La sez. II Brescia del TAR Lombardia, con la sentenza 25 giugno 2024 n. 557, riconosce l’accesso ad un esposto, sfociato in un verbale ispettivo, pur in presenza dell’opposizione del segnalante, non ravvisando validi motivi ostativi, ovvero la tutela della riservatezza (dell’anonimato) del suo autore.
Fatto
Una società, che si occupa della coltivazione e della commercializzazione di prodotti ortofrutticoli, chiedeva di poter accedere alla documentazione di un verbale ispettivo della Polizia Provinciale Ambientale, «ivi compresa la segnalazione/esposto che ha originato l’accertamento».
Il Nucleo Polizia Ambientale negava l’accesso motivato (donde l’azione, ex art. 116 cpa) su due profili:
- l’autore dell’esposto aveva formulato opposizione a tutela della sua riservatezza;
- mancava un interesse concreto e attuale alla difesa, atteso che dal sopralluogo nessuna posizione del richiedente veniva lesa (essendo assenti violazioni amministrative o penali).
L’esposto
In generale, l’esposto/segnalazione costituisce un presupposto dell’attività ispettiva, capace di dare corso (avvio) ad un procedimento amministrativo che può concludersi con una sanzione a carico di colui che viene segnalato, in presenza di irregolarità o illeciti.
La denuncia, contenuta nell’esposto, può essere essa stessa una fonte di prova, sicché l’autore perde il controllo dell’atto uscito dalla sua sfera volitiva per entrare nella disponibilità dell’Amministrazione procedente, costituendo documenti istruttori necessari all’adozione del provvedimento finale, con tutti gli oneri partecipativi/conoscitivi del soggetto inciso dall’esposto.
Per tali lineari ragioni, la presentazione di un esposto non può considerarsi un fatto circoscritto al suo autore e all’Amministrazione competente all’avvio di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti comunque incisi in qualità di “denunciati”[1], soprattutto quando viene celebrato il modello FOIA: un elogio alla trasparenza, sinonimo di libertà (ex art. 21 cost.) e dell’accountability dell’agire pubblico (alias dei suoi funzionari, in senso esteso).
In dipendenza di ciò, si sostiene che il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza e responsabilità («La trasparenza… concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione», comma 2, primo periodo, dell’art. 1 del d.lgs. n. 33/2013), non ammette la possibilità di “denunce segrete”: colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di iniziativa e di preiniziativa quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti[2].
Piena legittimità all’accesso
Il Tribunale accoglie il ricorso con l’accertamento dell’obbligo per l’Amministrazione di consentire l’accesso sulla base delle seguenti motivazioni, rilevando (in premessa) che la mancata notifica al controinteressato (l’autore della segnalazione, intervenuto per interposta persona) non lo rende inammissibile (ove si consideri, per evidenti ragioni logiche che, volendo mantenere l’anonimato, la sua individuazione renderebbe superflua l’azione):
- le “situazioni giuridicamente tutelate”, di cui alla norma dell’art. 22, comma 1, lettera b), della legge n. 241/1990, sono atipiche;
- parimenti atipico è il grado di tutela che ciascun individuo può trovare soddisfacente;
- non costituisce requisito per l’accesso la dimostrazione di una precisa utilità che possa derivare al richiedente in sede processuale o nel confronto con l’amministrazione e con i terzi;
- è sufficiente, in termini di legittimazione, che vi sia una connessione tra il documento e la sfera degli interessi economici o morali del richiedente, rimanendo quest’ultimo libero di decidere sul modo più opportuno di utilizzare il documento a proprio beneficio;
- ne consegue (a margine) che l’Amministrazione detentrice del documento non deve svolgere ex ante alcuna valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, al giudice investito della questione e non certo alla stessa Amministrazione detentrice del documento, salvo il caso di un’evidente mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive, e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti[3].
Dal quadro emerge che, ai fini dell’integrazione del presupposto legittimante l’esercizio del diritto di accesso, è richiesta:
- l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante del soggetto richiedente, non necessariamente consistente in un interesse legittimo o in un diritto soggettivo, purché giuridicamente tutelato, nonché un rapporto di strumentalità (inteso in senso ampio) tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l’ostensione, risultando del tutto rilevante l’esito dell’accertamento ispettivo sulla regolarità della condotta;
- mentre, non si richiede la prova della lesione attuale di una situazione giuridica soggettiva di diritto o interesse legittimo, né l’attualità del giudizio, stante l’autonoma consistenza del diritto di accesso rispetto alla situazione giuridica retrostante alla cui tutela è preordinato[4].
Dunque, anche se la segnalazione non ha prodotto effetti sul ricorrente, questo fatto storico ha causato disagi organizzativi all’azienda, esponendola a «illazioni e dubbi sull’attività», con effetti potenzialmente idonei a creare una lesione all’immagine e al prestigio della stessa, qualora la circostanza venisse di dominio pubblico, ossia nella sfera di conoscenza della collettività o del gruppo sociale di riferimento.
In termini diversi, l’aver subito un’ispezione a seguito di un esposto (un atto di impulso risultato infondato) è stato percepito come una “ingiustizia”, ingenerando il timore di ulteriori ispezioni (c.d. ad effetto sorpresa), dimostrando «un interesse qualificato a ottenere copia della segnalazione, e quindi anche a conoscere l’identità dell’autore della stessa».
Il diritto all’anonimato e le sue tutele
A rafforzare la posizione di chi subisce le conseguenze di una segnalazione, il Tribunale afferma in modo chiaro che «non esiste un diritto dell’autore della segnalazione a rimanere anonimo».
Ne deriva, così come accade in sede penale nei confronti del denunciante (ex art. 111 Cost.)[5], che quando vengono segnalati comportamenti illegittimi di terzi si deve accettare il confronto con i soggetti segnalati, per consentire a questi ultimi di esercitare il proprio diritto di difesa: l’anonimato contiene in sé il rischio di servire come schermo a quanti intendano causare danni economici o reputazionali a terzi senza doverne rispondere in via risarcitoria, soprattutto quando vengono attivati poteri ispettivi, risultati poi del tutto inutili.
Si comprende, dal pronunciamento, la sussistenza di un diritto di accesso agli esposti e agli atti di impulso che abbiano dato origine a verifiche, ispezioni o altri procedimenti di accertamento di illeciti a carico di privati dove sussistono due orientamenti giurisprudenziali:
- un primo orientamento (minoritario), ritiene il diniego di accesso a tali atti legittimo in quanto non incide sul diritto di difesa del soggetto che, a fronte dell’intervenuta notifica del verbale conclusivo dell’attività ispettiva, non avrebbe alcun interesse a conoscere il nome dell’autore dell’esposto[6];
- un secondo orientamento (maggioritario e seguito dal TAR) il quale, al di fuori di particolari ipotesi, in cui il soggetto denunciante potrebbe essere esposto, in ragione dei rapporti con il soggetto denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite pressioni, la tutela della riservatezza non può assumere un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative comunque incidenti nella sfera giuridica di terzi, anche se tali accertamenti abbiano dato esiti negativi[7].
Viene confermato l’orientamento maggioritario, dove il contraddittorio tra segnalante e segnalato è la condizione di equilibrio che assicura il corretto e proporzionato utilizzo del potere di indagine e repressione dell’attività dei privati da parte degli uffici pubblici, con un evidente richiamo a quel senso di responsabilità civica che deve animare colui che effettua segnalazioni, un intento di perseguire l’interesse generale a beneficio di tutti, mutuando la disciplina che vede nel whistleblower colui che segnala fatti che «ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica», ex comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. n. 24/2023.
Il Tribunale conclude affermando che «la perdita della certezza dell’anonimato è il prezzo che l’autore dell’esposto deve sopportare affinché all’Amministrazione pervengano solo segnalazioni in buona fede e dotate di un sufficiente grado di attendibilità», rimarcando il disvalore in redazione di esposti, a volte seriali, il cui contenuto non offre spunti di novità, costituendo lamentele prive di sostanza, mosse da intenti primordiali (non nobili, dediti alla delazione).
Di contro, non mancano (annota il Tribunale) situazioni in cui non solo l’anonimato è concesso proprio a fini sollecitatori, per far emergere comportamenti illegittimi particolarmente riprovevoli e difficili da individuare, ma viene garantita la tutela al disvelamento del nome, ipotesi eccezionali ancorata alla presenza di un interesse pubblico alla segnalazione collegabile a una disposizione di legge (quella cit. del whistleblowing)[8].
Nella fattispecie esaminata non vengono ravvisate speciali circostanze che impongano la conservazione dell’anonimato, essendo coinvolti interessi (quello del segnalante e quello della parte ricorrente) entrambi privatistici, con la prevalenza del diritto di accesso, che riflette il vincolo di trasparenza a cui è sottoposto ogni aspetto dell’azione amministrativa.
[1] Cons. Stato, sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3601.
[2] TAR Lazio, Roma, sez. II ter, 4 giugno 2020, n. 5955; TAR Toscana, sez. I, 3 luglio 2017, n. 898; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12 luglio 2016, n. 980; TAR Lazio, Roma, sez. III, 1° giugno 2011, n. 4989; Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 2009, n. 3081. Vedi, LUCCA, Piena accessibilità al nominativo dell’autore di esposti, La gazzetta degli enti locali, 19 febbraio 2009, sul bilanciamento tra accesso e privacy.
[3] TAR Campania, Napoli, sez. I, 1° marzo 2024, n. 1432.
[4] TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 29 febbraio 2024, n. 3989.
[5] L’art. 111 della Costituzione che, nel sancire (come elemento essenziale del giusto processo) il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, inevitabilmente presuppone che l’accusato abbia anche il diritto di conoscere il nome dell’autore di tali dichiarazioni, TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 29 ottobre 2008, n. 1469.
[6] Cfr. TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 17 ottobre 2018, n. 772.
[7] TAR Liguria, sez. I, 7 luglio 2019, n.510.
[8] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2023, n. 8645 e 11 febbraio 2022, n. 1016.