«Libero Pensatore» (sempre)
Articolo Pubblicato il 24 Gennaio, 2017

Rapporti di parentela e conflitto di interessi

Rapporti di parentela e conflitto di interessi

Il “conflitto di interessi” in ambito pubblico è il substrato sociale, prima che giuridico, che permea e/o invade la condotta umana, alterandone la visione “neutra” e orientandone l’azione a vantaggio di una situazione personale, diretta o indiretta, consapevole o incosciente, precostituendo il risultato finale della commistione di contrapposti (in conflitto, appunto) valori, quello generale di “buon andamento e imparzialità”, quello utilitaristico della sfera individuale, in antitesi con i valori di “eguaglianza” e “democrazia” posti tra i “principi fondamentali” dalla Costituzione Italiana.

È noto che la presenza del conflitto di interessi, nel procedimento amministrativo, prescinde dall’esito – più o meno positivo – della decisione assunta, non involgendo la correttezza dell’operato del soggetto in conflitto di interessi, poiché l’analisi si ferma nella fase antecedente allo svolgersi del processo decisionale, prescindendo dall’esercizio della discrezionalità amministrativa o dal suo prodotto provvedimentale.

Una soluzione di facile accertamento ammette che di fronte all’esistenza del conflitto di interessi risulta del tutto ininfluente lo svolgersi dell’azione amministrativa, azione che risulta ab origine viziata, dovendo l’interessato astenersi da ogni attività, pena l’inevitabile travolgimento di tutte le fasi istruttorie e/o decisorie, alterate dalla presenza del soggetto in conflitto di interessi, in violazione con gli obblighi di trasparenza.

Occorre sottolineare che il principio della “trasparenza”, che con il d.lgs. n. 150/2009, ha assunto rilievo costituzionale, poiché gli è stata attribuita la qualità di livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, con la “legge anticorruzione” diviene la “misura preventiva” per eccellenza, come si ricava dalla lettura combinata dei commi 15, 16 e 32 dell’art. 1 della legge n. 190/2012.

Inoltre, l’attività concernente la “gestione del personale” è tra quelle maggiormente esposta al rischio corruzione e deve risultare fortemente rispettosa degli obblighi di trasparenza, soprattutto sotto il versante dell’assenza di conflitti di interessi in capo ai soggetti preposti alla selezione.

Più in generale, è giusto osservare che, nell’esercizio di una funzione pubblica, l’azione amministrativa deve perseguire – senza limiti interni – l’interesse generale, affinché l’agire neutro possa raggiungere lo scopo finalistico dell’interesse pubblico, libero da condizionamenti: un esercizio del potere discrezionale allo stato puro, in piena adesione con i canoni costituzionali di “buon andamento e imparzialità” (ex art. 97 Cost.).

Il conflitto di interessi corrompe il percorso decisionale favorendo una parte, immettendo una componente estranea (quella personale) nella comparazione dei fini generali, generando iniquità e disparità di trattamento, indebolendo l’imparzialità del processo dispositivo, entrando in antagonismo con una particolare situazione che può astrattamente oscurare o limitare l’equilibrio psicologico, esitando nell’assolvere la proiezione del “buon andamento” dell’azione amministrativa, operando in contrasto con la posizione di terzietà, in danno non apparente con l’interesse pubblico.

La questione sottoposta all’analisi dell’ANAC (ANAC Delibera n. 1305 del 21 dicembre 2016) intreccia i temi del confitto di interessi e le regole di condotta, concernendo una procedura di interpello (cd. call pubblica) finalizzata all’affidamento di incarichi dirigenziali conclusa – a seguito di apposita istruttoria – con un’ordinanza sindacale sottoscritta, oltre che dal sindaco (titolare della nomina), anche dal titolare dell’ufficio dirigenziale preposto alla selezione, legato con il dirigente nominato da un vincolo di parentela di secondo grado (si trattava del fratello).

Dalla relazione del RPCT emergeva che:

a. la procedura era seguita dal dirigente e che le candidature pervenute venivano trasmesse al sindaco, unico organo individuato dalla normativa quale soggetto investito di autonoma ed esclusiva responsabilità rispetto alla nomina dei dirigenti, ai sensi dell’art. 50, co. 10 del D.Lgs. n. 267/2000;

b. il sindaco procedeva, in solitario, all’analisi della documentazione pervenuta, alla valutazione delle candidature, all’individuazione dei nominati;

c. gli esiti istruttori del sindaco venivano trasmessi all’Ufficio del dirigente (Dipartimento organizzazione e risorse umane) per la predisposizione delle ordinanze sindacali di conferimento degli incarichi dirigenziali;

d. le ordinanze sindacali di conferimento, venivano tutte controfirmate dal dirigente preposto alla selezione e dal Segretario generale.

La relazione del RPCT concludeva affermando che “dal quadro normativo di riferimento e dalla ricostruzione dell’iter procedimentale non sembrerebbero sussistere, in relazione alla specifica procedura di nomina relativa all’incarico” del fratello del dirigente, preposto alla selezione, alcun conflitto di interessi, anche in via potenziale, non sussistendo margini di discrezionalità e/o valutazione da parte di quest’ultimo, visto il carattere meramente di supporto dell’attività svolta dall’Ufficio e l’assenza di ogni margine di discrezionalità tale da poter “configurare l’esercitabilità di un’influenza dello stesso sull’esercizio dei doveri istituzionali che l’ordinamento attribuisce” al titolare della competenza (rectius il sindaco).

Il RPCT informava, altresì, l’Autorità Indipendente che il dirigente non avrebbe rilasciato alcuna dichiarazione in merito al rapporto di parentela, né prima dell’interpello, né prima dell’ordinanza sindacale, ma successivamente; di converso, il sindaco riferiva della conoscenza di tale parentela ab initio del suo insediamento, precisando l’assenza di ogni coinvolgimento del dirigente nelle “fasi istruttorie, di valutazione e decisionali”.

Il fatto di non aver contribuito alla stesura del provvedimento finale ma di averne controfirmato l’atto, pur non essendo il titolare della competenza finale, esprime (direbbero altri) una prova certa del coinvolgimento procedimentale e ogni giustificazione diversa apparirebbe suggestiva; a contrario la sigla (controfirma) del dirigente sull’atto del sindaco ne invalida l’intestazione (incardinamento) alla competenza sindacale o, quanto meno, ne condivide il contenuto risultando indubbia la competenza.

Le argomentazioni che precedono, portano a ritenere che se la competenza è del sindaco, la sottoscrizione del dirigente, ai fini dell’effetto utile, avrebbe il solo scopo di seguire l’iter procedimentale, attestando la conclusione dell’istruttoria con la sottoscrizione del provvedimento (ergo dimostrando la sua partecipazione).

La giustificazione formulata dall’organo politico di essersi avvalso della collaborazione, anche solo ai meri fini istruttori, di funzionari dell’Amministrazione per la raccolta di tutta la documentazione, non può ritenersi risolutiva dell’obbligo di astensione del dirigente, ammette l’ANAC, in quanto apicale della citata struttura e dei funzionari preposti, rilevandosi del tutto ingiustificata.

Perplessità vengono poi segnalate quando nell’ordinanza sindacale si affermava da un lato, che l’istruttoria era stata effettuata in totale autonomia e dall’altro, il conferimento era la risultante dall’istruttoria svolta dalle strutture competenti.

L’accertato conflitto di interessi, per la violazione dell’art. 6 bis della legge n. 241/1990, dell’art. 7 del d.P.R. n. 62/2013, integra un comportamento contrario ai doveri d’ufficio, fonte di responsabilità disciplinare (art. 16 del cit. d.P.R.), rilevante anche sotto i profili penali ed erariali.

L’Autorità conclude il procedimento, oltre a trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica e alla Procura regionale della Corte dei Conti, invitando il RPCT a valutare:

a.                  la conformità della procedura di interpello ai principi di buon andamento ed imparzialità;

b.                 l’adozione di adeguate misure di prevenzione da inserire nell’erigendo aggiornamento del PTPCT.

 

(estratto, Estensione del conflitto interessi e codice di comportamento (nota a margine della delibera ANAC n.1305 del 21 dicembre 2016), LexItalia, 25 gennaio 2017)