La sez. II del T.A.R. Toscana, con la sentenza 15 luglio 2020 n. 926, delimita i poteri di recesso da una convenzione (concessione – contratto) da parte dell’Amministrazione locale in assenza di un contradditorio, impedendo la risoluzione ad nutum mediante revoca, istituto diverso dalla disdetta[1].
Va osservato, a tal proposito, che la revoca (provvedimento di secondo grado) si distingue dalla disdetta, quest’ultima si conforma al modello proprio della c.d. concessione – contratto, e si fonda su una dichiarazione dell’Amministrazione concedente che, almeno entro una determinata data dalla scadenza della concessione, notifica al concessionario la propria volontà di non rinnovare il rapporto in essere, con la conseguenza che la dichiarazione medesima toglie effetto alla rinnovazione tacita della concessione ottenuta dal concessionario mediante la prosecuzione nel pagamento del canone, oppure, più semplicemente, l’interesse a continuare il rapporto[2].
Mentre la revoca attiene a fattori relazionali attinenti alla condotta del rapporto, fattori che coinvolgono il regolare funzionamento delle prestazioni, secondo le regole generali di correttezza e buona fede (ex artt. 1175 e 1375 c.c., ossia il canone oggettivo del comportamento secondo “buona fede oggettiva”, che integra l’oggetto dell’esatto adempimento delle obbligazioni; la “correttezza” che deve sempre improntare i rapporti giuridici anche nella fase di affidamento, e che è oggettiva condizione prodromica per l’effettivo dispiegarsi di quel “contraddittorio paritario” o par condicio), attigue alla c.d. “fiducia negoziale” il cui venir meno, mediante inadempimento, può essere ritenuta causa della stessa revoca; la disdetta, diversamente, postula che il provvedimento concessorio spieghi i suoi effetti sino alla scadenza e produce, a tale momento, il mancato rinnovo della concessione.
La revoca determina che il provvedimento concessorio termini i propri effetti prima della sua scadenza[3], effetti correlati alla mancata ottemperanza, nei termini previsti nella concessione (o convenzione), degli obblighi imposti al concessionario: una volta posto a conoscenza del rischio in cui può incorrere in caso di persistente inadempimento, la motivazione della revoca può sempre essere dimostrata mediante una corretta istruttoria, da parte del responsabile del procedimento, con l’evidente corollario del “giusto procedimento” (alias l’istaurato contradittorio).
Si può ritenere, in questo primo quadro di analisi giuridica, che la disdetta di una concessione (o convenzione) costituisce un atto amministrativo avente natura vincolata, che consegue come fase esecutiva del potere discrezionale, di cui gode l’Amministrazione, in funzione del rapporto definito in via anticipata (una condizione a monte), sicché l’esercizio della disdetta risulta una conseguenza, ovvero un’opzione, sempre azionabile, stante l’inesistenza di un contrapposto diritto di insistenza del concessionario o di un’aspettativa giuridicamente rilevante al rinnovo[4].
Di converso, la revoca della concessione è legata al venir meno della “fiducia” relazionale, dove l’Amministrazione dispone la citata revoca sulla base del comportamento inadempiente del contratto – concessione, con una motivazione che può anche giungere ex post, dovuta alla gravità del comportamento tenuto, ponendo in rilievo come le continue e reiterate irregolarità/inadempimenti commessi interrompano il “rapporto di fiducia”.
A ben vedere, la revoca presuppone il mancato adempimento delle obbligazioni dovute (fatto storico) che possono dipanarsi in una serie di inadempimenti gravi del concessionario che implica il venir meno del rapporto di fiducia da parte del concedente a prescindere, quindi, dall’eventuale esito estintivo di esso dipendente da circostanze ulteriori ed esterne al rapporto obbligatorio, dovendo risultare (tale circostanza, la motivazione della revoca) da un provvedimento esplicito e seguire regole procedurali precise, nelle quali venga rispettato un determinato numero di condizioni necessarie, dalle quali sorgono diritti e obblighi in capo al singolo concessionario.
La sez. II Roma del T.A.R. Lazio, con la sentenza del 6 agosto 2020, n. 9048, evidenzia nella sua dimensione fattuale come l’Amministrazione possa valutare in concreto la violazione dell’obbligazione di una concessione, in termini di effettiva e incidente gravità, tenendo conto sia sotto il profilo oggettivo (con riferimento al momento genetico e funzionale del rapporto) che sotto il profilo soggettivo (dell’interesse del creditore all’esatto adempimento), revocando anzi tempo una concessione rispetto al termine prestabilito, sulla base di una serie di contestazioni inevase.
La revoca di una concessione (convenzione – contratto) ben può essere intrapresa una volta avviato il procedimento di contestazione e acquisito (o meno) le osservazioni del concessionario inadempiente, piuttosto che procedere direttamente con la risoluzione senza contradditorio, in violazione alle regole partecipative.
Trattate queste questioni di fondo, nella sentenza n. 926/2000 della sez. II del T.A.R. Toscana, il Comune dopo aver sottoscritto una convenzione, con una procedura aperta, per la concessione di punti di ristoro e relativi parchi comunali, con determina da «atto dell’avvenuta risoluzione di diritto della convenzione» (su una presunta condizione risolutiva) per una violazione di una norma regolamentare sulla gestione del verde pubblico (nel caso di specie, un uso non autorizzato), ordinando al concessionario di rilasciare l’area e ripristinare lo stato dei luoghi, entro un termine stabilito: seguiva ricorso.
Il procedimento di “risoluzione di diritto” viola l’art. 7 della legge n. 241/1990, donde la censura risulta fondata.
La revoca della concessione, quale condizione risolutiva espressa, doveva prevedersi in modo puntuale (come per la disdetta) senza margini di apprezzamento sul comportamento o la condotta del rapporto, dove l’inadempimento deve essere valutato nella sua gravità o invasività, con un procedimento di contestazione, assicurando alla parte (il concessionario) di giustificare i fatti o le omissioni.
In effetti, la comunicazione di avvio del procedimento, di cui all’art. 7 cit.[5], costituisce espressione del principio di imparzialità e di trasparenza del procedimento amministrativo e garantisce la partecipazione procedimentale, rendendo edotti del procedimento in corso i soggetti titolari di interessi direttamente coinvolti nel procedimento stesso, al fine di consentire a questi di fornire il loro contributo alla attività amministrativa, introducendo ed evidenziando elementi utili alle valutazioni e alle determinazioni dell’Amministrazione: la presentazione di memorie a difesa può assumere la consistenza di elementi di segno contrario che potrebbero convincere la P.A. a mutare avviso (evitando inutili contenziosi)[6].
Ne consegue che il provvedimento di risoluzione (rectius la determinazione) deve essere necessariamente preceduto dall’avviso di inizio del procedimento, attesa la necessità di instaurare un effettivo contraddittorio con il concessionario al fine di verificare, nel confronto procedimentale, il rilievo decisivo dell’adempimento o delle ragioni dell’inadempimento delle clausole contrattuali che porterebbero alla risoluzione, rilevando che la violazione di una norma ultronea alla convenzione, non può costituire fonte ipso facto eterointegrativa del rapporto: la mancata preventiva comunicazione dell’avvio comporta la illegittimità del provvedimento emanato[7].
La determina di risoluzione (cessazione anzi tempo della convenzione), infatti, costituisce un provvedimento di decadenza della concessione, ovvero un provvedimento autoritativo rispetto al quale trovano applicazione le garanzie di partecipazione al procedimento che non possono essere pretermesse, specie ove si consideri anche l’onere istruttorio e motivazionale che deve reggere il provvedimento, ex art. 3 della legge n. 241/1990 (rispetto ad una disdetta che non richiede alcun contradittorio ma riservata alle valutazioni discrezionali della P.A., legate alla durata del rapporto).
Di converso, va annotato che un atto amministrativo avente carattere vincolato non può essere invalidato per l’omessa osservanza delle norme che disciplinano la partecipazione endoprocedimentale, atteso che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato[8].
Viene affrontata puntualmente la sanzione espulsiva per la violazione del regolamento comunale, causa prevista all’interno del testo convenzionale (il quale «prevede la risoluzione di diritto in caso di inosservanza del regolamento comunale del verde pubblico»); tuttavia, l’estrema conseguenza della decadenza o della risoluzione non può scaturire da qualsiasi violazione del regolamento o della convenzione, dovendo peraltro evidenziare che la previsione così posta non risulta puntuale, ma alquanto generica e si presta ad essere considerata una c.d. clausola di stile, dovendo (diversamente) definire nel dettaglio quali violazioni – in relazione alla loro gradualità – comportano la risoluzione della convenzione.
In tal senso, il collegio esprime il principio di una proporzionalità tra il provvedimento di estinzione del rapporto e l’inadempimento che lo giustifica; proporzionalità che deve emergere da circostanze puntualmente e preventivamente contestate alla parte concessionaria, al fine di evitare che ogni violazione trasmodi in una condizione di inadempimento grave.
La sentenza conferma che la comunicazione di avvio del procedimento (alias la partecipazione procedimentale) e il preventivo contraddittorio assicura il “giusto procedimento”, consentendo all’Amministrazione di valutare tutte le posizioni, comprese le giustificazioni della parte, per una decisione ponderata, ossia esprimendo efficacemente la ratio della norma.
Di conseguenza, la condotta dell’Amministrazione in caso di revoca di una convenzione (concessione –contratto) deve essere adeguatamente supportata da una completa istruttoria procedimentale e dalla partecipazione dell’interessato[9], dimostrando come il contraddittorio procedimentale debba avvenire effettivamente e non essere carente quanto all’invio della comunicazione di avvio del procedimento[10], la cui mancanza costituisce violazione del principio di legalità e dell’art. 97 Cost., espressione del principio di buon andamento dell’Amministrazione ivi sancito.
[1] Rielaborazione, Revoca di una convenzione e mancata comunicazione di avvio del procedimento, mauriziolucca.com, 17 luglio 2020.
[2] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 20 giugno 2018, n. 6898 e 21 giugno 2017, n. 7.
[3] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 11 maggio 2020, n. 4903 e 14 gennaio 2015, n. 508.
[4] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 21 giugno 2017, n. 7251.
[5] La comunicazione di avvio del procedimento amministrativo si caratterizza per la sua natura di atto endoprocedimentale non autonomamente impugnabile, essendo privo di portata lesiva nei confronti del destinatario del provvedimento finale, rispetto al quale ha natura servente e strumentale, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 28 aprile 2020, n. 866.
[6] T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 18 giugno 2020, n. 688. Le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate in maniera meccanica e formale atteso che, nel rispetto della prescrizione normativa, il contraddittorio procedimentale va avviato non solo con i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, intesi come ampliamento o restrizione della propria sfera giuridica, ma anche nei confronti di chi possa ricavare da esso un pregiudizio giuridicamente rilevante, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 14 maggio 2020, n. 338.
[7] T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 4 maggio 2020, n. 253.
[8] T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 27 aprile 2020, n. 721.
[9] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 23 gennaio 2019, n. 113.
[10] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 21 luglio 2020, n. 8513.