La sez. II Bari del TAR Puglia, con la sentenza 30 settembre 2022 n. 1282 annulla la revoca disposta dal Consiglio comunale del revisore priva di specifica motivazione sugli addebiti, confondendo l’attività dell’organo di revisione da esercitarsi non sotto il controllo del potere politico – amministrativo ma in piena autonomia e indipendenza di sindacato: ossia, quella doverosa diligenza richiesta da coloro che esercitano un’attività qualificata (professionale) di assistenza, collaborazione, controllo e vigilanza contabile, ex art. 239 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL).
L’indipendenza del revisore dei conti
Pare giusto rammentare che l’elemento fiduciario, nel rapporto intercorrente tra l’organo tecnico (revisore dei conti) e il datore di lavoro pubblico che lo nomina (Consiglio comunale, peraltro a seguito di una scelta effettuata per estrazione o nomina in relazione alla dimensione territoriale del Comune), non può trasmodare in una relazione eterodiretta ma deve reggersi su aspetti di ampia autonomia e terzietà.
Eventualmente, se di potere si intende discutere si dovrebbe semmai limitarsi a formulare al Revisore direttive di carattere generale, o indicazioni chiarificatrici dell’attività pratica da seguire nella redazione degli atti, senza mai incidere, nemmeno a livello potenziale, sull’ampia autonomia di potere del revisore, potere che, in base al principio di legalità (ex art. 97 Cost.) viene attribuito direttamente dalla legge (oltre che da una serie di indicazioni cogenti operate dalla Corte dei conti), distinguendosi d’altronde dalle nomine fiduciarie, intuitu personae, legate al c.d. spoil system (dirigenza a chiamata)[1].
Si deve, dunque, affermare che il Revisore dei conti è un organo di controllo con il delicato compito di sorvegliare sulla corretta spendita di denaro pubblico e, pertanto, deve essere espressione di un alto livello di professionalità e di moralità, tipico dei ruoli assolutamente neutrali, qual è quello del controllo super partes, non solo nell’interesse dell’Amministrazione[2], ma, altresì, nell’interesse pubblico generale, che si traduce, sul piano operativo, nel controllo sulla corretta applicazione della disciplina non solo contabile/finanziaria: in sostanza, svolge compiti di vigilanza e controllo in posizione di assoluta indipendenza e imparzialità rispetto all’Ente locale controllato[3].
Fatto
Il revisore impugnava la delibera di Consiglio comunale di revoca (e gli atti connessi) relativi all’incarico conseguito (previa apposita procedura di estrazione a sorte) e nomina del sostituto ritenuta illegittima in assenza dei presupposti di legge, ovvero le gravi inadempienze della mancata collaborazione con gli organi comunali e una condotta tale da conformare «gravi motivi che influiscono negativamente sull’espletamento del mandato» (motivazioni dei fatti analiticamente riportati nell’atto di revoca).
Merito
Il Tribunale (con un giudizio tranchant) dichiara il ricorso fondato, annulla gli atti (anche quello di sostituzione del revocato, c.d. caducazione derivata), ordina il reintegro, rilevando che:
- le analitiche contestazioni «a ben vedere – ineriscono prerogative e facoltà proprie di qualsiasi Revisore dei conti»;
- l’attività svolta affluisce nelle pregnanti funzioni del revisore «tra cui v’è quella tipica di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente all’acquisizione delle entrate, all’effettuazione delle spese, all’attività contrattuale, all’amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità», un evidente precetto (legittimazione della competenza) rinvenibile espressamente nella legge (in claris non fit interpretatio), meglio definito negli artt. 223 e 239 del TUEL (e nelle responsabilità art. 240);
- l’organo di revisione, in questo senso, ha pieno «diritto di accesso agli atti e documenti» dell’Ente, potendo – i singoli componenti dell’organo collegiale – «eseguire ispezioni e controlli individuali», e laddove vengono riscontrati «gravi irregolarità di gestione» è dovuto “referto” all’organo consiliare, con contestuale “denuncia” ai competenti organi giurisdizionali.
Il potere in concreto
In questo contesto ordinamentale, annota il GA, il professionista non ha fatto altro che svolgere, con diligenza, il proprio lavoro, esercitando le facoltà previste dalla legge: «ha chiesto verifiche documentali, preteso l’esibizione di originali, espresso pareri che non necessitano di esser “graditi” dall’ente».
In termini più divulgativi, la revoca non è giustificata in quanto l’attività esercitata nella sua realtà fattuale rientra pienamente (in modo cangiante) nei compiti del Revisore, non inerendo affatto a “gravi inadempienze”.
Segue una rappresentazione delle doglianze dell’Amministrazione: «via via di (banali) questioni inerenti le formalità essenziali dei documenti contabili, contrastanti apprezzamenti contabili tra gli uffici comunali finanziari e i pareri del Revisore, altre (pretese) disomogeneità di valutazione e lamentati (presunti) intralci alla spedita azione amministrativa», aspetti che non costituiscono “inadempimenti”, quanto semmai «l’esplicazione di una diligente attività di sindacato, nell’autonomia e indipendenza dell’organo di revisione, nei confronti dell’attività svolta dal Comune».
A rafforzare la correttezza dell’attività svolta dall’organo di revisione viene richiamata una deliberazione della sez. controllo della Corte dei conti, ove vengono accertate «irregolarità contabili e criticità, già indicate dal Revisore», con l’ovvia ricaduta di una conferma della valida attività resa all’Ente locale, finalizzata a garantire la stabilità, la sana e corretta gestione finanziaria.
Il grave inadempimento
Tutto questo attento agire del Revisore non può costituire un grave inadempimento da porre quale motivazione legittima della sua revoca: manca la base giuridica, ex comma 2, dell’art. 235 del TUEL, «Il revisore è revocabile solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall’articolo 239, comma 1, lettera d)»[4].
Si potrebbe prospettare un c.d. bias (distorsione) cognitivo quando la revoca «si riduce ad un coacervo di addebiti infondati, in fatto prima ancora che in diritto, oltreché alla indicazione di fatti pretestuosi e irrilevanti, inidonei a giustificare la revoca dell’incarico».
Effetti dell’annullamento degli atti
L’annullamento della revoca comporta la reintegrazione nella funzione di Revisore dei conti, al fine della prosecuzione dell’incarico per il completamento di un mandato triennale, detratto il periodo già svolto, assicurando il mandato nella sua interessa temporale (donde non vi è perdita degli emolumenti).
Per gli atti posti in essere dal Revisore caducato per effetto dell’annullamento della revoca, in considerazione del principio generale di continuità dell’attività amministrativa e della funzione essenziale dell’attività di Revisore dei conti, gli atti adottati restano fermi e affidati alla responsabilità dello stesso (factum infectum fieri nequit), avendo costui comunque ricoperto l’incarico alla stregua di un funzionario di fatto.
Minime considerazioni
Orbene, i fatti considerati secondo il cono visuale del giudice non si prestano ad alcuna censura, risultando del tutto marginali (inspiegabili in parte) rispetto all’attività del Revisore nel suo complesso, che esige un “dovere” di assolvere la funzione in piena autonomia e imparzialità, con competenza tecnica e conoscenze, oltre un’abilitazione specifica[5].
Il professionista ha adottato un modus operandi coerente con il ruolo ricoperto, non potendo ritenere che la diligenza possa essere mescolata a disservizi o ritardi, rilevando, altresì (a margine) che l’incarico di Revisore dei conti non è revocabile ad nutum per ragioni di contrasto in ordine alle scelte dell’Amministrazione, perché ne verrebbe alterato il corretto rapporto tra controllore e controllati, che le funzioni dell’organo di revisione devono assicurare[6].
Aspetto non sempre compreso nella sua essenza, come il confine tra “politica” e “gestione” (o la supremazia di una/o rispetto all’altra/o, appartenendo ad ambiti diversi, a volte coesi), dovendo ricordare che è esclusa la necessità del collegamento fiduciario tra organo che elegge (o nomina) ed organo eletto una volta perfezionata la nomina[7], senza richiamarsi (sarebbe complessa) alla disamina: sed quis custodiet ipsos custodes?[8].
[1] Si rinvia, LUCCA, L’elogio della “spinta”: apologia classica di una nuova base giuridica del “raccomando”, comedonchisciotte.org, 7 febbraio 2021.
[2] Si rinvia, LUCCA, La mancata “fiducia” non legittima la revoca del revisore, ildirittomministrativo.it, 18 ottobre 2019.
[3] TAR Marche, sez. I, 16 marzo 2018, n. 186.
[4] Diversamente, il mancato invio delle relazioni – questionario o il grave ritardo nella trasmissione delle stesse costituisce invece violazione di un preciso obbligo di legge e di un dovere d’ufficio idoneo a compromettere lo svolgimento del controllo intestato alla Magistratura contabile, e può costituire causa di revoca del revisore per inadempimento (ex art. 235, comma 2, TUEL), come specificato nel punto 1.9.7. dei Principi di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali, approvati nel febbraio 2019 dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli Esperti contabili, Corte conti, sez. contr. Sardegna, deliberazione 9 ottobre 2019, n. 71.
[5] Ed in effetti si potrebbe mutuare altro riferimento sulla puntualità del dovere, dove la «trasparenza non rallenta gli appalti, ma evita che si creino aree di opacità che penalizzano le imprese sane e riducono la concorrenza», Presidente ANAC, La trasparenza non rallenta gli appalti, in Extralibera – Le giornate di Contromafiecorruzione, 29 – 30 aprile 2022.
[6] Cons. Stato, sez. V, 9 maggio 2018, n. 2785.
[7] Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2017, n. 677.
[8] GIOVENALE, Satira, VI, e PLATONE, Repubblica, III.