«Libero Pensatore» (sempre)

La questione da affrontare in questa analisi giuridica concerne la possibilità (o meno) di transare un debito tributario con l’ente locale (ad es. ICI/IMU), ovvero il potere della P.A. di ridurre l’accertamento del mancato pagamento di un tributo locale su un’area edificabile (in assenza della realizzazione dell’intervento), pena la perdita dell’entrata, specie se il bene è oggetto di procedura fallimentare.

L’ICI/IMU costituiscono, infatti, un’entrata di natura tributaria, a cui deve riconoscersi natura tributaria all’obbligazione avente ad oggetto le somme dovute in ragione del detto tributo, nonché all’obbligazione relativa agli interessi maturati sulle medesime somme, attesa la natura accessoria di detta obbligazione rispetto a quella principale[1].

Va premesso, che un basso grado di efficienza dell’attività di contrasto all’evasione tributaria nelle fasi di accertamento e di riscossione è sintomo di una criticità che può compromettere gli equilibri di bilancio, e, allo stesso tempo, dimostra l’incapacità di assolvere un compito fondamentale che appartiene alla P.A.: la riscossione delle proprie entrate.

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L’indisponibilità (alla transazione) dell’obbligazione tributaria salvo il ricorso agli strumenti deflattivi previsti dalla legge

L’indisponibilità (alla transazione) dell’obbligazione tributaria salvo il ricorso agli strumenti deflattivi previsti dalla legge

La questione da affrontare in questa analisi giuridica concerne la possibilità (o meno) di transare un debito tributario con l’ente locale (ad es. ICI/IMU), ovvero il potere della P.A. di ridurre l’accertamento del mancato pagamento di un tributo locale su un’area edificabile (in assenza della realizzazione dell’intervento), pena la perdita dell’entrata, specie se il bene è oggetto di procedura fallimentare.

L’ICI/IMU costituiscono, infatti, un’entrata di natura tributaria, a cui deve riconoscersi natura tributaria all’obbligazione avente ad oggetto le somme dovute in ragione del detto tributo, nonché all’obbligazione relativa agli interessi maturati sulle medesime somme, attesa la natura accessoria di detta obbligazione rispetto a quella principale[1].

Va premesso, che un basso grado di efficienza dell’attività di contrasto all’evasione tributaria nelle fasi di accertamento e di riscossione è sintomo di una criticità che può compromettere gli equilibri di bilancio, e, allo stesso tempo, dimostra l’incapacità di assolvere un compito fondamentale che appartiene alla P.A.: la riscossione delle proprie entrate.

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Gli incentivi per le funzioni tecniche sono catalogati nell’art. 113 del d.lgs. n. 50/2016 e attengono a quelle attività aggiuntive che presentano una “particolare complessità” tale da richiedere un quid ulteriore, tipica espressione di quelle prestazioni professionali e specialistiche che esigono un grado di capacità che va oltre all’ordinaria, valutazione rimessa all’Amministrazione e specificatamente al Responsabile del procedimento, individuato nel titolare della competenza: il dirigente, ovvero colui che assume le funzioni dirigenziali negli enti privi della dirigenza o responsabile del servizio[1].

In questo senso, la disciplina si presenta derogatoria rispetto al principio di onnicomprensività della retribuzione, non costituiscono spesa per il personale ai fini della determinazione della capacità assunzionale, secondo la nuova normativa dell’art. 33, comma 2 del d.l. n. 34/2019 (e ss.mm.ii)[2], da considerarsi di stretta interpretazione non suscettibile di estensione analogica, dovendo rientrare in una previsione regolamentare e in presenza di una procedura di gara.

Allo stesso tempo, l’adozione del regolamento risulta una condizione essenziale ai fini del legittimo riparto tra gli aventi diritto delle risorse accantonate sul fondo[3], giacché – nella sistematicità della legge – il regolamento è la fonte destinata ad individuare le modalità ed i criteri della ripartizione, oltre alla percentuale, che comunque non può superare il tetto massimo fissato dalla legge[4].

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Gli incentivi per funzioni tecniche tra affidamenti diretti informali e comparazioni formali, cercando una nozione compatibile di “gara”

Gli incentivi per funzioni tecniche tra affidamenti diretti informali e comparazioni formali, cercando una nozione compatibile di “gara”

Gli incentivi per le funzioni tecniche sono catalogati nell’art. 113 del d.lgs. n. 50/2016 e attengono a quelle attività aggiuntive che presentano una “particolare complessità” tale da richiedere un quid ulteriore, tipica espressione di quelle prestazioni professionali e specialistiche che esigono un grado di capacità che va oltre all’ordinaria, valutazione rimessa all’Amministrazione e specificatamente al Responsabile del procedimento, individuato nel titolare della competenza: il dirigente, ovvero colui che assume le funzioni dirigenziali negli enti privi della dirigenza o responsabile del servizio[1].

In questo senso, la disciplina si presenta derogatoria rispetto al principio di onnicomprensività della retribuzione, non costituiscono spesa per il personale ai fini della determinazione della capacità assunzionale, secondo la nuova normativa dell’art. 33, comma 2 del d.l. n. 34/2019 (e ss.mm.ii)[2], da considerarsi di stretta interpretazione non suscettibile di estensione analogica, dovendo rientrare in una previsione regolamentare e in presenza di una procedura di gara.

Allo stesso tempo, l’adozione del regolamento risulta una condizione essenziale ai fini del legittimo riparto tra gli aventi diritto delle risorse accantonate sul fondo[3], giacché – nella sistematicità della legge – il regolamento è la fonte destinata ad individuare le modalità ed i criteri della ripartizione, oltre alla percentuale, che comunque non può superare il tetto massimo fissato dalla legge[4].

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La sez. III del TAR Puglia, Lecce, con la sentenza 22 aprile 2021 n. 569, definisce la natura di strada pubblica rispetto a quella privata, ovvero ne delinea i contorni dell’uso pubblico e i suoi indici, legittimando il potere di ordinanza sulla viabilità, un dominio del “rapporto amministrativo” (quello tra privato e P.A.) configurato in termini di “supremazia”, non fondato su relazioni paritarie: l’uso collettivo priva il privato della piena titolarità del diritto di proprietà.

A tal proposito, non appare superfluo rilevare che la categoria dei diritti demaniali di uso pubblico il più importante e di maggiore applicazione pratica è senza dubbio quello dell’uso pubblico di passaggio, che, a sua volta, si distingue in due sottoclassi:

  • quella del passaggio sulle vie vicinali di uso pubblico – e cioè sulle strade private soggette a pubblico transito;
  • quella del passaggio su spiazzi, vicoli, corti di proprietà privata esistenti nelle città e negli agglomerati urbani.

Giova, altresì, rammentare, per ciò che interessa, che l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico genera una sola presunzione di pubblicità dell’uso (che si esplicita di fatto nel pubblico transito jure servitutis publicae da parte di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza a una comunità territoriale)[1], superabile con la prova contraria, da parte del privato (in base al generale principio scolpito dall’art. 2697 del codice civile, l’onere della prova del diritto dominicale incombe in capo a chi ne afferma la sussistenza):

  • della natura della strada;
  • dell’inesistenza di un diritto collettivo di godimento (che non preclude la proprietà privata), mediante un’azione negatoria di servitù[2].

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La natura e i caratteri della strada privata ad uso pubblico

La natura e i caratteri della strada privata ad uso pubblico

La sez. III del TAR Puglia, Lecce, con la sentenza 22 aprile 2021 n. 569, definisce la natura di strada pubblica rispetto a quella privata, ovvero ne delinea i contorni dell’uso pubblico e i suoi indici, legittimando il potere di ordinanza sulla viabilità, un dominio del “rapporto amministrativo” (quello tra privato e P.A.) configurato in termini di “supremazia”, non fondato su relazioni paritarie: l’uso collettivo priva il privato della piena titolarità del diritto di proprietà.

A tal proposito, non appare superfluo rilevare che la categoria dei diritti demaniali di uso pubblico il più importante e di maggiore applicazione pratica è senza dubbio quello dell’uso pubblico di passaggio, che, a sua volta, si distingue in due sottoclassi:

  • quella del passaggio sulle vie vicinali di uso pubblico – e cioè sulle strade private soggette a pubblico transito;
  • quella del passaggio su spiazzi, vicoli, corti di proprietà privata esistenti nelle città e negli agglomerati urbani.

Giova, altresì, rammentare, per ciò che interessa, che l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico genera una sola presunzione di pubblicità dell’uso (che si esplicita di fatto nel pubblico transito jure servitutis publicae da parte di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza a una comunità territoriale)[1], superabile con la prova contraria, da parte del privato (in base al generale principio scolpito dall’art. 2697 del codice civile, l’onere della prova del diritto dominicale incombe in capo a chi ne afferma la sussistenza):

  • della natura della strada;
  • dell’inesistenza di un diritto collettivo di godimento (che non preclude la proprietà privata), mediante un’azione negatoria di servitù[2].

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La sez. II bis Roma del T.A.R. Lazio, con la sentenza 11 febbraio 2021, n. 1737 (estensore Gatto Costantino) interviene per chiarire gli effetti sul contratto a seguito di un pronunciamento di annullamento delle operazioni di gara da parte del giudice amministrativo.

Si affrontano gli effetti della caducazione dell’aggiudicazione rispetto all’efficacia del contratto o al suo subentro nelle pattuizioni da parte del ricorrente, in presenza di un’ipotesi di annullamento dei provvedimenti impugnati, dove la stazione appaltante sarebbe obbligata a rinnovare la gara (o parte) afferente all’aggiudicazione: è necessario valutare gli interessi coinvolti, sia con riferimento alle parti che all’oggetto negoziale.

La norma dell’art. 112 del d.lgs. n. 104/2010, stabilisce che «Fuori dei casi indicati dall’articolo 121, comma 1, e dall’articolo 123, comma 3, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta».

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La decorrenza ex post dell’inefficacia del contratto a seguito di ripetizione del procedimento di gara

La decorrenza ex post dell’inefficacia del contratto a seguito di ripetizione del procedimento di gara

La sez. II bis Roma del T.A.R. Lazio, con la sentenza 11 febbraio 2021, n. 1737 (estensore Gatto Costantino) interviene per chiarire gli effetti sul contratto a seguito di un pronunciamento di annullamento delle operazioni di gara da parte del giudice amministrativo.

Si affrontano gli effetti della caducazione dell’aggiudicazione rispetto all’efficacia del contratto o al suo subentro nelle pattuizioni da parte del ricorrente, in presenza di un’ipotesi di annullamento dei provvedimenti impugnati, dove la stazione appaltante sarebbe obbligata a rinnovare la gara (o parte) afferente all’aggiudicazione: è necessario valutare gli interessi coinvolti, sia con riferimento alle parti che all’oggetto negoziale.

La norma dell’art. 112 del d.lgs. n. 104/2010, stabilisce che «Fuori dei casi indicati dall’articolo 121, comma 1, e dall’articolo 123, comma 3, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta».

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Nel nuovo DPCM del 14 gennaio 2021 contenente le misure per il contrasto e il contenimento dell’emergenza pandemica (ultimo vagito di un Governo, definito da alcuni, del “porta voce”) al comma 10, lettera z), dell’art. 1, Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale, leggiamo – proprio allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 (per i banchi scolastici l’“impresa” ha mostrato tutti gli effetti positivi per la produzione post industriale interna e gli investimenti sulla scuola dell’avvenire)[1] sull’intero territorio nazionale (senza distinzione di colori o appartenenze) – dopo aver affermato che sono sospese «lo svolgimento delle prove preselettive e scritte delle procedure concorsuali pubbliche e private» si ammettono (una vera concessione di libertà e umanità) delle deroghe: sono esclusi (dunque, è possibile):

  1. «i casi in cui la valutazione dei candidati sia effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica»;
  2. «i concorsi per il personale del servizio sanitario nazionale, ivi compresi, ove richiesti, gli esami di Stato e di abilitazione all’esercizio della professione di medico chirurgo e di quelli per il personale della protezione civile».

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Riflessioni sul fenomeno COVID-19 e l’impatto nei concorsi pubblici, all’ombra dei DPCM e alla luce della Curia

Riflessioni sul fenomeno COVID-19 e l’impatto nei concorsi pubblici, all’ombra dei DPCM e alla luce della Curia

Nel nuovo DPCM del 14 gennaio 2021 contenente le misure per il contrasto e il contenimento dell’emergenza pandemica (ultimo vagito di un Governo, definito da alcuni, del “porta voce”) al comma 10, lettera z), dell’art. 1, Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale, leggiamo – proprio allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 (per i banchi scolastici l’“impresa” ha mostrato tutti gli effetti positivi per la produzione post industriale interna e gli investimenti sulla scuola dell’avvenire)[1] sull’intero territorio nazionale (senza distinzione di colori o appartenenze) – dopo aver affermato che sono sospese «lo svolgimento delle prove preselettive e scritte delle procedure concorsuali pubbliche e private» si ammettono (una vera concessione di libertà e umanità) delle deroghe: sono esclusi (dunque, è possibile):

  1. «i casi in cui la valutazione dei candidati sia effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica»;
  2. «i concorsi per il personale del servizio sanitario nazionale, ivi compresi, ove richiesti, gli esami di Stato e di abilitazione all’esercizio della professione di medico chirurgo e di quelli per il personale della protezione civile».

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La sez. I Salerno, del T.A.R. Campania con la sentenza 1° febbraio 2021, n. 290 (estensore Sorrentino), conferma un orientamento giurisprudenziale secondo il quale i commissari di gara devono essere esperti dello “specifico settore”, inteso nel senso che la competenza ed esperienza richiesta va riferita ad aree tematiche omogenee e non anche alle singole e specifiche attività oggetto dell’appalto.

La società ricorrente impugnava l’aggiudicazione per «i lavori di completamento e rifunzionalizzazione delle reti fognarie di collettamento su strada», rilevando, tra i diversi motivi del gravame, il mancato apprezzamento di alcune parti dell’offerta, con una condotta dei commissari di gara connotata da irragionevolezza e inficiata da errori di valutazione abnormi, rispetto alle offerte precedenti in graduatoria, eccependo che «i due componenti della commissione in possesso del titolo di geometra (il terzo è in possesso del titolo di architetto) siano da ritenersi incompetenti per l’esame delle offerte progettuali riguardanti le opere stradali e di carattere idraulico e igienico-sanitario», palesandosi in concreto la violazione dell’art. 77 del d.lgs. n. 50/2016 laddove prescrive che la commissione giudicatrice sia «composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l’oggetto del contratto».

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Prova di resistenza e requisiti dei commissari di gara

Prova di resistenza e requisiti dei commissari di gara

La sez. I Salerno, del T.A.R. Campania con la sentenza 1° febbraio 2021, n. 290 (estensore Sorrentino), conferma un orientamento giurisprudenziale secondo il quale i commissari di gara devono essere esperti dello “specifico settore”, inteso nel senso che la competenza ed esperienza richiesta va riferita ad aree tematiche omogenee e non anche alle singole e specifiche attività oggetto dell’appalto.

La società ricorrente impugnava l’aggiudicazione per «i lavori di completamento e rifunzionalizzazione delle reti fognarie di collettamento su strada», rilevando, tra i diversi motivi del gravame, il mancato apprezzamento di alcune parti dell’offerta, con una condotta dei commissari di gara connotata da irragionevolezza e inficiata da errori di valutazione abnormi, rispetto alle offerte precedenti in graduatoria, eccependo che «i due componenti della commissione in possesso del titolo di geometra (il terzo è in possesso del titolo di architetto) siano da ritenersi incompetenti per l’esame delle offerte progettuali riguardanti le opere stradali e di carattere idraulico e igienico-sanitario», palesandosi in concreto la violazione dell’art. 77 del d.lgs. n. 50/2016 laddove prescrive che la commissione giudicatrice sia «composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l’oggetto del contratto».

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