La sezione I ter del T.A.R. Lazio – Roma, con la sentenza 15 luglio 2013, n. 7040, accoglie il ricorso finalizzato al risarcimento del danno presentato da un amministratore locale per l’illegittimo scioglimento del consiglio comunale.
L’amministratore lamentava la lesione del diritto alla reputazione, al decoro ed all’onore, nonché al diritto alla vita di relazione, con conseguente danno esistenziale, nonché il diritto all’identità personale ed alla salute psico-fisica, giungendo ad affermare di aver subito danni materiali, nella misura dell’indennità di funzione non percepita a seguito del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale.
Lo scioglimento che ha portato la decadenza dalla carica di sindaco è stato disposto per assunti “collegamenti diretti ed indiretti tra parte dei componenti del civico consesso e la criminalità organizzata, rilevati dai competenti organi investigativi”, con “grave pregiudizio allo stato della sicurezza pubblica e (…) svilimento delle istituzioni e (…) perdita di prestigio e credibilità degli organi istituzionali”.
È noto che lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni della criminalità organizzata (alias “infiltrazione mafiose”) non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo quando emerga la presenza di elementi relativi alle collusioni o alle forme di condizionamento da parte dell’organizzazione criminale, che consenta di individuare la sussistenza di un rapporto tra quest’ultima e gli amministratori dell’ente reputato infiltrato.
Lo scioglimento costituisce una misura precauzionale basata su elementi in grado di fornire una rappresentazione di significatività e di concludenza seria che non sfocia in una sanzione di tipo penale (ovvero, a seguito dell’accertamento di reati ma è un’azione ex ante alla commissione dell’illecito) ma di tipo preventivo, in funzione di una visione di compromessa “indipendenza e imparzialità” della P.A.; situazione critica (di allarme sociale) che si fonda sulla presenza di una condotta di coartata (potenziale) soggezione, quand’anche non collusiva, degli uffici e degli amministratori alla criminalità organizzata.
L’insieme (il c.d. quadro fattuale) deve condurre a una valutazione di alterata capacità decisionale, ovvero il processo decisionale – seppur apparentemente attribuibile al soggetto pubblico – in realtà il dominus è esterno, con evidente condizionamento ed esautoramento di poteri da parte degli organi elettivi e/o burocratici.
Tale processo di astrazione non può – in ogni caso – basarsi su valutazioni arbitrarie, sommarie, insufficienti ma deve essere fondato su un’attività istruttoria, seppure non approfondita e dettagliata (la relazione accertativa dei fatti) ma capace di rientrare nei parametri individuati dall’articolo 3 della Legge n.241 del 1990; diversamente siamo in presenza di un’attività amministrativa che si pone al di fuori del diritto, incidendo negativamente su quei valori di trasparenza e imparzialità (giusto procedimento) posti alla base dell’agire pubblico e canonizzati nell’articolo 97 della Costituzione.
Nel caso di specie, lo scioglimento è stato disposto sulla base di una relazione del Ministro dell’Interno ove si afferma che “particolare rilievo assume la figura del Sindaco (…) nei cui confronti sono in corso indagini giudiziarie” e che “risulta avere frequentazioni e contatti personali con esponenti della locale malavita” e si sostiene altresì che lo stesso avrebbe avuto “un ruolo egemone (…) all’interno dell’ente nella gestione di alcuni appalti pubblici”.
Considerazioni di un certo spessore espositivo ma non sostenute da riscontri oggettivi, ritraibili dall’attività istruttoria, attività istruttoria carente e in evidente violazione delle regole di buon andamento, correttezza e imparzialità, essendo chiaramente emersa (in sede processuale) la negligenza dell’Amministrazione, concretantesi nella superficialità e nell’approssimazione della citata istruttoria, con violazione grave e manifesta delle norme giuridiche, dovendo esprimere un giudizio di valore in termini di “rimproverabilità”.
È necessario un quid pluris rispetto alla singola circostanza, una condotta attiva od omissiva, condizionata dalla criminalità anche in quanto subita, riscontrabile con discrezionalità ampia, ma non disancorata da situazioni di fatto suffragate da obbiettive risultanze istruttorie che rendano attendibili le ipotesi di collusione, così da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della comunità locale il permanere alla sua guida degli organi elettivi: un insieme di elementi in ordine a collusioni e condizionamenti che conducono a valutazioni che non possono essere effettuate estrapolando singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l’esistenza di taluni di essi, ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo.
L’approdo volge a rimarcare che la motivazione non può essere adeguata, sotto il profilo istruttorio, se non è sostenuta da un complesso di dati e circostanze che disegnano l’intera vicenda censurata dall’ordinamento; viceversa un solo elemento, seppure in un contesto comportamentale costante di frequentazioni (o parentale), non produce un accertamento completo da porre a sostegno della citata motivazione (elemento essenziale dell’atto amministrativo non proponibile in via postuma).
In linea generale, quindi, può essere accolta, ex art. 2043 c.c., la domanda tendente ad ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza di un provvedimento ritenuto, in sede giudiziaria, illegittimo quando l’Amministrazione, contrariamente a quanto disposto dalla normativa (quella generale e quella specifica, caso di specie), non ha adeguatamente valutato le circostanze previste dalla norma e idonee a far emergere la “colleganza” tra criminalità e Amministrazione.
Il Tribunale de plano nell’accogliere la richiesta risarcitoria evidenzia che in sede processuale (negli atti di accoglimento del ricorso contro il provvedimento di scioglimento) il giudice amministrativo, ha rimarcato la carenza di istruttoria ed il travisamento dei fatti, che hanno condotto all’adozione del provvedimento in assenza del necessario presupposto, vale a dire di un obiettivo collegamento dei componenti del Consiglio comunale e del Sindaco con la criminalità organizzata, acclarando in concreto la violazione di legge (sotto il profilo sintomatico dell’eccesso di potere per travisamento dei fatti): un’evidente carenza del primo elemento costitutivo della motivazione: il profilo istruttorio (acquisizione prove).
Appurata l’illegittima condotta amministrativa, il Giudice amministrativo procede nella determinazione del danno (viene dimostrato in claris il nesso causale con il provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale annullato); la colpa in capo dell’Amministrazione è desunta proprio “dalla circostanza che essa ha adottato un provvedimento di cotanta portata senza prima eseguire tutti gli approfonditi accertamenti richiesti” (rectius attività istruttoria sotto il profilo della verifica concreta delle circostanze fattuali).
A tal proposito, non va dimenticato che l’illegittimità dell’atto amministrativo già costituisce un indice presuntivo della colpa della P.A., sulla quale incombe l’onere di provare la sussistenza di un proprio ipotetico errore scusabile, e non occorre nemmeno un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione potendosi limitarsi per l’appunto ad allegare l’illegittimità dell’atto.
Il danno, ossia il pregiudizio riferibile ai diritti della personalità, con specifico riguardo al profilo del diritto alla reputazione ed alla vita di relazione (la lesione di diritti della personalità protetti dalla Costituzione ha comportato un danno di autonoma rilevanza patrimoniale, suscettibile di riparazione per equivalente), viene quantificato pari alla somma del quantum spettante a titolo di emolumenti per il periodo che va dallo scioglimento del Consiglio comunale sino all’esaurimento naturale del mandato di Sindaco per la consiliatura, nonché a titolo di indennità di fine mandato per il medesimo periodo di riferimento.
Inoltre, vengono ristorati i danni materiali subiti, per effetto della mancata riscossione dei compensi spettanti per l’espletamento del mandato di Sindaco, comprensivi anche dell’indennità di fine mandato, per tutto il periodo suindicato (tuttavia, stante il mancato concreto svolgimento dell’incarico, l’importo è stato abbattuto della metà).
Dall’insieme emerge l’indispensabile esigenza di costruire provvedimenti amministrativi adeguatamente motivati, con un apparato istruttorio articolato e completo, soprattutto quando la motivazione sia rinvenibile da relazioni accertative volte a dimostrare condotte potenzialmente illecite (seppure non ancora penalmente sanzionabili), non potendo presumere – dalle semplici frequentazioni o parentele – l’elemento criminoso, dovendo dimostrare (provare in atti) l’esistenza di un rapporto contrassegnata dai caratteri di sistematicità e di intensità tale da dar luogo ad un vero e proprio sodalizio
(estratto, LexItalia, 2013, n.7/8)