(estratto pubblicato: Revisione prezzi e mancata stipulazione del contratto in condizioni emergenziali: possibili soluzioni, Comuni d’Italia, 2022, n. 4 e Appalti&Contratti, 2022, n. 5)
Inquadramento
L’attuale situazione emergenziale sanitaria, l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia (il conflitto armato in Ucraina), hanno prodotto una serie di effetti negativi sull’economia e sui contratti pubblici, inducendo il legislatore ad un intervento per assicurare la funzionalità degli apparati pubblici, e nello specifico contrastare l’aumento dei prezzi dovuto ad un quadro altamente incerto di sviluppo (rectius di approvvigionamento dei beni necessari per l’esecuzione dei contratti di affidamento di lavori, servizi e forniture), ossia di reperimento delle risorse (i materiali) e dei relativi costi, risultando (a volte) del tutto aleatorio la sottoscrizione di un contratto di appalto pubblico da parte dell’operatore economico aggiudicatario: si interviene sulle condizioni di cui all’art. 106, Modifica di contratti durante il periodo di efficacia, del d.lgs. n. 50/2016 (le c.d. «circostanze impreviste e imprevedibili»).
In effetti, la formulazione dell’art. 29, Disposizioni urgenti in materia di contratti pubblici, del D.L. 27 gennaio 2022, n. 4, Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico, convertito con modificazioni in legge 28 marzo 2022, n. 25 (c.d. Sostegni-ter) con l’introduzione di una nuova disciplina (fino al 31 dicembre 2023) in tema di revisione dei prezzi e aggiornamento dei prezzari nei contratti pubblici (vedi, il comma 11 bis), risponde a questa esigenza: consentire un adeguato/corretto rapporto negoziale dove il sinallagma funzionale (prezzo – prestazione) mantiene il proprio equilibrio, specie quando l’aggiudicazione è avvenuta in un contesto dove i prezzi necessari a dar corso all’appalto risultavano stabili, o quanto meno con oscillazioni rientranti nell’andamento dei mercati: non ad horas visto il progressivo e costante cambio di condizioni del mercato.
Occorre rammentare che la clausola di “revisione dei prezzi” prevista (sempre) nei contratti ad esecuzione continuata e periodica non assume la funzione di eliminare completamente l’alea tipica di un contratto di durata (essendo proprio oggetto di specifico apprezzamento al momento della formulazione dell’offerta economica, in quanto incide sull’utile d’impresa) ma costituisce il meccanismo funzionale a prevedere una correzione dell’importo previsto ab origine in esito al confronto comparativo — per prevenire il pericolo di un’indebita compromissione del sinallagma contrattuale — il riequilibrio non si risolve in un automatismo perfettamente ancorato ad ogni variazione dei valori delle materie prime (o dei quantitativi), che ne snaturerebbe la ratio trasformandolo in una clausola di indicizzazione, quanto semmai una condizione per adeguare, entro margini di ragionevolezza e secondo criteri prestabiliti (in base all’istruttoria, ex art. 3 della legge n. 241/1990), il quantum (in termini economici) del rapporto obbligatorio, a fronte della prestazione eseguita in un arco temporale esteso, e, quindi, soggetto ad oscillazioni: un procedimento valutativo che non esenta l’appaltatore dall’alea contrattuale.
Secondo un orientamento giurisprudenziale la finalità della revisione dei prezzi si manifesta da un verso, nel salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle Pubbliche Amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte, dall’altro verso, nell’evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto.
La revisione prezzi, con le sue modifiche e integrazioni stratificatesi nel tempo, valorizza una finalità riconducibile alla salvaguardia dell’interesse pubblico per garantire che l’esecuzione di contratti in modo che questi ultimi non vengano esposti, a causa della eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni, al rischio di incompiutezza delle attività contrattualizzate, ovvero indicano l’impresa ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni; condizione che svolge anche una tutela nei confronti dell’esecutore al quale va riconosciuto un giusto compenso a fronte delle prestazioni fornite.
Così delineate le coordinate dell’istituto, la revisione prezzi consiste in un rimedio temperato di riequilibrio del sinallagma funzionale, in modo da assolvere all’esigenza di assicurare continuità al rapporto contrattuale in corso di svolgimento, soprattutto nell’ottica del perseguimento del pubblico interesse, senza che si giunga ad una rideterminazione del prezzo originario, non avendo come obiettivo l’azzeramento del rischio di impresa connesso alla sopportazione in capo all’appaltatore dell’alea contrattuale normale riconducibile a sopravvenienze, quali l’oscillazione generale e diffusa dei prezzi.
Non pare superfluo aggiungere che in presenza di una espressa esclusione negli atti di gara di ogni ipotesi di revisione del prezzo, l’impresa appaltatrice non rimane sprovvista di mezzi di tutela nel caso in cui si verifichi un aumento esorbitante dei costi del servizio in grado di azzerarne o comunque di comprometterne in modo rilevante la redditività atteso che nel corso del rapporto; infatti, anche in presenza di una previsione escludente della legge di gara, qualora si verifichi un aumento imprevedibile del costo del servizio, ovvero dell’oggetto negoziale, in grado di alterare il sinallagma contrattuale rendendo il contratto eccessivamente oneroso per l’appaltatore, questi può sempre esperire il rimedio civilistico di cui all’art. 1467, Contratto con prestazioni corrispettive, c.c., chiedendo la risoluzione del contratto di appalto per eccessiva onerosità sopravvenuta, alle condizioni previste dalla norma.
L’inserimento obbligatorio nei documenti di gara iniziali di clausole di revisione dei prezzi e le deroghe alle variazioni di prezzo dei singoli materiali da costruzione, in aumento o in diminuzione, valutate dalla stazione appaltante nei limiti indicati dalla legge rispetto al prezzo, rilevato nell’anno di presentazione dell’offerta, sono clausole ex lege che entrano nel contratto e ne costituiscono una condizione fondamentale, la cui assenza (nel silenzio della lex specialis) viene eterointegrata dall’ordinamento.
Invero, la eterointegrazione dei bandi di gara (come dei contratti) risulta in meccanismo idoneo a garantire l’applicazione di norme imperative cd. auto-esecutive poste a tutela dell’ordine pubblico, istituto di matrice civilistica (ex artt. 1339 e 1419 c.c.) preordinato a colmare le lacune di un negozio giuridico incompleto, rilevando, tuttavia, che non può essere considerato un rimedio all’attività autoritativa, laddove le prescrizioni difformi dal paradigma normativo di riferimento debbono formare oggetto di puntuale impugnativa, a pena di consolidazione degli effetti e di inoppugnabilità.
Secondo la giurisprudenza, l’eterointegrazione della legge di gara ha come necessario presupposto ed opera quando è accertata la sussistenza di una “lacuna” in essa, o nella normativa precedente che la regola, ovvero nel caso in cui la stazione appaltante abbia omesso di inserire nella disciplina di gara elementi previsti come obbligatori dall’ordinamento giuridico, analogamente a quanto avviene nel diritto civile ai sensi degli artt. 1374, Integrazione del contratto, e 1339, Inserzione automatica di clausole, c.c., colmandosi così, in via suppletiva, le eventuali lacune del provvedimento adottato dalla stazione appaltante, altrimenti violandosi il pari principio di tassatività delle cause di esclusione.
Proprio per la necessità di tutelare l’affidamento dell’operatore economico (buona fede e leale collaborazione) che intende partecipare ad una procedura di affidamento l’eterointegrazione deve essere contemperata con il principio di affidamento e finalizzata – in linea di massima – all’ampliamento della partecipazione e non, di norma, all’esclusione di un concorrente per la violazione di un obbligo non chiaramente esplicitato nella lex specialis a pena di violazione dei principi europei di certezza giuridica e di massima concorrenza.
Ne consegue che pur in presenza di norme pubblicistiche di sostegno all’economica (quelle sopra citate compensative del caro materiali con adeguamenti ISTAT/MIMS), e, dunque, ai contratti pubblici qualora il quadro fattuale risultasse diverso da quello proposto in sede di offerta (per fattori di “forza maggiore” non imputabili all’offerente, ovvero “eccessiva onerosità sopravvenuta”) o nel corso del contratto, anche in presenza di tali clausole di revisione o aggiornamento prezzi, l’Amministrazione dovrà valutare di estendere l’interpretazione negoziale avvalendosi degli istituti privatistici per giustificare la permanenza (continuità) del rapporto, sia ex ante di sottoscrizione del contratto che ex post in sede di esecuzione visto che l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera nei tempi previsti e senza riduzioni qualitative delle prestazioni a parità di spesa impedisce di giungere alla conclusione della programmazione (triennale o biennale).
In termini diversi, la revoca dell’aggiudicazione per mancanza della stipulazione del contratto o la risoluzione, in corso di esecuzione, per una variazione dei prezzi potrà esporre l’Amministrazione a condizioni più onerose a seguito di un nuovo appalto, pur anche recuperando le somme accantonate/disponibili, senza contare i costi sociali dell’allungamento dei tempi di realizzazione dell’opera (un’incertezza sia sui tempi che sul risultato), specie se collegati ad un intervento necessario o inserito nel PNRR, oltre ovviamente ai costi aziendali (o dell’energia e di tutte quelle attività che sono connesse alla realizzazione di un lavoro pubblico, anche solo l’aumento del costo del carburante o dei trasporti), esponendo la stazione appaltante ad una nuova gara con prezzi più congrui rimanendo il rischio che non vi siano imprese disposte a partecipare a nuove gare.
Con le precisazioni che seguiranno, si può ritenere che la revisione prezzi finalizzata a ristabilire l’equilibrio negoziale va avvallata soprattutto quando ricorrano circostanze eccezionali e imprevedibili, la cui esistenza non può essere ricondotta ad aumenti del costo di fattori della produzione prevedibili – anche dal punto di vista della loro consistenza valoriale – nell’ambito del normale andamento dei mercati relativi, dovendo, invece, a tal fine farsi riferimento ad eventi, appunto eccezionali ed imprevedibili, tali da alterare significativamente le originarie previsioni contrattuali, eventi che si possono fattualmente e lecitamente ancorare all’emergenza pandemica e alla guerra, i cui riflessi diretti e indiretti sono ancora in parte sconosciuti, rientrando in quella nozione di “imponderabilità” prevista dalla norma.
Il quadro ordinamentale tende a rispondere agli eventi eccezionali, imprevisti e imprevedibili, ma può anche risultare insufficiente nel concreto ad evitare che il corrispettivo del contratto (non solo quelli di durata) subisca, nel corso del tempo, aumenti incontrollati tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta l’offerta (prima) e la stipulazione (dopo) del contratto.
Una prima possibile soluzione
Si comprova che le difficoltà si concentrano da una parte, sull’aumento incontrollato dei costi non solo delle materie prime (evento imprevisto e imprevedibile non solo alla data di indizione della gara ma nel corso del contratto), dall’altra, sui tempi di consegna con effetti immediati sui termini di esecuzione (durata) dei contratti, rilevando che tali condizioni del tutto indipendenti dalla volontà delle parti negoziali alterano gli equilibri del rapporto, al di là dell’alea (cd. rischio imprenditoriale) che grava sull’operatore economico (non siamo difatti in presenza di un aumento minimo dei prezzi da ricomprendere all’interno delle normali transazioni commerciali), soprattutto ove l’emergenza continua e dilata pro futuro la determinazione del valore dell’appalto.
In questo senso, il Presidente ANAC[1] ha richiesto al governo e al parlamento un urgente intervento normativo sulla revisione dei prezzi negli appalti per far fronte agli esorbitanti incrementi delle materie prime nei contratti in corso di esecuzione riguardanti servizi e forniture, sostenendo che l’obiettivo dell’Autorità è «quello di stabilire meccanismi che consentano di riguadagnare un equilibrio contrattuale, adeguando un aumento dei valori negli appalti per tenere conto dei costi reali. Se non lo si fa: o le gare vanno deserte, o partecipa solo chi poi chiederà varianti con aumento dei prezzi, oppure la prestazione non viene adempiuta».
Dal quadro emergenziale (costante) e dalla disciplina giuridica apprestata dal Governo permangono le difficoltà di ricoprire l’aumento dei costi, esigendo un’estensione alle regole del d.lgs. n. 50/2016 mediante gli istituti generali del codice civile relativi ai principi di buona fede e correttezza (ex artt. 1175, Comportamento secondo correttezza, 1337, Trattative e responsabilità precontrattuale, 1366, Interpretazione di buona fede, e 1375, Esecuzione di buona fede, c.c.) che consentono di ripristinare l’equilibrio negoziale (con margini di aumento di percentuale di scostamento e compensazione giustificabili e giustificati), ribadendo un “dovere giuridico” di agire, fonte di responsabilità contrattuale, nel pieno rispetto del principio di legalità e di copertura della spesa, in coerenza con il principio costituzionale di buon andamento e imparzialità (ex art. 97 Cost.) nell’interesse collettivo alla realizzazione delle opere, forniture e servizi in epoca di emergenza strutturale (continua).
L’analisi approda, alla luce della descritta finalità di contenimento delle conseguenze economiche derivanti dall’alea gravante sulla parte privata, ma anche su quella pubblica nel definire le condizioni di gara in caso di variazione dei prezzi, a tutela del loro reciproco affidamento, non apparirebbe conforme, secondo la giurisprudenza, né ai principi di imparzialità e buon andamento appresso cit. né ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità sanciti dall’ordinamento nazionale e comunitario, un’interpretazione che, una volta riconosciuta la revisione dei prezzi, dovesse parametrare i conseguenti effetti economici al dato del tutto astratto e teorico dell’aumento del prezzo delle materie prime, anziché al dato concreto e puntuale della spesa oggettivamente sostenuta per il loro acquisto nel periodo di riferimento, quali risultanti dalla relativa fatturazione del produttore o dell’intermediario, quale possibile indicazione per garantire la continuità dei lavori rispetto ad un andamento dei prezzi non contenibile nei limiti di cui alle recenti norme emergenziali: un bilanciamento tra l’interesse dell’aggiudicatario e l’interesse pubblico alla ripresa e rilancio economico del Paese (ove le misure normative emergenziali risultassero insufficienti a coprire gli aumenti dei costi).
Eccezioni all’immodificabilità del contratto
Il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’Amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale, con la conseguenza di modificare il contenuto negoziale.
Secondo gli insegnamenti comunitari le modifiche precluse sono quelle che hanno l’effetto:
- di estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti;
- di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario;
- di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta, oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi.
Questi principi della Corte di Giustizia sono stati trasfusi nell’art. 106, Modifica di contratti durante il periodo di efficacia, del Codice dei contratti, ove sono state anche esemplificate quelle che sono le modifiche sostanziali incompatibili con la trasparenza e la par condicio e ammesso in via generale quelle modifiche il cui valore resti al di sotto di una determinata percentuale salvo che alterino la natura complessiva del contratto.
Anche nelle concessioni con il comma 6 dell’art. 165 del d.lgs. n. 50/2016 sono previsti rimedi volti a ricalibrare il rapporto qualora siano intervenuti fatti obiettivi che alterino in misura significativa l’equilibrio fissato dal piano economico finanziario (PEF), fra i quali è espressamente contemplata la revisione del contratto.
La sez. I del TAR Toscana, con la sentenza del 25 febbraio 2022 n. 228, ammette la modificabilità delle condizioni negoziali ancorché le sopravvenienze che hanno determinato le modifiche siano intervenute nella fase fra la aggiudicazione e la stipula del contratto.
Viene evidenziato che anche in base ai principi di buona amministrazione ed economia delle risorse pubbliche le modificazioni negoziali possono essere ammesse quando non assumano carattere essenziale e qualora:
- si tratti di impedire una nuova gara che comporti un impegno straordinario per l’Amministrazione;
- si debba rispondere ad esigenze essenziali della collettività (caso di specie, trasporto pubblico locale).
Le modifiche ammissibili devono essere il frutto di una operazione non finalizzata a rimettere in discussione l’originario equilibrio del contratto messo a gara ma a conservarlo secondo un meccanismo noto e predeterminato: gli effetti dell’emergenza Covid-19 costituiscono attuazione di meccanismi di riequilibrio per far fronte ad una situazione eccezionale ed imprevedibile (e, quindi, non ascrivibile all’ordinario rischio di gestione) che nel periodo di riferimento ha completamente alterato le condizioni ordinarie del servizio (il flusso della utenza con ricavi inferiori alle previsioni del PEF).
Il Tribunale rileva che l’aggiornamento è avvenuto a seguito di indicazioni di revisione previste dalla disciplina regionale: una previsione tutt’altro che innovativa degli assetti negoziali in quanto il suo significato non è quello di aprire la strada a qualunque forma di revisione a semplice richiesta della aggiudicataria ma, più semplicemente, quello di inserire nel testo contrattuale (eterointegrazione) un dato di fatto che opererebbe anche a prescindere dal suo recepimento, visto che vi è stata la necessità di adeguare il trasporto alla riduzione dei trasferimenti statali e ai limiti imposti dalle condizioni emergenziali: a fronte dell’emergenza Covid-19 si reputa legittimo equilibrare il rapporto contrattuale senza per questo ritenere che la modifica sia posta a favore del concessionario.
Viene acclarato visivamente che la pandemia costituisce all’evidenza una sopravvenienza imprevedibile che giustifica la revisione del contratto: una misura non irragionevole o eccedente ma necessaria poiché diretta a far fronte ad eventuali cali di liquidità dovuti alla drastica diminuzione del flusso di utenza durante le restrizioni varate dalle autorità.
Revoca dell’aggiudicazione per mancata stipulazione
La sez. II Lecce, del TAR Puglia, con la sentenza 7 marzo 2022 n. 379, interviene con la revoca dell’aggiudicazione a fronte della mancata stipulazione di un contratto giustificata dall’aggiudicatario dall’aumento dei costi di gestione avvenuti dopo la presentazione dell’offerta (un anno).
L’operatore economico richiedeva la declaratoria dell’obbligo del Comune di stipulare il contratto (di concessione del servizio) previo riallineamento delle condizioni economiche dello stesso: un adeguamento al mercato corrente, a seguito dell’aumento dei costi del servizio (causati dall’emergenza sanitaria da Covid-19), indipendenti dalla condotta dell’assegnatario della concessione, ex comma 6 dell’art. 165, Rischio ed equilibrio economico-finanziario nelle concessioni, del d.lgs. n. 50/2016.
L’Amministrazione motivava la revoca richiamandosi all’art. 32, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016, il quale fa salvo l’esercizio dei poteri di autotutela della P.A. dopo che è divenuta efficace l’aggiudicazione, nonché agli orientamenti giurisprudenziali secondo i quali:
- i «sopravvenuti motivi di pubblico interesse» giustificano l’adozione del provvedimento di revoca, facendo rientrare quei comportamenti scorretti dell’aggiudicatario che si siano manifestati successivamente all’aggiudicazione definitiva;
- il rifiuto espresso alla sottoscrizione del contratto è un elemento che può giustificare la revoca dell’aggiudicazione per superiori motivi d’interesse pubblico, essendo forte di un pregiudizio economico e patrimoniale per l’Amministrazione pubblica.
Giova ricordare che la posizione del privato aggiudicatario in ordine alla stipulazione del contratto di appalto può qualificarsi come di interesse legittimo, con la conseguenza che l’impresa può esperire l’azione avverso il silenzio, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., al fine di ottenere la declaratoria dell’obbligo di provvedere per la stazione appaltante.
In modo specifico, le controversie concernenti la legittimità di atti o comportamenti afferenti a procedure di evidenza pubblica assunti non solo prima dell’aggiudicazione, ma anche nel successivo spazio temporale compreso tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, rientrano nella giurisdizione amministrativa perché attengono all’esercizio di potestà amministrativa sottoposto a norme di carattere pubblicistico, a fronte del quale la posizione giuridica dell’interessato ha consistenza di interesse legittimo e non di diritto soggettivo in quanto la P.A., sia pure intervenuta l’aggiudicazione, conserva sempre il potere di non procedere alla stipulazione del contratto in ragione di valide e motivate ragioni di interesse pubblico.
Ciò premesso, il Tribunale distingue la posizione dell’aggiudicatario prima della stipulazione (ossia prima della costituzione dell’obbligo negoziale), evidenziando che solo una volta sottoscritto il contratto l’operatore economico perde lo status di aggiudicatario ed assume quello di concessionario, fino alla sua scadenza, potendo richiedere (in questo caso) la modifica delle condizioni negoziali.
In termini più esplicativi, nel caso di concessione di un servizio:
- la possibilità di apportare modifiche alle condizioni alla base del rapporto concessorio si devono necessariamente collocare nell’ambito di un contratto già stipulato, allorquando le parti sono poste in condizioni di parità sul piano degli impegni reciprocamente già assunti, con conseguente necessità di garantire in concreto quell’equilibrio concordemente stabilito al momento della conclusione del contratto, evitando che il factum principis o le scelte dell’Amministrazione possano in qualche modo influenzare per il futuro la programmata redditività dell’operazione, anche tenuto conto della durata della concessione;
- al momento dell’aggiudicazione e fino alla sottoscrizione del contratto non sussiste ancora alcun obbligo giuridicamente vincolante per la stazione appaltante di procedere alla stipula del contratto, ex 32, comma 6, del Codice dei contratti pubblici a tenore del quale l’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell’offerta, analogamente a quanto precedentemente stabilito dall’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006 (che aveva invece superato l’opposta regola precedentemente fissata dall’art. 16, comma 4, dal R.D. n. 2440/1923, cd. legge di contabilità dello Stato);
- l’asserito obbligo per il concedente di rivedere le condizioni economico-finanziarie, al verificarsi delle circostanze individuate dall’art. 165 del Codice richiedono la presenza del contratto di concessione sottoscritto;
- solo alla scadenza del termine per la sottoscrizione del contratto l’aggiudicatario può disimpegnarsi da ogni vincolo negoziale senza incorrere in alcuna sanzione, ovvero di “confermare” anche tacitamente l’offerta stessa, accettando la stipula contrattuale;
- non sussiste, invece, alcun obbligo per l’Amministrazione di rivalutare l’offerta a suo tempo presentata dall’aggiudicatario mediante rinegoziazioni e/o adeguamenti di sorta, in contesti peraltro caratterizzati dal formalismo dell’evidenza pubblica e dalla conseguente cristallizzazione degli esiti della gara ormai ultimata.
Chiarezza espositiva e ragioni logico – sistematiche impongono di affermare che nel caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta, ai sensi del comma 4 dell’art. 32 del Codice, ove si prescrive che «l’offerta è vincolante per il periodo indicato nel bando o nell’invito e, in caso di mancata indicazione, per centottanta giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione».
Peraltro, la disposizione del comma 8, del d.lgs. n. 50/2016, indica il termine di sessanta giorni dal momento in cui diviene definitiva l’aggiudicazione per la stipula del contratto, tale termine non ha natura perentoria, né alla sua inosservanza può farsi risalire ex sé un’ipotesi di responsabilità precontrattuale ex lege della P.A., se non in costanza di tutti gli elementi necessari per la sua configurabilità.
Il decorso del termine sopra indicato comporta quali conseguenze:
- la facoltà dell’aggiudicatario, mediante atto notificato alla stazione appaltante, di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto;
- il diritto al rimborso delle spese contrattuali documentate, senza alcun indennizzo.
Da quadro normativo e fattuale, si ricava che l’eventuale rinegoziazione del contratto non può che avvenire una volta avvenuta la stipulazione e il rifiuto dell’Amministrazione prima della stipulazione non integra, per espressa previsione normativa, un vizio di validità e/o efficacia del contratto da stipulare, ma può consentire a una delle parti, nel caso di mancato accordo, di recedere unilateralmente dal vincolo.
Il Tribunale tiene, inoltre, a precisare che l’eventuale rinegoziazione delle condizioni devono trovare conforto in elementi oggettivi forniti dal concessionario, ovvero presentare un adeguato onere probatorio in grado di sostenere le modificazioni delle condizioni negoziali (l’alterazione dell’equilibrio delle prestazioni/controprestazioni), legittimando la revisione del contratto per assicurare le condizioni di equilibrio tra le parti.
Invero, l’eventuale mancato adempimento dell’obbligo di rinegoziazione non integra un vizio di validità della concessione, ma consente soltanto il recesso di una delle parti in caso di mancato accordo: ai sensi dell’art. 165, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, infatti, «In caso di mancato accordo sul riequilibrio del piano economico finanziario, le parti possono recedere dal contratto».
La conclusione dagli elementi emersi in giudizio e l’ingiustificata riluttanza alla stipula comporta la piena legittimità alla revoca dell’aggiudicazione, appurando la correttezza e la buona fede nel comportamento mantenuto dall’Amministrazione prima della revoca, la quale ha sempre dato riscontro alle osservazioni dell’aggiudicatario ai fini della reciproca utilità dell’instaurando rapporto concessorio.
La sentenza ammette margini di apprezzamento delle modificazioni alle condizioni di gara una volta sottoscritto il contratto, richiamandosi ad una norma (quella delle concessioni) che ammette espressamente il riequilibrio negoziale, ma anche la facoltà dell’Amministrazione – prima della stipulazione del contratto – di valutare eventuali effetti della pandemia se incidenti sul contratto sempre che la parte aggiudicataria dimostri le circostanze oggettive di tali variazioni (caso di specie, non avvenuta).
Rinuncia alla stipulazione del contratto e scorrimento della graduatoria
La sez. I del TAR Sardegna, con la sentenza 29 marzo 2022 n. 222, interviene per delineare la corretta condotta di una stazione appaltante che, a fronte della rinuncia del vincitore (non risoluzione) prima della stipula del contratto, provvede con lo scorrimento di una graduatoria piuttosto (alternativa) che ricorrere all’indizione di una nuova gara, valorizzando l’interesse pubblico all’immediata ripresa di un servizio essenziale pur a fronte di un intervenuto nuovo quadro emergenziale.
Si comprende subito che l’indizione e la tempistica di svolgimento di una nuova gara avrebbe, evidentemente, determinato ulteriori consistenti ritardi nello svolgimento del servizio, e la scelta di dare immediata e urgente risposta ha governato il processo decisionale: l’opzione tra due scelte.
È da rilevare che le offerte degli operatori partecipanti alla gara erano calibrate in modo completamente diverse, anche in ragione dell’intervenuta emergenza sanitaria Covid-19 (e dei diversi sistemi di imputare i costi generali di gestione).
Il Tribunale, in applicazione del principio di conservazione degli atti giuridici, ha rammentato che la rinuncia all’aggiudicazione definitiva per sopraggiunto disinteresse da parte dell’aggiudicataria, intervenuta in una fase antecedente alla stipula contrattuale, non determina necessariamente l’azzeramento della procedura concorsuale espletata ma restituisce alla stazione appaltante l’esercizio della sua discrezionalità con la riedizione del potere di scegliere la realizzazione del servizio (il bene perseguito) avvalendosi alternativamente e con motivazione (supplemento di istruttoria) tra:
- la procedura espletata attraverso lo scorrimento della graduatoria;
- il procedere all’indizione di una nuova gara.
Si deduce che conclusa la fase di ammissione, ogni successiva vicenda non incide sulla graduatoria, che rimane così cristallizzata, dovendosi procedere allo scorrimento della graduatoria senza alcun ricalcolo e modifica dei punteggi attribuiti.
A rafforzare la posizione della P.A., il Collegio giudicante evidenzia che lo scorrimento della graduatoria non ha comportato (per il secondo) alcun rilievo sulla diversa situazione economica, dovuta dalle mutate condizioni di mercato (l’emergenza pandemica), rispetto al momento della presentazione dell’offerta: il subentrante non ha dimostrato (ne preteso), trattandosi invero di valutazioni soggettive, l’insostenibilità economica dell’offerta presentata, specie quando la stazione appaltante si è compiutamente soffermata sulla valutazione della congruità (alias sostenibilità) di quanto presentato in sede di gara, in ossequio al principio del favor partecipationis.
Mancata sottoscrizione per l’incremento dei costi energetici ed escussione della fideiussione
La sez. II Milano del TAR Lombardia, con la sentenza 14 marzo 2022 n. 598, affronta la decisione di non stipulare il contratto motivata da causa di “forza maggiore” (inevitabilità ed imprevedibilità dell’evento) e, in particolare, dall’eccezionale incremento dei prezzi dell’energia che comportava – in caso di conclusione dell’accordo – una notevole perdita economica (stimata in circa 12.000.000,00 di euro).
Una rigorosa “incapacità” a sottoscrivere il contratto, quasi fosse un impedimento oggettivo caratterizzato dalla non imputabilità, anche a titolo di colpa: ossia, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione che deriva da causa non imputabile al debitore (aggiudicatario), ai sensi dell’art. 1218, Responsabilità del debitore, c.c., invocabile esclusivamente in situazioni inevitabili e non prevedibili dall’offerente (debitore) avveratesi al momento della sottoscrizione del contratto, ovvero della partecipazione alla gara.
Si deduceva che la mancata stipula non sarebbe, quindi, imputabile alla ricorrente quanto all’eccezionale aumento dei costi dell’energia elettrica, con conseguente illegittimità dell’escussione della polizza da parte della stazione appaltante, in violazione alle regole di condotta improntate a buona fede e correttezza nei rapporti tra le parti negoziali e, in genere, della P.A., ex art. 1, comma 2 bis della legge n. 241/1990.
Entrando in medias res, il Tribunale rileva da una parte, come l’escussione della polizza non sia conseguenza automatica di un provvedimento amministrativo autoritativo, dall’altra parte, come la revoca dell’aggiudicazione non sia espressione di un potere di natura pubblicistica quanto una conseguenza logica al rifiuto della parte di stipulare il contratto, ovvero un effetto collegato alla mancata conclusione del contratto, escludendo l’esercizio di un potere autoritativo della P.A.
Viene confermato, in questo contesto fattuale post aggiudicazione, essendo esaurita la fase “pubblicistica”, che la revoca dell’aggiudicazione non è espressione di alcun potere sovrano della P.A., riconducibile al rapporto propriamente amministrativo, ma la sostanziale presa d’atto dell’impossibilità di stipulare il negozio per scelta dello stesso operatore.
Rivela l’assenza da ogni collegamento con l’esercizio del potere pubblicistico, e l’escussione della garanzia (a tutela e ristoro sia dell’affidabilità dell’offerta che dell’obbligo al vincolo negoziale) si risolve in un effetto correlato alla mancata sottoscrizione del contratto senza alcuna imputazione all’Amministrazione, con devoluzione della controversia al Giudice ordinario, quale Giudice di una domanda che si sostanzia nella richiesta di accertamento negativo dei presupposti della pretesa indennitaria fatta valere dalla stazione appaltante: ed è proprio questa la natura della garanzia in quanto mira a tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale: la stipula del contratto.
Una seconda possibile soluzione
Le linee interpretative dimostrano le posizioni assunte dalla giurisprudenza sul rifiuto alla stipula del contratto dovuto ad un ripensamento tardivo, rispetto al momento della partecipazione alla gara, circa la convenienza di assumere l’appalto dopo l’intervenuta aggiudicazione definitiva, compresa la fase di esecuzione.
I limiti evidenziati rilevano che, con la partecipazione alla gara, l’operatore economico rinuncia a impugnare tempestivamente gli atti della disciplina di gara, e allo stesso tempo in sede di compilazione degli atti partecipativi la dichiarazione, ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000, di accettare, senza condizione o riserva alcuna, tutte le norme e disposizioni contenute negli atti di gara manifesta in modo inequivocabile la volontà di assumere il lavoro ritenendolo remunerativo.
Si è osservato, in questa cornice, che il successivo rifiuto alla stipulazione, intervenuto a gara già espletata, dovrebbe essere considerato tamquam non esset, atteso che, ad aggiudicazione avvenuta, non potrebbe modificarsi la disciplina di gara, pervenendo ad una sostanziale disapplicazione della lex specialis di gara, in violazione alle regole di trasparenza e concorrenza, ed è per queste ragioni che la finalità della cauzione provvisoria risiede nel responsabilizzare i partecipanti alle procedure di affidamento in ordine alle dichiarazioni rese e nel garantire la serietà e l’affidabilità dell’offerta, per cui l’incameramento della cauzione è legittimo ogniqualvolta l’operatore economico abbia arrecato pregiudizio all’interesse della stazione appaltante di affidare il contratto posto a gara.
In questo senso, l’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, dispone che la garanzia fideiussoria per la partecipazione alla procedura di gara copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione «dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario», oppure all’adozione di informazione antimafia, da qui l’effetto diretto che «la garanzia è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto», confermando la funzione propria della fideiussione (quale contratto autonomo di garanzia).
Ne discende che in presenza di incertezza sopraggiunta sui costi dei materiali, ovvero aziendali, in mancanza di un adeguato ristoro riconosciuto dalla vigente (e temporanea) disciplina emergenziale, una volta terminata la fase pubblicistica non può certo allegarsi alle condizioni di gara le cause tali da legittimare l’escussione della garanzia (non vi sono profili di illegittimità o incoerenza), quanto invece alla mutata e imprevedibile situazione di mercato (emergenziale e di guerra) al punto da affermare che la mancata stipula del contratto non appare «fatto riconducibile all’affidatario», ai sensi dell’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016: la mancata sottoscrizione del contratto sembra più propriamente riconducibile alla modificazione postuma di alcune condizioni attinenti alla formulazione dell’offerta imposte dal nuovo ed eccezionale assetto economico, modificazioni tali da determinare una diversa, e questa volta legittima, valutazione di convenienza dell’aggiudicataria in ordine alla stipulazione del contratto e allo svolgimento della prestazione: condizioni imprevedibili e impreviste non causalmente afferenti all’aggiudicataria.
In termini più lineari, le circostanze sopravvenute allo svolgimento della gara, da includere anche in fase di esecuzione, non possono ridondare in danno dell’aggiudicataria, riconducendo ad essa il fatto della mancata sottoscrizione del contratto, ovvero della prosecuzione del rapporto negoziale (in mancanza di modificazioni dell’importo contrattuale), in relazione alle oggettive difficoltà di reperire i materiali e di pagarne il costo.
Le mutate condizioni economiche per cause ascrivibili all’emergenza pandemica e al conflitto ucraino, che non permettono di definire i costi delle materie prime (materiali da costruzione, esteso alla generalità delle materie prime e ai materiali utilizzati non solo nella realizzazione di opere, ma anche nelle forniture e nei servizi, compresi i rincari energetici e del carburante) e di quelli aziendali, non possono riflettersi in danno dell’operatore economico ma richiedono un intervento dello Stato (e dell’Europa) per riequilibrare il sinallagma negoziale, operando non solo con la disciplina codicistica ed emergenziale della decretazione d’urgenza, ma riconducendo a sistema quelle regole civilistiche che ammettono un ancoraggio all’equilibrio del rapporto a contratto sottoscritto (ex artt. 1375, Esecuzione di buona fede, 1467, Contratto con prestazioni corrispettive, 1664 Onerosità o difficoltà dell’esecuzione, c.c.), integrando le condizioni che ne consentono la modifica (adeguamento) in corso di esecuzione, ai sensi dell’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016, spingendosi anche alla fase prima della stipulazione, evitando la segnalazione all’ANAC e l’escussione della cauzione prestata a garanzia.
Depone in tale direzione il chiaro invito del legislatore, ex comma 8, dell’art. 32 del d.lgs. n. 50/2016, comma modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a) e b), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, quando richiama «l’interesse alla sollecita esecuzione del contratto», e quando espone a giustificazione «la mancata stipulazione del contratto… motivata con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e a quello nazionale alla sollecita esecuzione del contratto», volendo far ritenere applicabili gli istituti civilistici al rapporto, espressione di un principio generale correttezza e di buona fede, espressamente accolto in ambito pubblico dal comma 2 bis dell’art. 1 della legge 241/1990 con specifico riferimento ai rapporti tra il cittadino e l’Amministrazione e richiamato dal primo comma, dell’art. 30 del d.lgs. n. 50/2016.
A rafforzare tale convincimento, il comma 8, dell’art. 30, ultimo richiamato, il quale riflette questa operazione interpretativa, in claris non fit interpretatio, disponendo che «per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile».
All’evidenza siamo in presenza di una norma di chiusura che corrobora la possibilità di richiamare la normativa codicistica a fronte dello straordinario incremento dei costi, sia nella sua applicazione offerta dall’art. 1467 c.c., dove in presenza della richiesta risoluzione vi è la possibilità di evitarla offrendo la modifica delle condizioni del contratto secondo equità (in assonanza con i principi di conservazione del contratto e quello della buona fede che deve permeare il rapporto negoziale in ogni sua fase, ricomprendendo le trattative in sede di stipula), che in quella dell’art. 1664 c.c., introdotto per disciplinare la sopravvenuta, imprevedibile, eccessiva onerosità della prestazione nel caso di appalti di natura privatistica.
Tale disciplina consentirebbe la riconduzione ad equità del contratto e il suo mantenimento in esito ad una attività di rinegoziazione, nel caso in cui sopravvengano incrementi imprevedibili nel costo dei materiali tali da rendere non più remunerativa la esecuzione del rapporto negoziale o la sua sottoscrizione.
La “rinegoziazione del contratto squilibrato” è stata individuata dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione quale mezzo che le parti devono utilizzare per perseguire il fine fondamentale della conservazione del rapporto negoziale da attuarsi attingendo al fondamentale principio di buona fede e, quindi, di correttezza che deve informare ogni rapporto negoziale, la cui violazione può perfezionare l’inadempimento e fonte di responsabilità.
Verso un futuro etico
Si dovrebbe mutare assetto delle valutazioni e della prospettiva in un momento di eccezionalità e di grave pericolo per la sostenibilità economica della Nazione che richiederebbe un impegno ad investire le risorse pubbliche in aiuti alle imprese (e alle famiglie) senza riversarle in armi (ex art. 11 Cost.), comprendere che se le regole concorrenziali di scelta del contraente, impediscono di ritenere che il principio di buona fede possa imporre all’Amministrazione di modificare, in sede di stipulazione del contratto, le condizioni negoziali sulle quali si è svolto il confronto competitivo, facoltizzando il privato a sciogliersi dal vincolo decorso il termine previsto per il perfezionamento del rapporto, vi è la necessità di superare regole di condotta imposte espressamente dalla normativa e prevedere la facoltà di stipulare il contratto adeguandolo ai costi al momento della sottoscrizione, introducendo – per un periodo temporale limitato a superare la crisi globale – una fase interlocutoria (istruttoria) di verifica sull’effettiva dimensione dei rincari, fase riproponibile in sede di esecuzione (assistendo i RUP e le Amministrazioni dall’“ansia” delle responsabilità), diversamente si corre il rischio di una paralisi del mercato dei contratti pubblici non potendo l’aggiudicatario lavorare in perdita.
Si impone, in una visione etica del mercato (per il c.d. bene comune), di prevedere meccanismi di compensazione degli aumenti di cui sopra e comunque di revisione prezzi contrattuali (anche ante stipulazione) nei casi non ancora contemplati dalla legislazione vigente, riconducendo ad equità i contratti per garantire fondamentalmente l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera, nei tempi previsti e senza riduzioni qualitative delle prestazioni, scongiurando la crisi e il possibile fallimento delle imprese e, di riflesso, dell’intero sistema economico pur a fronte di interventi legislativi di sostegno e aiuto al mercato (quelli citati) ma non ancora sufficienti a rispondere alla domanda.
In mancanza di un adeguamento legislativo di pieno supporto alle imprese (e alle famiglie), nello sfondo rimane il dubbio che gli interventi in epoca di pandemia e di guerra siano a soddisfazione di solo alcuni noti operatori economici.
Il riferimento non può che andare alle élite delle industrie di produzione globale (le cd. big …), quelle Corporate Governance che distribuiscono i sieri salvifici per la vita e le armi per la morte (un evidente paradosso socratico), solo per non andare oltre al tema trattato.
È dunque d’obbligo riprendere quel concetto etico che dovrebbe governare le politiche di solidarietà sociale e comunitaria, in una scintilla di ragione (logos) che pur sempre sia possibile proteggere: quell’eredità di un mondo migliore dove possano albergare pace, giustizia e amore.
[1] BUSIA, Anac chiede a Governo e Parlamento un intervento normativo sulla revisione dei prezzi negli appalti, anticorruzione.it, 22 febbraio 2022, nel comunicato il Presidente ANAC tiene a precisare che «in questo momento non dobbiamo guardare al risparmio immediato, ma riconoscere che bisogna avere clausole di adeguamento dei prezzi che tengano conto dei costi reali, indicizzando i valori inseriti nel bando di gara. Altrimenti rischiamo di vanificare lo sforzo del Pnrr, perché le gare di appalto andranno deserte, o favoriranno i “furbetti” che punteranno subito dopo l’aggiudicazione a varianti per l’aumento dei prezzi. Molto meglio stabilire dei meccanismi trasparenti e sicuri di indicizzazione, così da favorire un’autentica libera concorrenza e apertura al mercato plurale, e serietà in chi si aggiudica l’appalto».