Il T.A.R. Piemonte, sez. II, con la sentenza 7 maggio 2013 n. 558 interviene sulle determinazioni della Commissione Elettorale Circondariale di Asti, con il quale è stata deliberata la ricusazione della Lista Fascismo e Libertà per le elezioni amministrative del Comune di Tonengo.
Il giudice di prime cure non entra nel merito delle eccezioni di rito ma afferma immediatamente che il ricorso è infondato nel merito e va respinto.
Viene richiamato il precedente della quinta sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 1354 del 6 marzo 2013) con la quale è stato affermato che:
a. nel quadro costituzionale entro il quale si iscrive la disciplina che regola il procedimento elettorale e che fissa i poteri delle commissioni elettorali, si deve ritenere che i casi di esclusione e di correzione dei contrassegni e delle liste elettorali presuppongono implicitamente la legittimazione costituzionale del movimento o partito politico, alla stregua della XII disposizione di attuazione e transitoria della Costituzione che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista (“È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”);
b. la normativa elettorale, nello stabilire i casi di ricusazione dei contrassegni e delle liste, si riferisce a situazioni in astratto assentibili sul piano della superiore normativa costituzionale, senza fungere da garanzia per situazioni già vietate, in via preliminare e preventiva, dall’ordinamento costituzionale;
c. l’impossibilità che il movimento o l’associazione a cui si riferisce il simbolo o la lista partecipi alla vita politica postula quindi, in via implicita ma necessaria, il potere (dovere) della Commissione elettorale di ricusare la lista o i simboli attraverso i quali si persegue il fine originariamente vietato dall’ordinamento giuridico.
I giudici di Palazzo Spada (nella citata sentenza) osservano che il diritto di associarsi in un partito politico, sancito dall’art. 49 Cost. e quello di accesso alle cariche elettive, ex art. 51 Cost., trovano un limite nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista; il precetto costituzionale impedisce che un movimento politico formatosi e operante in violazione di tale divieto (XII disposizione) possa – in qualsiasi forma – partecipare alla vita politica e condizionarne le libere e democratiche dinamiche: l’attuazione di tale precetto, sul piano letterale come sul versante teleologico, non può essere limitata alla repressione penale delle condotte finalizzate alla ricostituzione di un’associazione vietata ma deve essere estesa ad ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito fascista.
È noto che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (ex art.49 Cost.), rilevando che il partito politico, nella sua lata accezione da ricomprendere i movimenti, svolge il ruolo di strumento attraverso cui i cittadini concorrono a determinare la politica nazionale (tanto maggiore quanto più democratica la sua essenza), assurgendo ad elemento essenziale del rapporto di rappresentanza politica che caratterizza la forma di Stato disegnata dalla Costituzione, con specifica esclusione del disciolto partito fascista.
Concorso che avviene fondamentalmente con la partecipazione alle competizioni elettorali, nel cui ambito sono essenziali la presentazione di alternative elettorali e la selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche, desumendo che “i partiti politici vanno considerati come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche” (Corte Cost., Ord., 24 febbraio 2006, n.79).
In questo quadro costituzionale opera la disciplina che regola il procedimento elettorale e che fissa i poteri delle commissioni elettorale e in modo specifico gli articoli 30 e 33 del d.P.R. n. 570/1960 stabilendo i casi di esclusione e di correzione dei contrassegni e delle liste elettorali: la normativa, nello stabilire i casi di ricusazione dei contrassegni e delle liste, si riferisce a situazioni in astratto assentibili sul piano della superiore normativa costituzionale senza fungere da garanzia per situazioni già vietate, in via preliminare e preventiva, dall’ordinamento costituzionale.
Depone, in questa linea interpretativa, il parere della sez. I, Consiglio di Stato, 23 febbraio 1984, n.173/94, che ha sottolineato l’impossibilità che un raggruppamento politico partecipi alla competizione elettorale sotto un contrassegno che si richiama esplicitamente al partito fascista bandito irrevocabilmente dalla Costituzione.
Per altri versi, gli articoli 30 e 33 citati prevede, altresì, che la Commissione elettorale ricusa “i contrassegni riproducenti immagini o soggetti di natura religiosa”, disposizione che limita un diritto di libertà con la motivazione sia dal rispetto per le immagini ed i soggetti religiosi, che devono restare estranei alle competizioni politiche, sia dall’intento di evitare ogni forma di suggestione sugli elettori; norma che va interpretata in senso restrittivo, tanto più alla stregua del più elevato livello di maturità e di conoscenze acquisite dall’elettorato rispetto alla situazione così come apprezzata dal legislatore nel 1960 (Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2012, n. 1366).
In definitiva, la presenza di una matrice riconducibile al Partito Fascista (di cui alla XII disposizione cit.) impone una vincolata esclusione senza margini di discrezionalità, ne tantomeno si può ipotizzare una violazione del canone di eguaglianza e una lesione del diritto alla libera associazione in partiti politici poiché in presenza di una tale specificità rispetto ad ogni comune associazione a fini politici, ne giustifica ex se un trattamento differenziato alla luce della precisa disposizione costituzionale transitoria: non vi può essere alcun tutela di fronte al divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista, imposto dalla norma costituzionale (Con. Stato, sez. V, 11 maggio 2013, n. 2573).
L’approdo finale porta a ritenere congruamente motivata la decisione della Commissione elettorale:
a. nel simbolo MFL viene mantenuto l’emblema del fascio e l’acronimo MFL (Movimento Fascismo e Libertà), che costituiscono un esplicito richiamo all’ideologia fascista;
b. nel simbolo PSN (acronimo di Partito Socialista Nazionale) viene comunque mantenuto l’emblema del fascio repubblicano, utilizzato dalla Repubblica Sociale Italiana e dal Partito Fascista Repubblicano, con ciò concretizzandosi un richiamo al disciolto partito fascista.
Accertata la correttezza dell’operato della Commissione, il Giudice respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente e con compensazione nei confronti dell’interveniente.