Le sez. Unite Civ. della Corte Cassazione, con ordinanza 16 maggio 2019, n. 13245, nel definire il riparto di giurisdizione per l’illecito utilizzo di denaro pubblico chiarisce le finalità pubbliche per il corretto esercizio dell’azione amministrativa quando viene concesso un contributo.
La questione nella sua essenzialità verte:
- sulla condanna inflitta dalla Corte dei Conti ad un percettore di denaro pubblico (in conto capitale) mediante la produzione di documentazione falsa per l’ammissione al contributo;
- l’eccezione sollevate dall’interessato sul difetto di giurisdizione del Giudice contabile (ex 362 cod. proc. civ), in assenza di una norma che sancisse espressamente l’assoggettabilità dei privati, percettori o utilizzatori di pubblici contributi, alla responsabilità amministrativa e alla giurisdizione contabile;
- la disattesa eccezione effettuata dalla Corte dei Conti che rimarca – a contrario – la propria competenza ove vi sia uno sviamento dalle finalità perseguite nell’acquisizione a garanzia del bene, costituzionalmente tutelato, del buon funzionamento degli enti pubblici (ex 97 Cost.).
Il Giudice di legittimità di ultima istanza, nel confermare la giurisdizione della Corte dei Conti, analizza il quadro di riferimento e gli approdi giurisprudenziali, partendo dalle argomentazioni del privato che sosterebbe che, anche qualora percepisca fondi pubblici, non persegue alcun interesse pubblico nello svolgimento della propria attività economica, bensì esercita il proprio diritto di libera iniziativa economica, garantito dall’articolo 41 della Costituzione, in funzione di un proprio individuale interesse.
A ben vedere, già ai sensi dell’art. 12 della Legge n. 241/1990 il principio è cogente nell’affermare che, in presenza di un’utilità pubblica, non si possa prescindere da criteri di evidenza pubblica e trasparenza, esigendo la tracciatura dei benefici pubblici e il rispetto di regole primarie di verità: il denaro pubblico se concesso per finalità, appunto, pubbliche (di tutta la Comunità di cittadini) deve perseguire il bene comune (la c.d. finalizzazione), diversamente saremo di fronte ad un interesse egoistico (cioè privato) senza causa: una donazione arbitraria.
Ed allora, dobbiamo rammentare che la P.A. non possa porre in essere un negozio giuridico che arricchisca il terzo (ex art. 769 cod. civ.) non potendo effettuare “liberalità”, ed anche quando teoricamente ammessa, lo è soltanto in funzione dell’interesse pubblico con essa perseguito: «Gli enti pubblici per i loro fini istituzionali sono incapaci di porre in essere atti di donazione e di liberalità che non costituiscono mezzi per l’attuazione di detti fini»[1].
Ciò posto, nel rigettare il ricorso, le sez. Unite Civ. della Corte Cassazione con l’ordinanza n. 13245/2019, stabiliscono – nel solco della costante giurisprudenza[2] – la competenza della Corte dei Conti sulla base delle seguenti considerazioni:
- ai fini del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale, in ragione del sempre più frequente operare dell’Amministrazione al di fuori degli schemi del regolamento di contabilità di Stato e tramite soggetti in essa non organicamente inseriti, è irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, potendo tale titolo consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione amministrativa o in un contratto di diritto privato;
- il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato dalla qualità del soggetto – che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico – alla natura del danno e degli scopi perseguiti;
- il privato, cui siano erogati fondi pubblici, per sue scelte incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla pubblica amministrazione, alla cui realizzazione esso è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e la incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, esso realizza un danno per l’ente pubblico;
- il danno può disvelarsi anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione degli scopi pubblici, così come concretizzati ed approvati dall’ente pubblico. con il concorso dello stesso imprenditore;
- tra la Pubblica Amministrazione che eroga un contributo e il privato che lo riceve si instaura un rapporto di servizio[3].
In presenza dell’erogazione di un contributo pubblico, collegato ad un programma di utilizzo da parte del privato beneficiario, strumentale, quindi, a realizzare il fine pubblico, si radica la giurisdizione erariale: quando il destinatario del denaro pubblico, finalizzato alla realizzazione di un specifico fine pubblico, utilizza la risorsa per altri scopi il Giudice contabile ha pieno titolo nel sanzionare tale grave condotta: si tratta di perseguire una responsabilità amministrativa per danno erariale.
Con l’erogazione del denaro pubblico si instaura tra la P.A. concedente e il privato beneficiario un rapporto di servizio funzionale alla realizzazione di un programma finalizzato al perseguimento di un pubblico interesse, come nel caso della erogazione di risorse pubbliche sulla base di atti normativi, nazionali o dell’Unione Europea, diretti alla realizzazione di politiche economiche pubbliche in determinati settori ritenuti meritevoli di sostegno (ad es. agricoltura, industria, ricerca etc.).
Non merita ulteriore valutazione la sottolineatura che «l’interesse esclusivamente individuale e privatistico che muove l’imprenditore che chieda un contributo pubblico per la propria attività di impresa» non recherebbe alcun profilo pubblicistico del rapporto.
Sul punto, viene ribadito ancora una volta che è sempre configurabile un rapporto di servizio tra la P.A. «erogatrice di contributo ed i soggetti privati i quali, disponendo della somma erogata in modo diverso da quello preventivato o ponendo in essere i presupposti per la sua illegittima percezione, abbiano frustrato lo scopo perseguito dall’Amministrazione, distogliendo le risorse conseguite dalle finalità cui erano preordinate».
Donde il percettore del finanziamento risponde per danno erariale innanzi alla Corte dei Conti in tema di erogazioni percepite in modo illecito sulla base di dichiarazioni non veritiere.
Il danno erariale, conseguente alla mancata realizzazione degli scopi perseguiti con la contribuzione, non tiene in rilevanza:
- la qualità del soggetto che gestisce il denaro pubblico, il quale ben può essere un soggetto di diritto privato destinatario della contribuzione;
- il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio ma anche in una concessione amministrativa o in un contratto di diritto privato.
Il quadro dipinge un principio solare che in presenza di un progetto finalizzato alla cura di un interesse pubblico il beneficiario dell’erogazione economica (o del finanziamento), assume un “rapporto di servizio” con la P.A. non “organico” bensì funzionale con il ruolo di compartecipe – anche solo di mero fatto[4] – dell’attività del soggetto pubblico erogatore del contributo finalizzato alla realizzazione del pubblico interesse[5]: la natura del danno (erariale) è conseguente alla mancata realizzazione degli scopi perseguiti con la contribuzione ad assumere invero decisiva rilevanza.
La conseguenza della condotta del beneficiario, che disponga in modo diverso da quello preventivato e per il quale li ha ricevuti, risultando eluso lo scopo, è sottoposta al vaglio della Corte dei Conti per la cognizione della azione restitutoria – risarcitoria che, per la mala gestio del contributo, azione promossa dal Procuratore Generale.
L’illecita percezione o la indebita utilizzazione dei fondi pubblici ottenuti o la relativa dolosa appropriazione, depone per lo sviamento dalle finalità per la cui realizzazione è normativamente prevista la relativa erogazione, e, conseguentemente, per la causazione di un danno erariale in conseguenza dell’esborso di denaro pubblico e della mancata realizzazione della finalità pubblica che lo stesso era funzionalmente volto a realizzare.
A margine, va rammentato che spetta al Giudice ordinario, conformemente al principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di finanziamenti pubblici, secondo cui le relative controversie sono devolute alla cognizione del Giudice amministrativo nel caso in cui riguardino l’annullamento del provvedimento di attribuzione del beneficio per vizi di legittimità o la revoca dello stesso per contrasto con l’interesse pubblico, in relazione ai quali la posizione giuridica del beneficiario è qualificabile come interesse legittimo, spettando alla Pubblica Amministrazione il potere di riconoscere il contributo sulla base di una valutazione dell’interesse pubblico e previo apprezzamento discrezionale dell’an, del quid e del quomodo dell’erogazione[6]; mentre rientrano nella giurisdizione del Giudice ordinario nel caso in cui il privato debba considerarsi titolare di un diritto soggettivo, per avere la controversia ad oggetto la concreta erogazione del contributo o il ritiro disposto dalla Pubblica Amministrazione per inadempimento degli obblighi imposti al beneficiario, ovvero in assenza di margini discrezionali di apprezzamento delle ragioni di pubblico interesse sottese all’erogazione[7].
La facoltà, spettante alle Amministrazioni convenute, di promuovere le ordinarie azioni civilistiche per ottenere la restituzione del finanziamento concesso e l’azione di risarcimento del danno erariale, il cui esercizio è invece demandato al Procuratore presso la Corte dei Conti, ancorché investano gli stessi fatti materiali, restano infatti distinte e reciprocamente indipendenti, essendo la prima volta al recupero dell’importo erogato, a tutela dello interesse particolare delle Amministrazioni interessate, e la seconda alla tutela dell’interesse pubblico generale al buon andamento della Pubblica Amministrazione ed al corretto impiego delle risorse, con funzione prevalentemente sanzionatoria[8].
[1] Cass. Civ., 7 dicembre 1970, n. 2589.
[2] Cass. Civ., sez. Unite, sentenza n. 4511 del 2007.
[3] Cass. Civ., sez. Unite, sentenze n. 20434/09, n. 1774/13 n. 3310/14, n. 23897/15, n. 1515/16, n. 18991/17, n. 21297/17, n. 14436/18.
[4] Cfr. Cass. Civ., sez. Unite, 21 maggio 2014, n. 11229; 20 giugno 2012, n. 10137; 22 novembre 2010, n. 14825.
[5] Cfr. Cass. Civ., sez. Unite, 25 gennaio 2013, n. 1774.
[6] Rientra nella giurisdizione del Giudice amministrativo la controversia relativa alla revoca, per mancato raggiungimento dell’obiettivo, Cass, Civ., sez. Unite, ordinanza 12 aprile 2019, n. 10377.
[7] Cass. Civ., sez. Unite, ordinanza 2 maggio 2019, n. 11587.
[8] Cass. Civ., sez. Unite, 28 novembre 2013, n. 26582; 10 settembre 2013, n. 20701; 4 gennaio 2012, n. 11.