un avallo normativo: sono state liquidate in assenza di una norma di legge o contrattuale legittimante (art. 10, del d.lgs. n. 150 del 2009 e l’art. 9, comma 4, del CCNL del 31 marzo 1999);
  • l’indennità di risultato come tutte le retribuzioni accessorie, non è un compenso obbligatoriamente spettante e, quindi, “dovuto” in ragione della sola qualifica dirigenziale rivestita, ma è una retribuzione finalizzata a remunerare la qualità delle prestazioni e gli obiettivi conseguiti[2];
  • la retribuzione di risultato, lungi dal costituire una voce automatica del corrispettivo dovuto al dirigente pubblico, resta invece subordinata ad una determinazione annuale, da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno[3];
  • l’articolo 18, comma 2 del decreto legislativo n.150 del 2009 nella formulazione all’epoca vigente, vietava espressamente la distribuzione di premi in assenza di verifiche e attestazione sulla performance, rendendo l’esborso sine causa e foriero di danno erariale[4].

Ciò posto, nessun addebito può essere posto alla parte convenuta:

  • il ritardo nel recepimento della normativa nazionale valevole per gli Enti locali, che avrebbe reso lecite le somme erogate per le mansioni realmente espletate, risulta una responsabilità imputabile alla PA (peraltro sono state provate diverse sollecitazioni della parte convenuta per l’adozione del sistema di valutazione, anche con l’inserimento all’odg degli organi preposti per l’approvazione);
  • le prestazioni, da cui sono derivati i pagamenti, sono state innegabilmente rese a favore dell’Ente, in presenza dei prescritti requisiti culturali e professionali posseduti per i compiti istituzionali necessari e non espletabili da altri soggetti;
  • i compensi erogati non sono stati esorbitanti rispetto ai parametri economici di raffronto previsti per tali specifici compiti istituzionali, senza alcuna contestazione dalla parte attrice pubblica, neppure da parte dell’Amministrazione di appartenenza (neppure avanzati nel processo penale);
  • non si può condizionare il soddisfacimento di un diritto della personalità alla negligente inerzia datoriale, dovendosi dunque avere riguardo alla sostanza delle cose, piuttosto che unicamente al loro profilo meramente formale;
  • nel corso del giudizio, la Procura non ha dato prova alcuna di soluzioni alternative.

Alla luce di tali premesse, il principio di non contestazione ha guidato il Giudice territoriale, che, in assenza di prove, nonché di fatti non specificamente contestati dalle parti costituite, non ha rilevato alcun addebito, anche sulla base di una corretta quantificazione dell’importo della retribuzione percepita, in ragione della sussistenza dei presupposti sostanziali perché la retribuzione venisse erogata.

Sintesi

La mancanza di un sistema di valutazione, adottato successivamente rispetto alla prestazione, non inficia la liquidazione del risultato se il dipendente ha adempiuto ai suoi doveri, come dimostrato sia dalla lunga durata della prestazione, sia dalla assenza di rilievi (di natura disciplinare o anche solo di merito) da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro: profilo che induce a ritenere la piena soddisfazione della performance ricevuta.

A rafforzare la conclusione, il fatto che nell’ambito del rapporto sinallagmatico tra lavoratore e datore, in presenza di un accertamento postumo delle performance non adeguate, con facilità l’Ente avrebbe potuto ripetere gli emolumenti (colpevolmente) erogati, trattenendone l’importo dalla retribuzione.

In presenza di un esatto adempimento lavorativo, sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto il profilo qualitativo (la prova dell’an e del quantum), siamo in presenza di un diritto costituzionalmente garantito ed in quanto tale attiene al novero dei diritti della personalità del lavoratore con la dovuta liquidazione dell’obbligazione retributiva (causa del contratto di lavoro) a fronte dell’utilitas conseguita (prestazione)[5].

Regola sostanziale

La sentenza merita una lode non solo al buon senso ma anche all’effettività della prestazione.

Il risultato raggiunto dal dipendente pubblico non dipende dalla presenza del sistema di misurazione della performance o dagli obiettivi programmati, quando dalla diligenza di onorare gli obblighi di prestazione, ossia rendere il servizio all’istituzione (ex artt. 54 e 98 Cost.), senza sovrastrutture premiali, visto che tutte le misurazioni hanno un evidente componente discrezionale, non misurabile su parametri oggettivi, ma sulla percezione del singolo (questi sono i limiti di ogni valutazione).

La sostanza delle cose impone di affermare che il dipendente pubblico serve la propria Amministrazione quotidianamente, essendo la struttura dello Stato una macchina di erogazione – non di prodotti ma di servizi pubblici – dove la produttività non può essere legata ad una visione utilitaristica dell’operatore economico (al reddito prodotto), ma al gradimento dei cittadini, a fronte dei bisogni del singolo, non misurabili con numeri, metri o fogli Excel.

Nel caso di specie, la prestazione lavorativa ha raggiunto le aspettative in relazione ai compiti espletati, senza contestazione alcuna: un esempio di buona amministrazione.

Perle

Altri (pochi), cultori della leadership, della mission, del management IA, dell’algoritmo strategico, connessi on line H24, senza alcuna esperienza al servizio di una PA, senza alcuna conoscenza di una qualche piattaforma (sul modello ReGiS o di acquisizione CIG), insegnano il (dis)“valore pubblico”, con sistemi di misurazione folli, incomprensibili a molti, autoreferenziali in un tour di neologismi: “vario o avariato” (cit. MASSARI).

(pubblicato, lentepubblica.it, 18 aprile 2025)

[1] Cfr. Conti conti, sez. II. App., 13 ottobre 2022, n. 432.

[2] Cass. civ., 2 febbraio 2011, n. 2459.

[3] Cass. civ., 31 gennaio 2018, n. 2462.

[4] Corte conti, sez. II App., 23 febbraio 2021, n. 62.

[5] La retribuzione può essere valutata anche con il ricorso ad un criterio equitativo, ex art. 1226 del c.c., anch’esso utile, alla valutazione, Corte conti, II sez. App., 30 dicembre 2021, n. 462.