La sez. II del T.A.R. Toscana, con la sentenza 11 dicembre 2020 n. 1630 (Est. Fenicia) interviene nell’inquadrare il diritto di accesso del consigliere comunale agli atti di una partecipata dell’Amministrazione (società a maggioranza comunale): un diritto inerente lo status codificato dall’art. 43, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000.
La norma dispone che i consiglieri «hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge».
Pare giusto rammentare che sul consigliere comunale:
- l’accesso è espressione delle prerogative di controllo democratico operato dal consigliere, non incontra alcuna limitazione in relazione all’eventuale natura riservata degli atti, stante anche il vincolo del segreto d’ufficio che lo astringe[1];
- non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso agli atti, in quanto in caso contrario sarebbe prevista una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio delle funzioni del consigliere comunale[2];
- il diritto di accesso del consigliere comunale ha ragione e limite nell’utile esercizio della funzione di componente dell’organo di cui è parte;
- il diritto accede all’esplicazione, individuale o collegiale, delle funzioni proprie dell’organo consiliare e non è una attribuzione personale di esso consigliere;
- oggetto dell’accesso possono essere non solo provvedimenti o documenti amministrativi ma anche ogni “informazione” o “notizia” relativa all’organizzazione amministrativa e alla gestione delle risorse pubbliche, anche se assolto mediante uno strumento gestionale esterno al Comune, quale una società o ente partecipato o in controllo[3];
- l’accesso è funzionale all’espletamento del mandato elettorale, assumendo una connotazione ulteriore e più ampia rispetto al diritto di accesso del singolo cittadino (ai sensi degli artt. 22 ss. della legge n. 241/1990) poiché ai consiglieri è consentito richiedere anche semplici informazioni, non contenute in documenti già formati od anche dalla natura riservata[4];
- il diritto consente al consigliere di valutare la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione, nonché esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio comunale, oltre a poter promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso o dei soggetti partecipati, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale[5];
- le richieste di accesso devono essere formulate in maniera specifica e dettagliata, recando l’indicazione degli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora tali elementi non siano noti al richiedente, almeno di quelli che consentano l’individuazione degli atti medesimi[6];
- non sono ammissibili richieste di accesso che, per il numero degli atti richiesti e per l’ampiezza della loro formulazione, si traducano in un eccessivo e minuzioso controllo dei singoli atti in possesso degli uffici, in quanto siffatte richieste si configurano come forme di controllo specifico, non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico – amministrativo demandate dalla legge ai Consigli comunali[7];
- la pretesa conoscitiva può essere limitata qualora si traduca in una strategia ostruzionistica o di paralisi dell’attività amministrativa, concretandosi in istanze che, in ragione della loro natura, ovvero del loro carattere costante e/o diuturno, determinano un aggravio notevole del lavoro degli uffici ai quali sono rivolte;
- l’esercizio dell’actio ad exhibendum non può estendersi fino a configurare un sindacato generalizzato sull’attività degli organi politici e amministrativi dell’Ente Pubblico[8];
- l’accesso deve avvenire in modo da comportare il minore aggravio possibile per gli uffici comunali, e non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche o meramente emulative, concretanti una forma di abuso del diritto.
Fatte queste brevi premesse, ed analizzando la sentenza riferita all’istanza di accesso di un consigliere comunale agli atti (nello specifico: partitario/mastrino relativo ai rapporti fornitore/cliente o dare/avere tra partecipata e Comune, dati contabili relativi alle voci di costo di più esercizi societari, liberalità ed oneri di utilità sociale, altri costi per servizi, spese di rappresentanza, accordo transattivo) di una società partecipata dal Comune, per la gestione di una discarica ed anche di altri servizi pubblici comunali, finalizzata ad un controllo puntuale sull’attività svolta.
Richiesta denegata per implicito, donde il ricorso, proposto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., per l’accertamento del diritto di accesso alla documentazione amministrativa richiesta.
La società antepone il rigetto del ricorso per:
- genericità e indeterminatezza della richiesta di accesso;
- esorbità della richiesta ben oltre all’attività di pubblico interesse svolta dalla società tale da impedire una correlazione con la funzione pubblica ricoperta;
- svolgimento di una particolarmente gravosa attività di ricerca da sottoporre gli uffici societari in ordine al reperimento e alla selezione della documentazione ostensibile.
Il giudice di prime cure:
- annulla il diniego implicito serbato dalla società partecipata;
- ordina alla società partecipata l’esibizione e/o il rilascio al consigliere ricorrente di copia della documentazione richiesta con l’istanza di accesso;
- condanna la società resistente a rimborsare le spese di lite.
Le motivazioni del pronunciamento trovano sostegno diretto dal precetto della norma dell’art. 43, secondo comma del TUEL: «alla luce del chiaro testo normativo, non può dunque esistere alcun dubbio sull’esistenza in capo alla ricorrente di un interesse qualificato, essendo pacifico che in ragione della posizione rinvenibile in capo ai consiglieri comunali derivante dal munus rivestito, essi hanno un diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle loro funzioni».
Nello specifico, il tribunale annota la piena accessibilità agli atti del soggetto partecipato, escludendo che «la natura di persona giuridica privata della società resistente possa ostare all’esercizio del diritto di accesso, trattandosi comunque di società concessionaria di servizi di rilevanza pubblica, peraltro a partecipazione azionaria maggioritaria del Comune… e perciò in situazione di “dipendenza” dal Comune», ai sensi del comma secondo, dell’art. 43 citato.
Gli atti richiesti rientrano, dunque, appieno nell’ambito dello speciale diritto d’accesso riconosciuto ai consiglieri degli Enti territoriali, che si caratterizza per la sua particolare latitudine, imponendo alle parti di «eseguire la presente sentenza con spirito di leale e reciproca collaborazione, individuando, di comune accordo, le specifiche modalità di accesso in modo che il soddisfacimento dell’utilità dell’una non sia eccessivamente gravosa per l’altra, e dunque, ad esempio, procedendo ad una selezione della documentazione che necessita di essere acquisita in copia, distinguendola da quella per la quale è sufficiente la mera visione».
Assistiamo ancora una volta, in nome di una presunta difficoltà organizzativa o di una valutazione interna sulla pretesa ostensiva, la necessità di ricorrere al giudice per rivendicare un diritto che è patrimonio di libertà di informazione sancito direttamente dalla Costituzione all’art. 21, dalla norma speciale dell’art. 43 del TUEL, per non dire del modello FOIA, dove la “Trasparenza” si antepone ad un concetto distorto di “Privacy”, ovvero di agire del soggetto privato partecipato che non tollera l’ingerenza conoscitiva della proprietà pubblica, rappresentata nella sua essenza dall’eletto consigliere comunale.
Infatti, la trasparenza, intesa nel modello FOIA, se assolve un onere di pubblicazione degli atti descritti nel d.lgs. n. 33/2013, definendo il diritto di accesso civico, altra cosa è il diritto di accesso documentale, che presenta una legittimazione diversa e, secondo le indicazioni ANAC nella deliberazione n. 1309/2016[9], più profonda non sovrapponibile tout court, osservando, invero, che l’accesso dell’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000 è ancora diverso, rispetto alla generalità dei cittadini, ex art. 10 del cit. TUEL.
Se da una parte l’estensione del diritto di accesso del consigliere comunale trova riscontro in un diritto esteso di informazione, diverso dal diritto accesso documentale o civico generalizzato appartenente al cittadino non eletto, dall’altra parte si deve negare che una partecipata pubblica possa sottrarsi dal controllo del suo azionista, ove si consideri che la scelta gestionale del servizio – mediante uno strumento privatistico – discende da una decisione del Consiglio comunale, formato da consiglieri comunali, ovvero ove si considerino gli obblighi/responsabilità di controllo e razionalizzazione sulle partecipate che, a tale organo rappresentativo, incombono.
[1] Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2018, n. 1298.
[2] T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 25 settembre 2020, n. 574.
[3] T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 10 luglio 2020, n. 3000.
[4] Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2020, n. 3345.
[5] T.A.R. Veneto, sez. I, 29 aprile 2020, n. 393.
[6] T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 4 aprile 2019, n. 545.
[7] Cons. Stato, sez. V, 28 novembre 2006, n. 6960.
[8] T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 13 febbraio 2019, n. 128, idem Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2018, n. 129.
[9] Cfr. punto 2.3, «Distinzione fra accesso generalizzato e accesso agli atti ex l. 241/1990» della delibera ANAC 1309 del 28 dicembre 2016.