Il conflitto di interessi e la mancata condivisione del legale impedisce il rimborso della spese legali.
All’apertura di un procedimento penale il dipendente coinvolto dovrà segnalare prontamente il fatto all’Amministrazione di appartenenza, senza procedere, in via assolutamente autonoma e senza mai interpellare e/o condividere la sua scelta processuale con l’Amministrazione, compreso a processo terminato, qualora non interpellata l’Amministrazione, provveda all’accettazione di una pronuncia di intervenuta prescrizione e di prestare, così facendo, acquiescenza a quanto deciso in sentenza, senza rilevare che il giudizio non si è svolto nel merito, ovvero non si sono accertati i fatti e le responsabilità.
Si può, in principio, rilevare che l’accettazione, senza alcuna contestazione, da parte del dipendente della pronuncia del Tribunale penale di prima istanza, riconosce in modo espresso la piena soddisfazione degli esiti processuali, delineando – a chiare lettere – di non aver rinunciato alla prescrizione, consentendo alla sentenza di passare in giudicato, rendendola, pertanto, in alcun modo contestabile, e, come tale, preclusivo di ogni diverso accertamento da parte del giudice civile, in sede contenziosa per il ristoro delle spese legali rivendicate dal dipendente al diniego dell’Amministrazione.
In presenza di un giudicato penale, il giudice civile (quello titolare della competenza in tema di diniego del rimborso delle spese legali) non può procedere ad un nuovo accertamento con una diversa ed autonoma ricostruzione del fatto come già ricostruita dal giudice penale.
Si tratta di un diritto soggettivo non assoluto e incondizionato, né tantomeno automatico, non essendo sufficiente che il dipendente sia stato sottoposto a procedimento per fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni e sia stata accertata l’assenza di responsabilità, dovendo essere di volta in volta verificata anche la ricorrenza delle ulteriori condizioni alle quali è stato subordinato dal legislatore o dalle parti collettive il diritto all’assistenza legale o al rimborso delle spese sostenute.
L’affidamento dell’incarico fiduciario per la propria difesa, senza la previa consultazione con l’Ente civico, impedisce qualsiasi forma di espressione di parere sia:
- nella scelta del legale;
- nella strategia difensiva;
- nell’assenza di un potenziale conflitto d’interessi con l’Ente di appartenenza.
Vi è da riferire immediatamente che il mancato riscontro dell’Ente, ad una richiesta di rimborso delle spese legali, può in alcun modo essere inteso come “assenso” all’individuazione condivisa del legale, dovendo annotare che il principio di diritto per cui la volontà di un Ente pubblico si esprime per provvedimenti scritti, fatti salvi i casi previsti dalla legge: la forma – in via generale – viene ricompresa ad substantiam e non in modo implicito.
In ogni caso, la comunicazione del legale individuato deve seguire ad una espressa condivisione dell’Amministrazione, come si avrà modo di riferire.
Le fasi istruttorie, per ammettere il rimborso delle spese legali, possono essere così definite:
- verifica assenza conflitto di interessi;
- manifestazione di gradimento del legale individuato.
In via preliminare, l’accertamento dell’assenza di un conflitto di interessi al fine di salvaguardare sia gli interessi dell’Amministrazione e sia gli interessi dello stesso dipendente: questo il significato e la ragione sottesa all’individuazione di un legale di comune gradimento, non potendo questi assolvere la funzione in presenza di posizioni processuali contrapposte.
Vero è che se l’accusa è quella di aver commesso un reato che vede l’Ente locale come parte offesa e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi, il diritto al rimborso non sorge affatto, anche in caso di assoluzione.
Il Tribunale ha inoltre chiarito che, se è necessaria l’assenza del conflitto di interessi e il comune gradimento sul legale di fiducia, manifestazione che non può avvenire in modo espresso e non fondata sul silenzio servato alla comunicazione di nomina inoltrata dal dipendente all’Amministrazione, «sussiste certamente una situazione di potenziale conflitto di interessi, che va valutata ex ante, senza tener conto dell’esito del giudizio», quando la stessa parte «asserisce di aver mutato il difensore dopo che questi era stato nominato dal Comune, come proprio difensore, in quanto parte offesa».
Una prova inequivocabile dell’impossibilità di una difesa comune in relazione alle diverse posizioni assunte nella vicenda dal dipendente e dall’Amministrazione, acclarate direttamente dal soggetto richiedente il rimborso delle spese legali: la presenza del conflitto di interessi va oltre alle determinazioni finali del giudice, è un prerequisito che esclude in toto ogni forma di rimborso, non essendovi coincidenza di interessi.
Di conseguenza, la comune adesione consente all’Amministrazione di condividere la strategia processuale: solo condividendo la difesa che l’Amministrazione può davvero valutare la sussistenza o meno del conflitto d’interessi che la norma prescrive come conditio sine qua non al fine di assumere gli oneri legali.
(ESTRATTO, Profili di illegittimità sul rimborso delle spese legali per intervenuta prescrizione, LexItalia.it, 27 agosto 2018, n. 8)