In linea generale, il risarcimento del danno esige una verifica concreta del pregiudizio arrecato, sicché la condotta tenuta dall’Amministrazione, ovvero, l’annullamento del provvedimento illegittimo, non è una conseguenza automatica ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo (mancata adozione dell’atto, alias silenzio) è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell’agire illegittimo della Pubblica Amministrazione (inerzia).
Infatti, per danno ingiusto risarcibile, ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ., si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero, verificatasi con modalità contrarie al diritto, rilevando che, nella determinazione del quantum, si dovrà valutare il comportamento tenuto dall’interessato, il quale potrà aver concorso nell’“aggravare” il danno, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, cod. civ. («se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza»)[1].
Allegazioni probatorie
Il precipitato comporta la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico[2].
Ricorrendo al giudice, la parte è gravata dall’onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell’Amministrazione per fatto illecito delineata dall’articolo 2043 cod. civ., nel cui alveo deve essere ricondotta la domanda: si dovrà verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, così individuabili:
- il fatto illecito;
- l’evento dannoso ingiusto e il danno patrimoniale conseguente;
- il nesso di causalità tra il fatto illecito e il danno subito[3];
- la colpa dell’apparato amministrativo (l’elemento soggettivo, inteso nel senso che l’attività illegittima deve essere imputabile all’Amministrazione a titolo di dolo o colpa, come testualmente confermato dall’art. 2 bis della legge n. 241/1990, ai sensi del quale il danno deve conseguire alla «inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento»)[4];
- sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato da un nesso da causalità ai pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati[5].
Silenzio inadempimento
L’art. 2, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 impone alle Pubbliche Amministrazioni l’onere di determinare, per ciascun tipo di procedimento, il termine entro il quale esso deve essere concluso, quando non siano la legge o il regolamento a stabilire tale termine[6].
Nel silenzio, l’interesse giuridicamente protetto è qui l’aspettativa della utilità incrementali attese per via della positiva conclusione del procedimento, e non la generica reintegrazione “del tempo”, il quale non costituisce (sul versante civilistico) un autonomo “bene della vita”, bensì rappresenta il presupposto (empirico) per lo sfruttamento delle possibilità acquisitive conseguibili con il proprio agire lecito: devono essere presenti tutti i requisiti costitutivi[7].
L’art. 2 bis, Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, della legge n. 241/1990, dispone il risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza «dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento», ex art. 2 della legge n. 241/1990, potendo richiedere anche un indennizzo da mero ritardo dell’adempiere, detratto dal risarcimento.
In dipendenza di ciò, si può sostenere che il risarcimento del danno da ritardo dell’Amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non costituisce un effetto del ritardo in sé e per sé poiché l’ingiustizia e la sussistenza del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo: servono ulteriori elementi.
Nei danni causati dal ritardato esercizio dell’attività amministrativa, spetta alla parte fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici, ex art. 2729 cod. civ., per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno, ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito[8].
Il pronunciamento
La sez. V Catania, del TAR Sicilia, con la sentenza 11 febbraio 2025, n. 564, delinea il danno da ritardo nel mancato rilascio di un titolo edilizio necessario per ottenere un finanziamento pubblico: l’inerzia della PA ha portato alla perdita del bene della vita, danno attenuato dalla condotta del ricorrente, al quale è stata addebitata una condotta non collaborativa nell’assicurare l’esito positivo della richiesta.
Il Tribunale condanna l’Amministrazione del danno derivanti dal tardivo rilascio di un permesso di costruire, documento indispensabile da accludere ad una richiesta partecipazione ad un bando pubblico per il sostegno di attività «agrituristiche, di ristorazione, di ospitalità e di didattica sociale”.
Antefatto
Il Comune si giustificava con la presentazione di una comunicazione di preavviso di diniego, motivata in ragione della sussistenza di un vincolo, richiesta integrata da osservazioni: l’Amministrazione non provvedeva al rilascio del titolo, a cui seguiva una diffida e messa in mora, accoglimento di apposito ricorso al TAR avverso il silenzio inadempimento dell’Amministrazione, con nomina del Commissario ad acta e rilascio del titolo, accertando la concreta spettanza del bene della vita[9].
In definitiva, a causa di tale colpevole reiterato ritardo del Comune, il ricorrente perdeva il finanziamento, donde la domanda di condanna al pagamento dei danni.
Merito
Il ricorso viene ritenuto fondato (con condanna alle spese), con l’accertamento del diritto al risarcimento del danno sofferto a causa del ritardo con cui il Comune ha dato riscontro alla richiesta del rilascio di un permesso di costruire.
I termini motivazionali:
- la perdita del finanziamento è direttamente collegata al mancato rilascio del titolo (requisito previsto dal bando di finanziamento);
- l’Amministrazione solo a seguito all’esercizio dell’azione avverso il silenzio (inadempimento) e all’accoglimento del relativo ricorso, con la nomina – per la perdurante inerzia nel provvedere – del Commissario ad acta ha provveduto;
- invero, il rilascio del titolo è stato effettuato dal Commissario ad acta, in luogo (sostituzione) della PA che avrebbe dovuto, mediante i propri organi ordinari, agire;
- più puntualmente, l’Amministrazione avrebbe ben potuto (rectius dovuto) agire, sia in pendenza del ricorso, sia dopo l’accertamento dell’inadempimento, che prima dell’effettivo intervento conclusivo del Commissario ad acta, consentendo al privato di partecipare utilmente al bando: diversamente non vi è stata alcuna spontanea attività dell’Amministrazione (un silenzio colposo);
- la comunicazione del preavviso di diniego è risultata del tutto destituita di ogni fondamento: «smentita dal fatto che il Commissario ad acta, intervenuto a seguito dell’accertamento giurisdizionale del silenzio inadempimento dell’Amministrazione, ha correttamente provveduto, di propria iniziativa»;
- si profila (in modo solare) la responsabilità dell’Amministrazione, anche da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento;
- una responsabilità da fatto illecito aquiliano, con i conseguenti oneri probatori a carico del soggetto che agisce in giudizio, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 cod. civ. – da ritenere espressione di un principio generale dell’ordinamento – i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ.[10].
Il danno da ritardo
Sussistono tutti gli elementi che caratterizzano il danno:
- un nesso causale tra il “danno” (perdita definitiva della chance di ottenere il finanziamento) ed il “fatto illecito” (impeditivo proprio della possibilità dell’ottenimento dello stesso finanziamento) consistito nel ritardo ingiustificato dell’Amministrazione nel porre in essere gli adempimenti necessari per il rilascio del permesso di costruire;
- la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa grave in capo all’Amministrazione, emergente, con tutta evidenza, dall’ingiustificata inerzia serbata nel concludere il procedimento di rilascio del titolo edilizio avviato con il deposito dell’istanza da parte del ricorrente;
- la colpa “d’apparato” dell’Amministrazione si profila nella sua esteriorità, dalla persistente inerzia pur in presenza di osservazione e sollecitazioni del privato (rispetto ad un preavviso di rigetto del tutto ingiustificato di diritto), ed anche (fatto ancor più grave) a seguito dell’ordine di provvedere emesso, nei suoi confronti, in sede di giudizio avverso il silenzio inadempimento.
La quantificazione del danno – in via equitativa – pari al 5% del perduto finanziamento, ridotta in relazione all’obbligo di cooperazione gravante sul preteso danneggiato (che non si è adoperato con maggior solerzia, indi concorso di colpa nella causazione del danno), ex artt. 1227, secondo comma, cod. civ., e 30, terzo comma, cod. proc. amm. che esige, anche in coerenza «con la generale previsione della tutela della buona fede e del principio di affidamento contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo (art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241… una peculiare intensità dello sforzo diligente richiesto al preteso danneggiante per evitare la causazione del danno da provvedimento (affidante) illegittimo»[11].
Il danno da ritardo viene equiparato ad una perdita di chance di “arricchimento patrimoniale”, formatasi a seguito dell’inserimento del ricorrente nell’elenco degli aventi diritto al finanziamento e meritevole di tutela, quale aspettativa qualificata all’assegnazione, secondo l’id quod plerumque accidit, della misura sopra indicata.
Danno da mero ritardo
A completamento, si rammenta che, ai sensi dell’art. 28, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, al fine di ottenere l’indennizzo da mero ritardo (art. 2, comma 2 bis della legge 241/1990), l’istante è tenuto ad azionare il potere sostitutivo previsto dall’art. 2, comma 9 bis, della legge n. 241 del 1990 e s.m.i. entro il termine di venti giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento: tale termine per attivare il potere sostitutivo è perentorio[12].
Prospettive
La sentenza descrive una situazione di inerzia gravemente colposa, fonte di inevitabili responsabilità (erariali, disciplinari e dirigenziali), censurando, altresì, un’istruttoria carente di fondamento giuridico, segno di una trascuratezza nel percepire le esigenze del cittadino, il quale, per l’inerzia della PA, perde la possibilità di effettuare un investimento nella propria attività.
Sorprende, in questo contesto fattuale ed organizzativo, il silente non agire pur in presenza di un giudicato, aggravando il danno e (l’uomo medio immagina) il senso di inutilità delle regole: un arbitrio inescusabile.
[1] Cfr. Cons. Stato sez. V, 17 gennaio 2025, n. 368.
[2] Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2024, n. 7195; sez. IV, 31 maggio 2024, n. 4908 e 12 settembre 2023, n. 8282.
[3] Il nesso di causalità deve essere ricostruito valutando se, in applicazione della teoria condizionalistica e della causalità adeguata, è “più probabile che non” che l’omissione della PA sia stata idonea a cagionare l’evento lesivo, Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2014, n. 2792.
[4] Cons. Stato sez. V, 11 ottobre 2024, n. 8186.
[5] TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, 11 dicembre 2024, n. 22397.
[6] Cons. Stato, sez. V, 30 luglio 2024, n. 6846.
[7] Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2025, n. 135. Occorre verificare la sussistenza sia, dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale) e sia, ancora, di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante), in quanto il mero “superamento” del termine fissato ex lege o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma integra “piena prova del danno”, TAR Veneto, sez. II, 26 gennaio 2015, n. 51.
[8] Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2025, n. 1052.
[9] L’azione avverso il silenzio inadempimento, di cui all’art. 117 cpa, è esperibile solamente quando l’Amministrazione sia tenuta ad adottare un atto di natura provvedimentale e non, invece, nelle ipotesi in cui una norma di legge imponga l’adozione di un regolamento o di un atto amministrativo generale, TAR Lazio, Roma, sez. I bis, 6 novembre 2024, n. 19541.
[10] Cons. Stato, Ad. Plen., 23 aprile 2021, n. 7.
[11] Cons. Stato, sez. VII, 28 agosto 2023, n. 8003.
[12] TAR Lazio, Roma, sez. II, 25 luglio 2023, n. 12608.