È noto che con la dichiarazione di emergenza emanata dal Governo.it con Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020, «Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili», è stato dichiarato «per 6 mesi… lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili».
In presenza di una situazione di emergenza, il potere esercitato a livello locale viene sospeso, sicché le ordinanze dei sindaci, ex art. 50 del D.lgs. n. 267/2000, di intervento extra ordinem in materia di emergenze «sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale» non trovano cittadinanza a fronte della disposizione del comma 1, dell’art. 32 «Funzioni di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria» della Legge 23 dicembre 1978, n. 833, dove «il Ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni».
Si potrebbe pensare di poter adottare i provvedimenti sindacali previsti dall’art. 54 del TUEL, in qualità di ufficiale del Governo, per motivi di “sicurezza urbana”, ma tali provvedimenti, ai sensi del comma 4, parte finale, «sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione», con l’intento dichiarato di un necessario coordinamento su una funzione – “l’ordine pubblico” – storicamente affidata al Ministero dell’Interno.
A fugare i dubbi sull’effettività di poteri esercitabili in materia di emergenza COVID-19, “soccorre” l’art. 35, «Disposizioni in materia di ordinanze contingibili e urgenti» del Decreto-Legge 2 marzo 2020, n. 9, «Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19» quando ammette che «A seguito dell’adozione delle misure statali di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 non possono essere adottate e, ove adottate sono inefficaci, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza predetta in contrasto con le misure statali».
La prima interpretazione, coerente con il processo emergenziale, postula che tutto il potere di ordinanza, indipendentemente dalla fonte di provenienza, non può essere esercitato e se esercitato è privo di efficacia giuridica; di converso, si può affermare che il potere di ordinanza può essere disposto purchè in linea (“non in contrasto”) con le misure adottate dal Governo.it.
Assistiamo in questi momenti ad una proliferazione di ordinanze emergenziali, da parte degli organi statali, con il fine di contenere l’emergenza.
Le ordinanze ministeriali (da ricomprendere i DPCM) sono atti amministrativi (non sono una legge, anche se seguono indicazioni esecutive disposte dalla legge) stabiliscono termini di efficacia ed effetti dalla data stabilita nel provvedimento; ne consegue che la produzione degli effetti giuridici decorre immediatamente e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ha un effetto di pubblicità, dovendo essere connessa con l’efficacia.
Ciò posto, solo qualche giorno fa (20 marzo 2020) il Ministero della salute emana un’ordinanza «Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale» che, all’art. 1, comma 1, lettera d), dispone che «nei giorni festivi e prefestivi, nonché in quegli altri che immediatamente precedono o seguono tali giorni, è vietato ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale, comprese le seconde case utilizzate per vacanza» stabilendo che le «disposizioni producono effetto dalla data del 21 marzo 2020 e sono efficaci fino al 25 marzo 2020» (l’ordinanza viene, quindi, trasmessa ai competenti organi di controllo per la registrazione e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana).
Il Ministro della Salute, di concerto con quello dell’Interno, emana l’ultima ordinanza n. 377366988 del 22 marzo 2020 (è inserita anche l’ora 15:21:29?) provvedendo – dalla data del 22 marzo (fino all’entrata in vigore di un nuovo DPCM) – al «divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute», a distanza da altra ordinanza del 20 marzo 2020 «Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale» limitativa dei movimenti.
In questa ordinanza del Ministro della salute le disposizioni «producono effetto dalla data del 22 marzo e sono efficacia fino all’entrata in vigore di un nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all’art. 3 del Decreto – Legge 23 febbraio 2020, n. 6».
Ora si deve annotare che il D.L. n. 6/2020, sopra citato, è già stato convertito in Legge 5 marzo 2020, n. 13 «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19» e all’art. 3, comma 2 dispone «Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, nei casi di estrema necessità ed urgenza le misure di cui agli articoli 1 e 2 possono essere adottate» definendo la competenza e la titolarità del potere:
- «ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833», abilitando un potere anche a livello regionale e locale;
- «dell’articolo 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» ove si prevede che «In caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali. In caso di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del comma 1»;
- «e dell’articolo 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267», quelle ordinanze vietate dall’art. 35 del D.L. n. 9/2020.
Il secondo periodo del comma 2, dell’art. 3 del D.L. n. 6/2020, convertito in Legge n. 13/2020, precisando che le misure adottate «perdono efficacia se non sono comunicate al Ministro della salute entro ventiquattro ore dalla loro adozione», con l’intento di consentire dei margini di intervento, ergo il potere sindacale di ordinanza (ma anche quello regionale) individuato espressamente nelle norme citate, quasi a suggellare una loro efficacia dispositiva; efficacia, pare giusto ribadire, negata (per i sindaci) dall’art. 35 del D.L. n. 9/2000 «Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», in attesa di conversione in legge.
A rafforzare tale orientamento potrebbe valere il richiamo al terzo comma dell’art. 3 «Attuazione delle misure di contenimento», del D.L. n. 6/2020, convertito in Legge n. 13/2020, che fa «salvi gli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti già adottate dal Ministro della salute ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833», quasi a voler sanare la produzione di disposizioni normative (limitative della libertà di movimento) adottate.
Si aggiunge alle misure (invocate e in parte adottate da alcuni Presidenti di regione), il DPCM del 22 marzo 2020 «Ulteriori misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale» (in corso di pubblicazione in G.U. al momento in cui si scrive), a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della salute che assorbe, all’art. 1, comma 1, lettera b), la misura adottata dal Ministro della salute «è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; conseguentemente all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 le parole “È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza” sono soppresse».
Le disposizioni del cit. DPCM (“chiudi Italia”), ultimo in ordine di tempo, «producono effetto dalla data del 23 marzo 2020 e sono efficaci fino al 3 aprile 2020».
Si dispone, inoltre, che le stesse disposizioni si applicano, cumulativamente a quelle:
- «di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 marzo 2020», «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale», quello riferito alla sospensione delle attività (con «effetto dalla data del 12 marzo 2020 e sono efficaci fino al 25 marzo 2020»)[1];
- «nonché a quelle previste dall’ordinanza del Ministro della salute del 20 marzo 2020 i cui termini di efficacia, già fissati al 25 marzo 2020, sono entrambi prorogati al 3 aprile 2020».
Ora come sia possibile che dall’annuncio Facebook alla Nazione, del Presidente del Consiglio dei Ministri, delle ore 22.30, slittato alle 23.30, dove i media e i principali network televisivi erano collegati con edizioni straordinarie dei telegiornali, sfornito di un immediato riscontro documentale delle misure, risulta una questione alquanto singolare, che, oltre ad aver creato una certa riflessione da più parti (alcuni dicono confusione), ha generato un certo imbarazzo interpretativo, oltre a dimostrare una mancanza di concretezza (si può dire); quella capacità richiesta ed esigibile proprio dalle norme emergenziali che presuppongono interventi efficaci nell’immediato e comprensibili, piuttosto che spezzatini di norme poco incisive, se richiedono un continuo inasprimento, a tacer d’altro.
Un quesito subito reperibile in rete, o nei dibattiti tra gli operatori istituzionali, è quello di conoscere, meglio si direbbe, di comprendere i termini e le possibilità di movimento, specie in quei territori (e sono moltissimi) dove mancano i generi di prima necessità: si potrebbe subito rispondere che, essendo necessari per la sopravvivenza umana, saremmo di fronte ad uno “stato di necessità”, ovvero un’urgenza tale che il venir meno del bene comprometterebbe la salute (individuale o famigliare).
Più corretto, appare l’interpretazione che associa l’esigenza di movimento a necessità collegate a situazioni di indifferibilità (all’assenza di un servizio primario per la vita, manca ad. es. un servizio di fornitura pasti a domicilio da parte degli organi istituzionali), legati ad uno stato di bisogno non altrimenti esperibile (rinviabile), salvo ovviamente per quei lavori, servizi o prestazioni lavorative essenziali o di pubblica utilità.
Seguiranno sicuramente note interpretative, chiarimenti, precisazioni: tutte questioni che dovevano già essere risolte a monte.
A questo punto, occorre ricordare che l’art 16 Cost. assicura ad ogni cittadino «di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza».
Mentre l’art. 77 Cost., al comma secondo stabilisce che «Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni», e al terzo comma definisce la durata di questa “decretazione emergenziale” visto che «i decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione».
Senza andare in profondità del dettato giuridico, si potrebbe argomentare che la creazione di norme incisive sulle libertà, mediante fonti del Governo.it, seppure giustificate da interessi primari per l’esistenza umana (salute pubblica, ex art. 32 Cost. «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»), dovrebbero essere ancorate:
- ad un corretto sistema di elaborazione e di efficacia;
- ad una semplicità e chiarezza espositiva, senza necessità di sistematiche riletture;
- interessare, come di fatto interessa, l’intera popolazione (atteso che la questione è stata dichiarata e conosciuta da mesi);
- non potrebbero perdurare nel tempo, visto che l’emergenza persiste da mesi, dovendo, semmai, procedere con atti del Parlamento, salvo che le Camere non ne conferiscano i poteri al Governo.
Il quadro emergenziale dimostra tutti i limiti di un sistema che sicuramente dovrà essere rivisto, non solo con riferimento al modello sanitario (o di sviluppo), ma con riferimento ai rapporti tra Stati, alle modalità di affrontare emergenze che per loro natura diventano globali e richiedono risposte immediate e per tempo.
La limitazione dei movimenti esige presupposti tassativi, essendo misure pesantemente incidenti su diversi diritti e libertà costituzionali, rappresentando dunque una misura necessaria e indispensabile per sconfiggere il coronavirus.
Servirebbe (o sarebbe servito) un intervento più incisivo – meno graduale – come richiesto da più parti (anche dalle Regioni più colpite) rispetto ad una serie di misure che si sono dimostrate inadeguate a fermare o ridurre i contagi, ovvero – alla prova dei fatti – è mancata la capacità di comprendere la dimensione della gravità (frutto, per la verità, di politiche di contenimento della spesa, anche sanitaria, che partono da lontano e le cui responsabilità sono facilmente attribuibili)[2].
I limiti di queste misure sotto una molteplicità di profili e delle difficoltà interpretative/operative, si possono cogliere anche nell’ordinanza presidenziale[3] che sospende l’«atto di diffida e messa in quarantena», soffermando sui motivi di «verosimiglianza di quanto dedotto in esito alla essenzialità del percorso seguito dalla propria abitazione per l’approvvigionamento presso il punto di distribuzione automatico di tabacchi» da parte di un cittadino il quale aveva dato «la sussistenza di adeguata prova con riferimento agli impegni professionali», ritenendo «che l’estrema gravità e d’urgenza vada apprezzata anche nella adeguata considerazione del fine giustificante le misure adottate» le ordinanze regionali e relativi chiarimenti.
Le regole del diritto e le limitazioni delle libertà in un periodo grave per l’umanità richiedono unità e solidarietà, e una certa dose di buon senso e responsabilità individuale (che non fa mai male).
[1] Cfr. il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 marzo 2020 (in G.U. n. 62 del 9 marzo 2020; in vigore dal 10 marzo 2020), «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale» (“state tutti a casa”) con il quale si sono estese su tutto il territorio nazionale le misure del DPCM 8 marzo 2020 (in G.U. n. 59 dell’8 marzo 2020), «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19». Vedi, anche per le chiusure di scuole, università, convegni il DPCM 4 marzo 2020 (in G.U. n. 55 del 4 marzo 2020), «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale», efficaci fino al 3 aprile 2020.
[2] Significativi di questi limiti è la lettura del decreto presidenziale T.A.R. Marche, sez. I, 27 febbraio 2020, n. 56, ove si rileva che la Presidenza del Consiglio dei Ministri lamenta che la Regione avrebbe emesso un’ordinanza in assenza del presupposto (individuato dall’art. 1, comma 1, del D.L. n. 6 del 2020) che nella zona risulti “positiva almeno una persona”, dovendo semmai seguire le indicazioni cautelative messe in atto dalla Regione, poi dimostratesi reali.
[3] T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, del 20 marzo 2020, n. 433.