(tratto da “Spazioetico”, 14 aprile 2021)
In questo secondo video dedicato al “Rinascimento Saudita”, Maurizio Lucca, Massimo di Rienzo e Andrea Ferrarini commentano la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 7642 del 27 novembre 2020, nella quale il Consiglio di Stato affronta il tema del conflitto di interessi della commissioni di gara di una stazione appaltante, chiamata a valutare l’offerta di una azienda concorrente i cui legali rappresentanti siano ex dipendenti della stazione appaltante. Inoltre, nella medesima sentenza, il Consiglio di Stato si pronuncia sul tema del “pantouflage”, nell’ipotesi in cui gli ex dipendenti di una stazione appaltante, con mansioni di tipo operativo, costituiscano una ATI (Associazione Temporanea di Imprese) con un operatore economico che è stato concessionario della stazione appaltante.
Di seguito una riproduzione testuale della “historia” narrata da Nepote.
La “Romana Agricola era una “societas per actiones”, controllata dalla Repubblica Romana, che si occupava della manutenzione delle vie consolari dell’Urbe, sotto il vigile controllo degli Aediles, cioè dei magistrati incaricati della manutenzione delle Strade.
La Romana Agricola, per lo svolgimento delle proprie mansioni, si giovava della manodopera di numerosi schiavi, adibiti alla sistemazione del manto stradale e delle aree di sosta costruite a bordo strada, destinate ai cavalli e ai viaggiatori.
Una delle aree di sosta gestite dalla Romana Agricola S.p.A è citata anche dallo storico romano Cornelio Nepote, nel suo “De Tabernis illustribus”, la Guida Michelin del mondo antico! Si tratta dell’area di sosta di Vallis Vetus, che sorgeva ai margini della via Appia. Un’area di sosta cum taberna, che fu al centro di un’intricata vicenda giudiziaria.
I servizi dell’area di sosta (stabulazione dei cavalli, somministrazione di alimenta et potiones, et caetera…) erano stati dati in concessione per 5 anni alla società Aeternum SpA. Il contratto di concessione prevedeva il versamento di un tributum annuum da parte del concessionario, che doveva farsi carico anche della manutenzione della taberna.
Alla scadenza del contratto era stata indetta una nuova gara, che era stata vinta dalla Sinepecunia, una “societas” ligure specializzata nella gestione di bettole e lupanari. Ma la Sinepecunia si era rifiutata di firmare il contratto, avendo rilevato che la taberna annessa all’area di sosta era una spelunca ruinosa et sine latrinis, una caverna in rovina e priva di bagni. E aveva chiesto di essere esonerata dal pagamento del tributo, date le spese che avrebbe dovuto sostenere per sistemarla.
La Romana Agricola aveva quindi revocato la concessione e indetto una nuova gara. Tuttavia, per non incorrere in altri problemi, la Romana Agricola aveva architettato quella che Cornelio Nepote definisce una “liberalem fraudem”, un generoso inganno.
“Tra le maestranze al servizio della Romana Agricola v’erano due schiavi fedeli” scrive Nepote “che da molti anni si occupavano della manutenzione della Vallis Vetus. Ai due schiavi fu promessa la libertà in cambio del loro impegno ad aprire una societas e a costituire una ATI (Associatio Temporanea Impresarum) con la Aeternum Spa, per aggiudicarsi la concessione dell’area di sosta sulla via Appia.
I due schiavi accettarono e acquisirono lo status di liberti. La società da essi fondata, la Ex Vinculis, costituita pochi giorni prima della scadenza del bando, partecipò alla gara in ATI con la Aeternum Spa e si aggiudicò la concessione dell’area. Cornelio Nepote conclude il suo racconto, elogiando l’astuzia di Romana Agricola, che aveva realizzato una “laetam convergentiam in publicis privatisque interestibus”, una fortunata convergenza tra interessi pubblici e privati: i due schiavi avevano ottenuto la libertà e Romana Agricola aveva affidato l’area a concessionari fedeli e affidabili!
Qui si conclude il racconto di Cornelio Nepote. Ma le cose non andarono proprio così lisce. Nel De Retorica di Cicerone, infatti, troviamo la narrazione di una causa intentata dalla Sinepecunia contro la Romana Agricola, proprio per chiedere l’annullamento della concessione dell’area Vallis Vetus alla Ex Vinculis. La Sinepecunia aveva denunciato dei brogli nella gestione della Gara di concessione e, data la natura pubblica della Romana Agricola, la controversia era stata sottoposta al Senato di Roma, per un giudizio di merito.
La Sinepecunia era patrocinata dall’avvocato Caio Orazio Capra, un avvocato non particolarmente capace, ma noto per avere un onorario piuttosto basso. Mentre la Romana Agricola aveva chiamato a propria difesa Cicerone in persona!
Caio Orazio Capra si rivolse ai Senatori facendo una interminabile arringa, in cui chiamò in causa il reato di “Sandalia”, qualcosa di simile al nostro pantouflage. Tale reato era commesso dal magistrato pubblico che si fosse messo al servizio di un privato che era stato destinatario dei suoi “officia” nei tre anni successivi alla fine del suo incarico. Il nome di tale reato richiamava, metaforicamente, il gesto del centurione che si toglieva le scomode Caligae, le pesanti calzature militari con la suola di ferro, per indossare dei più comodi sandali.
Secondo Orazio Capra i due schiavi Liberti avevano commesso Sandalia , quando avevano costituito una loro società ed avevano partecipato alla gara insieme alla Aeternum spa.
Concludendo la propria arringa, Orazio Capra denunciò anche una chiara situazione di conflictum interestorum, a carico del “comitatum selectionis” cioè della commissione di gara che aveva valutato le offerte presentate dalle ditte partecipanti. I componenti della commissione, infatti, si erano trovati a dover giudicare l’offerta presentata da due liberti che avevano servito la Romana Agricola.
Cicerone, a sua volta, aveva difeso i suoi clienti con una breve orazione, per non prolungare ulteriormente l’inutile dibattimento: si era limitato a osservare che il reato di “Sandalia” non era ipotizzabile, perché i due liberti erano si erano messi al servizio di se stessi (semper se ipsum licet servire, aveva sentenziato Cicerone). Infine, aveva negato la presenza di un conflitto di interessi, perché un liberto, quando ottiene la libertà, si lascia alle spalle tutte le relazioni che avevano caratterizzato la sua condizione servile: in libertate nulla servitus est
Il Senato emise la propria sentenza e, ovviamente, Cicerone vinse la causa. Secondo i Senatori i due liberti non avevano commesso reato di “Sandalia”, perché, nella loro condizione servile di addetti ai lavori di manutenzione, non avevano esercitato alcun potere nei confronti della Aeternum spa. Inoltre, secondo i Senatori, evocare il mero rapporto di “servitù” non era sufficiente per dimostrare la condizione di conflitto di interessi della commissione di gara. Il conflitto di interessi andava dimostrato in concreto, rilevando l’esistenza di rapporti “preferenziali” o “di vicinanza”, relativi alla sfera privata dei componenti la commissione.
Cicerone racconta questa vicenda nel De Retorica, per dimostrare le conseguenze di una strategia processuale sbagliata. E paragona Caio Orazio Capra “allo stolto che nel cielo del mattino cerca le stelle della notte appena passata”.
Insomma, sembra suggerire Cicerone, un conflitto di interessi c’era… ma Orazio Capra lo ha cercato nel posto sbagliato!