Nella gestione dei beni pubblici la regola base può essere riassunta nei principi elementari e comuni del buon andamento (ex art. 97 Cost. e art. 1 della Legge n. 241/1990), principi dell’evidenza pubblica e della necessaria utilità che dovrebbe percepire la P.A. nell’assegnare una risorsa pubblica ad un terzo.
Risulta evidente l’illegittimità di un affidamento diretto di un bene pubblico, senza alcuna procedura selettiva, in aperta violazione con i principi generali della contabilità pubblica (secondo le regole che impongono un’entrata nei contratti attivi attesa la reddittività dei beni) e la disciplina comunitaria della concorrenza, pubblicità e trasparenza[1].
Inoltre, non va trascurato che l’art. 12 della Legge 241/1990 che disciplina i provvedimenti attributivi di vantaggi economici stabilisce espressamente, al comma 1, che «La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi» e, al comma 2, che «L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1».
Obblighi di pubblicità sono espressamente imposti per gli atti deliberativi (regolamenti), ex art. 124 del D.Lgs. n. 267/200 (c.d. TUEL, che sostituisce la pubblicazione all’albo pretorio giusto il disposto dell’art. 32 della Legge n. 69/2009), e che più di recente l’art. 26 del D.Lgs. n. 33/2013 (c.d. Decreto Trasparenza) ha disciplinato gli «Obblighi di pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati».
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa non ha mancato di rilevare che l’erogazione di tutti i contributi pubblici, deve essere almeno governata da norme programmatorie che definiscano un livello minimo delle attività da finanziare, trattandosi, peraltro, di un vero e proprio “procedimento amministrativo”, dove occorre far riferimento all’iter descritto nella Legge n. 241/90, con ciò imponendosi non solo l’adeguata pubblicizzazione dell’avvio del procedimento, ma anche la previa individuazione di criteri, di carattere oggettivo, tali da investire la generalità dei provvedimenti concessori[2].
Le disposizioni alludono, con chiarezza precettiva, a una categoria di contributi pubblici che sono oggetto di potestà autoritativa, tradizionalmente riconducibile all’alveo “concessioni”, al cui cospetto la posizione soggettiva del privato concessionario degrada a mero interesse legittimo, espressamente prevista dalla “procedimentalizzazione” dell’iter concessorio e la precipua subordinazione a precisi presupposti normativi, il cui esito finale è un provvedimento impugnabile dinanzi al giudice amministrativo[3].
L’insieme porta a ritenere che la concessione di un bene, anche mediante una locazione o un comodato gratuito, esige una procedura aperta, e una giustificazione rafforzata (motivazione, ex art. 3 della Legge n. 241/1990) qualora l’Amministrazione intenda conferire un’utilità (gratuità), fosse pure in funzione di un principio comunitario di sussidiarietà orizzontale[4].
Nell’assegnazione di un bene l’Amministrazione non può obliterare del tutto la sua posizione giuridica di vantaggio, concedendo «in spregio alle basilari regole di evidenza pubblica» un terreno di proprietà senza alcun genere di confronto concorrenziale, pur in presenza di istanze di concessione in affitto e/o l’acquisto del suolo, presentate in occasione di un’apposita procedura di interpello per la vendita.
Risulta di solare evidenza e nella stratificazione normativa che in presenza di un bene pubblico l’assegnazione non può che avvenire a seguito di un procedimento di evidenza pubblica mediante gara aperta:
- l’art. 3 del R.D. n. 2240/1923 (Nuove disposizioni sull’Amministrazione del Patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato) prevede che «i contratti dai quali derivi un’entrata per lo Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, delle quali dovrà farsi menzione nel decreto di approvazione del contratto, e limitatamente ai casi da determinare con il regolamento, l’amministrazione non intenda far ricorso alla licitazione ovvero nei casi di necessità alla trattativa privata»;
- l’art. 37, comma 1 del Regolamento di Contabilità Generale dello Stato (R.D. n. 827/1924) stabilisce che «Tutti i contratti dai quali derivi entrata o spesa dello Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti» (art. 37 comma 1).
- l’art. 4 del D.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) ad oggi prevede che «l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica».
Va da se che l’inserimento in forma esplicita della locuzione “contratti attivi”, tra quelli esclusi dall’ambito di applicazione del Codice nell’art. 4 del D.Lgs. n. 50/2016, avvenuto ad opera dal “decreto correttivo” al Codice dei contratti (il D.Lgs. n. 56/2017), secondo le indicazioni fornite anche dal Consiglio di Stato[5], che riteneva pacifica l’applicazione – anche per questo genere di contratti – dei principi di trasparenza, pubblicità ed imparzialità nell’individuazione del contraente, impone ugualmente che l’affidamento deve avvenire tramite gara con una reale ed effettiva concorrenza, nel rispetto dei principi generali che governano l’azione amministrativa[6].
Infatti, in tema di concessioni su beni pubblici economicamente contendibili possono essere affidati a privati solo all’esito di una procedura comparativa ad evidenza pubblica[7]: in presenza di attribuzione di vantaggi economici a privati è sempre richiesta una procedura trasparente, con criteri di assegnazione prestabiliti, e all’esito di una comparazione tra più soggetti potenzialmente interessati all’utilizzo del bene[8].
In definitiva, la procedura di gara non può essere pretermessa e gli affidamenti diretti, rectius assegnazione beni, non trovano cittadinanza nel diritto della P.A., tale principio (come rilevato) è riscontrabile nelle disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato (ex art. 3, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440) che, a garanzia del maggiore vantaggio per l’Amministrazione e degli stessi diritti di accesso dei privati alle commesse ed ai beni pubblici, assoggetta indistintamente alle regole di selezione del contraente sia i contratti che determinino spesa a carico dell’erario, sia quelli da cui derivino entrate[9].
Il primato della legge trova riscontro nell’affermata inerenza dei principi e delle regole di evidenza pubblica anche ai “contratti attivi” stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni in quanto derivante direttamente dal Trattato sul funzionamento dell’U.E. le cui disposizioni «trovano attuazione non solo nelle ipotesi in cui una puntuale prescrizione del diritto comunitario derivato ne renda obbligatorio l’utilizzo ma, più in generale, in tutti i casi in cui un soggetto pubblico decida di individuare un contraente per l’attribuzione di un’utilitas di rilievo economico comunque contendibile fra più operatori del mercato»[10].
Principi, pare giusto ribadire, ora espressamente sanciti dall’art. 4 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, così modificato dall’art. 5, comma 1, del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56, a mente del quale «L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica».
Ne deriva che qualora una P.A. intenda assegnare un bene – in locazione o concessione – deve procedere all’individuazione del soggetto attraverso una procedura comparativa delle istanze, peraltro senza poter riconoscere alcuna prelazione in favore di un eventuale precedente assegnatario e inserendo tale modalità eventualmente nei benefici economici (per la concessione di beni a titolo gratuito, ossia comodato).
I beni pubblici, specie se demaniali e in quantità limitata[11], vanno concessi attraverso una procedura aperta, comparativa, trasparente mediante un interpello del mercato (c.d. call pubblica), trattandosi sempre di una risorsa che appartiene alla Comunità e che la Pubblica Amministrazione è chiamata, appunto, ad amministrare nell’interesse pubblico, di tutti.
La violazione delle regole procedimentali, l’assenza di pubblicità, il difetto di previa attività istruttoria di verifica della legittimazione del singolo richiedente, comporta inoltre una responsabilità patrimoniale in conseguenza di un affidamento di immobile comunale (già oggetto di locazione) in comodato, senza la previa individuazione e pubblicazione dei criteri di individuazione del beneficiario e la rinuncia alla sua remunerazione.
La sez. giurisdizionale Molise, con la sentenza n. 53 del 16 dicembre 2019, condanna gli amministratori di un Comune a risarcire il danno del mancato introito dei canoni mensili per l’uso di un immobile a titolo gratuito, senza l’espletamento di una procedura concorsuale.
È indispensabile, pertanto, definire in via regolamentare le modalità di assegnazione delle utilità, e nel caso specifico la possibilità di concedere beni a titolo gratuito secondo parametri predefiniti e previo avviso pubblico; cosicché il mancato introito dei canoni locativi non può integrare un danno all’erario, avendo cura di trasferire o precisare i costi della manutenzione ordinaria dei beni (da porre a carico del beneficiario).
In effetti, in base ad una fonte regolamentare non sussiste un divieto di concessione in uso gratuito di immobili comunali (contratto comodato) privi di specifica destinazione, purchè detta scelta sia adeguatamente motivata sotto il profilo dell’interesse pubblico e della compatibilità finanziaria dell’operazione, osservando le regole di trasparenza in premessa citate.
Ciò posto, il Collegio giudicante premette che:
- trattandosi di bene del patrimonio disponibile dell’Ente, nella specie si era in presenza di un rapporto negoziale, il Comune avrebbe dovuto assicurare un confronto concorrenziale, lato sensu inteso, ai fini dell’affidamento del bene[12];
- soltanto in presenza di beni demaniali o del patrimonio indisponibile si impone il ricorso a procedura di concessione di beni (anche – in questo caso – mediante procedura aperta), nel mentre di norma il rapporto avente ad oggetto il godimento di bene immobile compreso nel patrimonio disponibile si qualifica in termini privatistici[13];
- dalla natura patrimoniale disponibile del bene pubblico discende che l’attribuzione in godimento a soggetti terzi venga effettuata secondo le categorie negoziali di diritto comune, con contratti di locazione “attiva”, da considerare strumenti di incremento delle risorse pubbliche, improntati a criteri di stretta economicità (ex art. 1, della Legge n. 241/1990), con l’effetto che si dovrebbe garantire, da un lato, livelli ottimali di soddisfazione dell’interesse pubblico generale attraverso l’impiego di risorse proporzionate, dall’altro, il massimo valore ottenibile dall’impiego delle risorse a disposizione[14].
Fatta questa analisi giuridica, viene evidenziato il danno all’erario dalla plurima violazione di legge (mancata applicazione dell’art. 12 della legge sul procedimento amministrativo e, quindi, mancata pubblicazione dell’atto ex art. 26 del Decreto Legislativo n. 33/2013) con l’inefficacia del contratto di comodato, avendosi il Comune privato della disponibilità del bene in assenza dei relativi introiti, peraltro precedentemente percepiti a titolo di locazione e valutati dall’Ente stesso con perizia estimativa.
È cangiante, per la definizione del canone, l’aver effettuato una stima dei beni, stima inserita nella struttura della norma giuridica, quale parametro di riferimento delle entrate programmabili (riscossioni) dal bene; un criterio tecnico inadeguato o il giudizio fondato su operazioni non corrette o insufficienti comportano un vizio di legittimità della scelta operata, a riprova della destinazione ad assolvere un’utilità economica pubblica (o, diversamente, un interesse pubblico prevalente rispetto all’entrata ascrivibile a bilancio)[15].
In termini diversi, un bene dato prima in locazione non può essere poi concesso in comodato, privandosi della relativa entrata, e allo stesso tempo senza espletare (qualora ritenuto di affidarlo in concessione) una procedura pubblica di assegnazione, dovendo – in questo caso – bilanciare l’interesse pubblico all’affidamento del bene in concessione (alias comodato gratuito).
In effetti, l’Amministrazione aveva posto la questione all’attenzione della sez. contr. Molise della Corte dei Conti, in merito alla possibilità di affidamento in comodato del bene la quale ne aveva riferito:
- la piena applicabilità al comodato del disposto dell’art. 12 della Legge n. 241/1990;
- evidenziando che l’astratta possibilità di concedere gratuitamente l’uso dell’immobile fosse subordinata alla riscontrabilità di un interesse pubblico equivalente o superiore a quello patrimoniale del Comune, oltre che all’assenza di scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal soggetto destinatario (da accertarsi in concreto).
Alla luce delle considerazioni che precedono se da una parte, un bene pubblico può essere dato in concessione ad uso gratuito per finalità pubbliche (sociali), dall’altra parte, è indispensabile effettuare una procedura concorsuale e giustificare – sotto il profilo della convenienza economica – il bilanciamento tra il cit. interesse pubblico e l’omessa riscossione di un canone (già riscosso in precedenza, come nel caso oggetto di pronunciamento), modificando l’assetto giuridico (uso) del bene.
Questo risulta coerente con l’assunto che la mancata riscossione delle entrate patrimoniali (di natura privatistica) appare, inoltre, incompatibile con il principio di valorizzazione del patrimonio immobiliare, dovendo i beni patrimoniali tendere all’incremento del valore economico delle dotazioni stesse, onde trarne una maggiore redditività finale, e al potenziamento delle entrate di natura non tributaria, ex art. 58 del D.L. n. 112/2008.
La Corte dei Conti, ha altresì chiarito che un bene del patrimonio disponibile va immesso nel mercato secondo gli strumenti privatistici della locazione, mentre qualora il bene risulta inserito nel patrimonio indisponibile o demaniale, è necessario utilizzare gli strumenti pubblicistici della concessione: entrambi esigono – in ogni caso – una procedura trasparente per l’affidamento/assegnazione.
Pare giusto, allora, definire in via prioritaria la destinazione dei beni, e successivamente imporre una procedura aperta per la loro assegnazione mediante un regolamento che ne stabilisca le modalità di utilizzo (e le finalità), specie ove sia preminente l’utilità sociale e l’omissione della riscossione di un canone[16], pena la responsabilità erariale (specie quando si conduca all’eventuale rinuncia al credito)[17].
A margine giova rammentare che se in linea generale anche nella legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato (ex art. 3 R.D. n. 2440/1923 e R.D. n. 827/1924), ai sensi del quale ogni contratto da cui derivi un’entrata o una spesa deve essere preceduto da una gara, salvo che non ricorrano le ipotesi eccezionali in cui è possibile fare ricorso alla procedura negoziata, l’individuazione del contraente o locatario non può avvenire tramite l’intermediazione diretta di una agenzia immobiliare ed il conseguente pagamento di somme, a titolo di provvigione per intermediazione immobiliare, giacché tale metodologia non è conforme ai principi di buon andamento, imparzialità ed economicità dell’Amministrazione sanciti dall’art. 97 della Costituzione e richiamati dal Codice dei contratti pubblici[18].
Si tratta, a ben vedere, di applicare un criterio di cautela e di diligenza, assolvere i compiti attribuiti richiamandosi ai principi di ragionevolezza e proporzionalità che devono sempre innervare la scelta discrezionale, criteri che se non rispettati, la rendono un dannoso arbitrio visto che la discrezionalità amministrativa (specie quella tecnica) non può, per ciò, divenire strumento per esonerare dalla responsabilità risarcitoria coloro che, servendosi di essa, intendano o meno pervenire a risultati pregiudizievoli per la P.A., e in definitiva, per la collettività, atteso che, di principio, essi devono essere i primi a rispondere delle conseguenze negative del loro operato[19].
[1] T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 26 luglio 2019, n. 1070.
[2] Cons. Stato, sez. V, 23 marzo 2015, n. 1552.
[3] Cass. Civ., sez. Un. 16 maggio 2008, n. 12372 e 24 gennaio 2013, n. 1710; Cons. Stato, Ad. Plen., 29 luglio 2013, n. 17e 29 gennaio 2014, n. 6.
[4] Cfr. Corte Conti, sez. contr. Veneto, Delibera 27 novembre 2019, n. 339 e sez. contr. Lombardia, Deliberazione 17 aprile 2019, n. 146.
[5] Parere n. 855 del 1 aprile 2016, recepito dalla Commissione Speciale del Consiglio n. 1241/2018 del 10 maggio 2018.
[6] Il contratto di locazione, in quanto contratto attivo, è espressamente escluso all’applicazione del D.Lgs. n. 50/2016, ai sensi dell’art. 17, comma 1, del medesimo Codice degli appalti, secondo il cui disposto: «le disposizioni del presente codice non si applicano agli appalti e alle concessioni di servizi: a) aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni»; tuttavia, anche in ossequio al criterio di prevalenza, finalizzata alla locazione di immobile comunale è sottoposta ai principi di concorrenza e proporzionalità, non discriminazione e imparzialità, pubblicità e trasparenza, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 19 aprile 2019, n. 2214.
[7] Cons. Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2013, n. 5; Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168; 23 luglio 2008, n. 3642; 21 maggio 2009, n. 3145; 31 gennaio 2017, n. 394 e Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2016, n. 4911.
[8] T.A.R. Lombardia, Milano, 17 ottobre 2017, n. 1871. Idem per le proroghe automatiche delle concessioni demaniali, Corte Giustizia UE, sez. V, 14 luglio 2016, in Cause riunite C- 458/2014 e C67/2015.
[9] Cfr. T.A.R. Umbria, sez. I, 4 maggio 2012, n. 165; T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 6 aprile 2012, n. 165.
[10] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 2008, n. 2280. Infatti, qualora le Autorità pubbliche intendano assegnare una concessione che non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive relative alle diverse categorie di appalti pubblici, sono tenute a rispettare le regole fondamentali del Trattato FUE, in generale, e il principio di non discriminazione, in particolare, specie quando il bene sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. V, 14 luglio 2016, n. C-458/14.
[11] L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 25 febbraio 2013, n. 5, chiarisce che la procedura competitiva è quella che meglio garantisce, in caso di assegnazione di concessioni di beni pubblici – in considerazione della scarsità della risorsa o quando risulti di fatto contingentata – tutti i contrapposti interessi in gioco, fra cui la libertà di iniziativa economica e l’effettiva concorrenza fra gli operatori economici.
[12] Cfr. Corte Conti, sez. contr. Sardegna, Delibera n. 4/2008.
[13] Cass. Civ., sez. III, 19 maggio 2000, n. 6482; sez. III, 22 giugno 2004, n. 11608; sez. III, 19 dicembre 2005, n. 27931; sez. V, 31 agosto 2007, n. 18345.
[14] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 dicembre 2007, n. 6265 e 16 maggio 2003, n. 1991.
[15] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601 e 21 maggio 2008, n. 2404.
[16] L’affidamento di concessioni amministrative aventi ad oggetto l’uso di beni pubblici (siano essi del demanio ovvero del patrimonio indisponibile dello Stato, delle Regioni o dei Comuni) resta assoggettato al generale obbligo delle Amministrazioni – derivante dai fondamentali principi di diritto comunitario rinvenibili direttamente nel Trattato CE (libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi, nonché principi di par condicio, imparzialità e trasparenza) – di esperire procedure ad evidenza pubblica ai fini della individuazione del soggetto contraente, ANAC, Delibera n. 25 del 17 gennaio 2019, «Istanza congiunta (per adesione successiva) di parere di precontenzioso ex art. 211, comma 1, del d.lgs.50/2016 …».
[17] Corte Conti, sez. II App., 12 marzo 2019, n. 78, ove si sofferma sulla riscossione delle entrate patrimoniali che si pone come atto doveroso di recupero delle indispensabili risorse materiali necessarie a far fronte alla spesa pubblica (c.d. principio di indisponibilità dei crediti); ciò in ossequio al principio di matrice costituzionale (artt. 81, 97, 119 Cost.) di equilibrio dei bilanci pubblici, e anche alla ratio sottesa al procedimento di entrata (accertamento, riscossione e versamento).
[18] ANAC, Delibera n. 1085 del 05 ottobre 2016, «Individuazione, da parte di …, degli immobili da condurre in locazione passiva siti in …».
[19] Corte Conti, sez. III App., 18 luglio 2011, n. 330 e 6 luglio 2011, n. 302.