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Articolo Pubblicato il 14 Marzo, 2024

Reiterazione dei rapporti a termine nella PA

Reiterazione dei rapporti a termine nella PA

La sentenza 1° febbraio 2024, n. 2992, della sez. Lavoro della Cassazione, esprime una chiara posizione di tutela effettiva del lavoratore dipendente della PA, quando il rapporto di lavoro viene reiterato – in assenza di un contratto (forma negoziale) – non potendo invocare (la PA) ai fini di escludere il risarcimento del danno la violazione della forma scritta ad substantiam, imposta a livello generale dagli artt. 16 e 17 delle Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato, del RD n. 2440 del 1923 (oltre i cento anni di vita).

Nessuna prevalenza della forma sulla sostanza della ratio legis a presidio dei diritti del lavoratore, escludendo che si possa eludere la forza della norma (anti precariato) sulla base di una “prassi” non regolare, rilevando che la richiesta del risarcimento si prescrive in dieci anni[1].

Precisazioni

Si può, anche, giungere a sostenere che in materia di pubblico impiego contrattualizzato, in caso di abusivo ricorso ai contratti di lavoro a termine cui sia succeduta l’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato, il lavoratore ha diritto (comunque)[2] al risarcimento del danno comunitario[3], che prescinde dalla prova di un effettivo pregiudizio economico, salvo che sia stato successivamente stabilizzato, ovverosia sia stato assunto a tempo indeterminato dalla medesima PA e in rapporto causale diretto con il precedente abuso dei contratti a termine, non essendo a tal fine sufficiente che l’assunzione sia stata semplicemente agevolata dall’abuso[4].

La richiesta risarcitoria

La questione affrontata si sofferma sulla legittima richiesta del risarcimento del danno per abusiva reiterazione di contratti di lavoro a termine (flessibile) non sottoscritti in un apposito contratto (e il pagamento di un’indennità economica quale corrispettivo della permanente disponibilità a prestare l’attività lavorativa, a chiamata, nell’arco di tutto l’anno solare: profilo, questo, ritenuto destituito da ogni fondamento).

Viene accertata la violazione della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, riferita ai principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, sulla loro durata massima totale, dove i contratti a tempo indeterminato sono la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori: l’abuso della reiterazione viola apertamente i sistemi di protezione sociale rivolti alle persone impegnate in tali lavori, non contribuendo alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento.

In effetti, la giurisprudenza[5] ha affermato che:

  • l’abusivo ricorso al contratto a termine – ed anzi, più in generale, l’illegittimo ricorso al contratto a termine (c.d. precarizzazione) – è fonte di danno risarcibile per il lavoratore che abbia reso la sua prestazione lavorativa in questa condizione di illegalità, stabilendo il risarcimento del danno contenuto nella misura fissata dall’art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010, n. 183 (comma abrogato)[6].
  • nel rapporto pubblicistico, ove la conversione non è possibile in presenza di disposizioni imperative, ex 3 e 97 Cost.[7], il lavoratore pubblico – e non già il lavoratore privato – ha diritto a tutto il risarcimento del danno (un danno c.d. presunto, salva la possibilità di dimostrare un maggior pregiudizio patito) senza necessità di prova alcuna: sollevato dall’onere probatorio ai fini dell’indennità risarcitoria.

Profili di sostanza

Al di là della questione sulle modalità di assunzione “stagionale”, secondo una disciplina regionale “a chiamata”, «per le esigenze connesse all’esecuzione dei lavori condotti in amministrazione diretta» avvalendosi dell’opera di un contingente di lavoratori a tempo nei limiti di un numero di giornate lavorative prestabilite, con tendenza alla stabilizzazione, quello che risulta centrale e decisivo non è «la nullità del contratto per mancanza della forma scritta richiesta ad substantiam per tutti i contratti della pubblica amministrazione» quanto l’aver effettivamente prestato l’attività lavorativa.

In termini diversi, la nullità radicale del contratto di lavoro per mancanza di forma, non è dirimente per la sua eventuale pretesa di trasformazione a tempo indeterminato, giacché pur una volta escluso il diritto del lavoratore alla conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, il risarcimento del c.d. «danno comunitario», nella misura forfettaria indicata dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, è dovuto: non si può argomentare che la mancata stipulazione o l’inserimento di un termine finale siano giustificazioni valide per escludere la tutela che presupporrebbe (ragionando in continuità) la stipulazione di un valido contratto di lavoro, nel quale venga illegittimamente fissato e reiterato un termine finale di durata.

Ne deriva che la pretesa nullità formale del contratto di lavoro a termine reiterato non impedisce la protezione contenuta nelle norme del d.lgs. n. 368 del 2001, di attuazione della direttiva 1999/70/CE, così come quelle ora scritte nell’art. 28, comma 2, del d.lgs. 81 del 2015, Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183:

  • si applicano anche ai rapporti di lavoro instaurati con le Pubbliche Amministrazioni su tutto il territorio nazionale, comprese le ragioni a statuto speciale;
  • un contratto di lavoro non stipulato secondo la disciplina di riferimento nulla toglie alla necessità di applicare le norme di legge imperative che disciplinano quel rapporto;
  • diversamente (opinando) verrebbe meno il raggiungimento, anche nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, dell’obiettivo perseguito dalla citata direttiva 1999/70/CE, di limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori[8].

Profili di forma

La sentenza si limita a considerare la forma scritta legata ad esigenze diverse, ovvero quelle di definire le modalità del rapporto negoziale reiterato, contribuendo a garantire il controllo sulle regole dettate dal comunitario su quello interno, dove – la certezza del contenuto temporale previsto nel contratto reiterato – dimostra la violazione delle finalità comunitarie, e, quindi, dell’abuso, ma la sua mancanza o la mancata stabilizzazione del rapporto, risultano indici chiari della violazione e del conseguente riconoscimento del c.d. danno comunitario.

Coerente con tale impostazione e in funzione dell’effettività della tutela del lavoro precario, imposta dal diritto dell’Unione Europea, anche in considerazione della regola che impedisce la trasformazione del rapporto (illegittimamente) a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato nella PA, in assenza di un contratto formale non è possibile anteporre (secondo il diritto interno) un divieto probatorio per impedire il ristoro: il risarcimento del danno va riconosciuto dalla presenza della reiterazione del rapporto, anche se non contrattualizzato in un atto negoziale.

Diversamente, il dettato comunitario verrebbe infranto «qualora l’agevolazione nella tutela risarcitoria del lavoratore illegittimamente assunto a termine dalle pubbliche amministrazioni fosse condizionata al presupposto, meramente formale, della stipulazione del contratto per iscritto».

Seguendo il ragionamento della forma scritta, la stessa Amministrazione datrice di lavoro nell’esigere la prestazione lavorativa reiterata avrebbe essa stessa violata la norma (ex artt. 16 e 17 del RD n. 2440 del 1923), assumendo un ruolo di principale responsabile della illegittimità del proprio operato, e tale illegittimità costituirebbe il fondamento illogico (contrario ad ogni razionalità) per negare la dovuta tutela giuridica del lavoratore: un comportamento (abnorme) del datore di lavoro del tutto illegittimo che pretenderebbe di fondare in un ulteriore illegittimità nel disconoscere, sotto un diverso profilo, la necessaria tutela dalla reiterazione indebita del rapporto, ove si consideri che l’azione del decisore pubblico è funzionalizzata (fine prestabilito dalla legge) al buon andamento e all’imparzialità (il c.d. valore pubblico).

Sintesi e massima

L’Accordo quadro allegato, come parte integrante, alla Direttiva 1999/70/CE, tra i primi punti fondanti ha proprio l’obiettivo dichiarato di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di «contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato», manifestando chiaramente l’intenzione di prevedere una tutela del rapporto di lavoro, anche a prescindere dalla disciplina del contratto in quanto tale, dimostrando nel concreto la sua effettività.

D’altronde, l’agevolazione probatoria ai fini del risarcimento del danno è posta proprio a presidio del principio di effettività della tutela dei lavoratori precari nell’ambito del lavoro pubblico, che verrebbe subito meno in conseguenza di un vizio formale nella stipulazione del contratto: la mancanza di forma scritta.

Seguono le indicazioni al giudice del rinvio: «la tutela del lavoratore precario nell’ambito del lavoro pubblico contrattualizzato, come sancita nella sentenza n. 5072/2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – e, in particolare, l’esonero dall’onere probatorio del danno e del nesso causale nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 – non vengono meno nel caso in cui i contratti di lavoro a termine siano nulli per mancanza di forma scritta ai sensi degli artt. 16 e 17 del r.d. m. 2440 del 1923, in quanto in mancanza di forma scritta si realizza anche la violazione delle norme sulla specificazione della causale o di certezza dell’assetto temporale del lavoro a termine che sono funzionali, nel diritto interno, all’esigenza antiabusiva di cui all’art. 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/79/CE».

[1] Nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, il termine decennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno cd. comunitario spettante al lavoratore decorre dall’ultimo contratto, in considerazione della natura unitaria del predetto diritto, sicché il numero dei contratti succedutesi (reiterati) rileva solo ai fini della liquidazione del danno, potendo anche quelli stipulati oltre dieci anni prima della richiesta di risarcimento avere incidenza sulla quantificazione del pregiudizio patito dal dipendente, Cass. civ., sez. lav., Ord., 12 dicembre 2023, n. 34741.

[2] L’assunzione non è idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito, Cass. civ., sez. lav., 3 ottobre 2023, n. 27882.

[3] Il risarcimento non ha la finalità di sostituire o integrare il reddito da lavoro (lucro cessante), ma ha valenza risarcitoria (danno emergente) rispetto alla perdita della chance di un’occupazione alternativa migliore, Cass. civ., sez. V, Ord., 20 novembre 2023, n. 32107.

[4] Cass. civ., sez. lav., Ord., 27 novembre 2023, n. 32904.

[5] Cass. civ., SS.UU., 15 marzo 2016, n. 5072.

[6] Vedi, sul criterio di liquidazione del danno eurounitario, Cass. civ., sez. lav., 14 dicembre 2022, n. 36659; Ord. 17 marzo 2021, n. 7530 e Ord. 29 novembre 2018 – 6 febbraio 2019, n. 3478.

[7] Cfr. comma 5, dell’art. 32, Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato, del d.lgs. n. 165/2001, dispone «In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative».

[8] Cfr. CGUE, sentenza CGUE 26 novembre 2014, Mascolo e a., nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, punto 72.