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Articolo Pubblicato il 29 Gennaio, 2025

Provvedimento espresso in alternativa al silenzio assenso in ambito edilizio

Provvedimento espresso in alternativa al silenzio assenso in ambito edilizio

In via generale, in tema di silenzio della PA, l’obbligo giuridico di provvedere – ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69 – sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento e, quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione.

L’obbligo di provvedere

In aggiunta, ai fini della formazione del silenzio – rifiuto nei confronti della PA, l’obbligo di provvedere, e prima ancora procedere, sussiste non solo nei casi previsti dalla legge, ma anche nelle ipotesi che discendono da principi generali, ovvero dalla peculiarità della fattispecie, per la quale ragioni di giustizia, ovvero rapporti esistenti tra amministrazioni ed amministrati, impongono l’adozione di un provvedimento: un dovere di lealtà e collaborazione[1].

In effetti, l’assenza di una risposta (il c.d. silenzio), quando una norma non ne attribuisca una particolare efficacia giuridica (vedi, ad es. il silenzio assenso, silenzio significativo, o il silenzio rigetto, quest’ ultimo in tema di accesso agli atti)[2], si contrappone ad un dovere di riscontro (espresso) che ogni cittadino e ogni impresa hanno diritto ad avere da una istituzione pubblica in un termine normativamente ragionevole (determinato), proprio al fine di consentire al richiedente di dare soddisfazione ai propri bisogni (il c.d. bene della vita, anche se vi è stata un’evoluzione di inquadramento, con il danno da ritardo, di cui alla legge n. 69 del 2009 che ha introdotto l’“art. 2 bis”)[3]: un inatteso ritardo, da parte della PA nel fornire una risposta, potrebbe, in alcuni casi, condizionare la convenienza economica di determinati investimenti, senza però che tali successive scelte possano incidere sulla risarcibilità di un danno già verificatosi[4].

Traslando il tutto nella norma, l’art. 2 Conclusione del provvedimento, della legge n.241/1990, esprime in fonte primaria questa esigenza di correttezza e buon andamento, statuendo che «ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso», positivizzando un obbligo di provvedere della PA, a cui corrisponde – in caso di inerzia (silenzio) – un inadempimento, che potrebbe costituire causa di risarcimento del «danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento», comma 1, dell’art 2 bis, Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, della legge n. 241/1990[5].

Logica conseguenza postula che l’inerzia amministrativa viola i principi di buona amministrazione e correttezza, configurando un interesse qualificato per il ricorrente al GA a ottenere un’espressa risposta: una sentenza di accertamento dell’inadempimento con ordine alla PA di provvedere nel merito (ossia, il potere di imporre alla Pubblica Amministrazione l’obbligo di pronunciarsi su una domanda presentata, assegnando un termine per l’adozione del provvedimento)[6], e facoltà di nomina di un commissario ad acta[7].

Si comprende, dunque, che a fronte di una richiesta il privato, ricorrendo al GA, può esigere una determinazione espressa, ossia l’attivazione di un’attività istruttoria per fornire una risposta, che si estende necessariamente all’adozione di un atto (documento) non ritenendosi soddisfatto il bisogno, anche qualora fosse sufficiente da parte della PA invocare la presenza di un silenzio significativo (silenzio accoglimento)[8], dove l’inerzia non impedisce al soggetto istante di operare (silenzio assenso)[9].

Silenzio assenso in ambito edilizio

La sez. V Palermo del TAR Sicilia, con la sentenza 23 gennaio 2025 n. 179 (estensore Salone), manifesta questa esigenza di certezza, specie in ambito edilizio, dove il privato a fronte di un procedimento di condono edilizio pretende dall’Amministrazione un proprio pronunciamento finalizzato ad acquisire il titolo piuttosto che rischiare gli effetti (instabili) di un silenzio assenso, in presenza di un’area con vincoli paesaggistici: l’incertezza applicativa rafforza la necessità di un manifestazione espressa della PA, provvedimento che determina la corretta disponibilità del diritto, evitando nel futuro eventuali impedimenti, magari a fronte di un’istruttoria.

Il silenzio inadempimento legittima il ricorso ai rimedi giurisdizionali previsti dagli artt. 31 e 117 cpa: l’inerzia di fronte ad una richiesta di rilascio di un provvedimento (un titolo concessorio in sanatoria) per la definizione della domanda di condono (ai sensi della legge n. 724/1994) risulta illegittima, con conseguente obbligo della PA di pronunciarsi con la conclusione del procedimento.

Merito

Il GA:

  • accerta l’illegittimità del silenzio-inadempimento formatosi sull’istanza e successiva reiterazione (accoglie il ricorso);
  • ordina al Comune di adottare una determinazione esplicita e conclusiva del procedimento, nel termine di giorni sessanta dalla comunicazione;
  • per l’ipotesi di persistente inerzia, alla scadenza del termine, nomina un commissario ad acta (individua la persona fisica, in via sostitutiva, per tutti i necessari adempimenti);
  • condanna l’Amministrazione al pagamento in favore del ricorrente delle spese di giudizio e per la nomina del commissario ad acta.

Il fatto che sull’istanza di condono originaria dell’immobile si fosse formato il silenzio assenso dell’Autorità preposta al vincolo[10], non impedisce al richiedente di esigere una valutazione da parte della PA proprio con il fine di accertare che la stessa ravvisasse o meno i presupposti per l’operatività del cit. silenzio: un provvedimento espresso pone fine ad ogni incertezza interpretativa sulla regolarità del titolo (condono).

Il GA conferma che a fronte di una domanda di condono, di una specifica richiesta volta ad ottenere un provvedimento espresso che definisca il procedimento, ponendo fine ai dubbi sulla effettiva formazione del silenzio assenso, grava sull’Amministrazione un obbligo di provvedere, il cui inadempimento legittima il ricorso allo speciale rimedio giurisdizionale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a.[11].

Sussiste, perciò, l’obbligo del Comune resistente, in forza del principio sancito in linea generale dall’art. 2 della legge 241/1990 e s.m.i., di definire il procedimento avviato dalla parte ricorrente, tenuto conto della documentazione da lui prodotta in adempimento alla richiesta di integrazione documentale e degli altri documenti in possesso del Comune.

In termini diversi, in presenza di incertezze esistenti circa l’applicabilità dell’istituto del silenzio-assenso, per la definizione delle pratiche di condono edilizio riguardanti abusi realizzati all’interno di aree paesaggisticamente vincolate, il Comune è obbligato a pronunciarsi con un provvedimento espresso: il condono o il suo rigetto non potendo omettere di dare conclusione al procedimento, confermando l’illegittimità dell’inerzia e la sua colpa (colpa che ha generato un danno alle casse comunali, con l’esborso delle spese individuate dal GA, e potenziali fonti di altre responsabilità: «La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente», comma 9, dell’art. 2 cit.).

[1] Cons. Stato, sez. IV, 29 maggio 2015, n. 2688.

[2] Il “silenzio-assenso” risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di accoglimento: tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo, rilevando che l’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore viene realizzato stabilendo che il potere (primario) di provvedere viene meno con il decorso del termine procedimentale, residuando successivamente la sola possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi “silenziosamente”, Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 2024, n. 8582, idem 8 luglio 2022, n. 5746.

[3] Cfr. Adunanza Plenaria n. 10/1978 e n. 1/2002.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 1739/2011.

[5] Per il risarcimento non si può in alcun caso prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’Amministrazione quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile, TAR Veneto, sez. II, 10 ottobre 2024, n. 2377. Il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest’ultimo deve fornire la prova, deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte della PA, ma sempre che la legge non preveda, alla scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, un’ipotesi di silenzio significativo, nel qual caso non vi è alcunché da risarcire, avendo l’interessato conseguito il provvedimento, Cons. Stato, sez. II, 17 settembre 2024, n. 7621..

[6] TAR Puglia, Bari, sez. I, 5 novembre 2024, n. 1148.

[7] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 11 luglio 2024, n. 20049.

[8] L’istituto del silenzio-assenso, ex art. 20 della legge n. 241/1990, non può trovare applicazione nei casi in cui sono in gioco utilità giuridiche pubbliche limitate, sicché, se esse sono attribuite in godimento in via esclusiva ad alcuni, si impone un corrispondente sacrificio in capo ad altri: quando ciò accade, non si può evidentemente prescindere da un provvedimento espresso dell’Amministrazione, TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 5 giugno 2023, n. 855.

[9] Ai fini della operatività del silenzio assenso occorre che la domanda sia “quantomeno aderente al ‘modello normativo astratto’ prefigurato dal legislatore” pena la “inconfigurabilità giuridica” della stessa (così Cons. Stato, sez. VI, Cons. Stato, sez. VI, 16 dicembre 2022, n. 11034 e già 8 luglio 2022, n. 5746, alla cui ricostruzione generale dell’istituto si fa rinvio) il che significa che la domanda deve essere completa degli elementi essenziali (“minimali” secondo Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2023, n. 11217), a pena di inconfigurabilità della stessa (in questo senso si veda anche Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2023, n. 11203), Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 2024, n. 7768.

[10] La disciplina del silenzio-assenso in relazione all’avviso dell’Autorità preposta alla gestione del vincolo paesaggistico nell’ipotesi di condono edilizio non trova applicazione nel caso in cui il vincolo abbia natura assoluta, TAR Sicilia, Catania, sez. III, 23 febbraio 2022, n. 532.

[11] In materia di silenzio inadempimento nel procedimento di condono, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 settembre 2021, n. 6453, nonché TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 4 marzo 2024, n. 1460 e TAR Lazio, Roma, sez. II, 7 agosto 2023, n. 13147.