«Libero Pensatore» (sempre)

La seconda sez. del T.A.R. Toscana, con la sentenza n. 1295 del 25 settembre 2019, interviene per limitare il diritto di accesso emulativo sull’attività della P.A., non funzionale o strumentale all’esercizio di una propria libertà o incisione della sfera giuridica: un controllo avulso dai principi del FOIA, pur ammissibile se circostanziato e anche in pendenza di procedimenti giudiziari.

La questione si presenta a fronte del silenzio – rigetto formatosi, ex art. 25, comma 4, della Legge n. 241/1990, sull’istanza relativa ad ordinanze di demolizione e successivi provvedimenti adottati dall’Amministrazione nei confronti di terzi soggetti, con l’intento di verificare l’attività posta in essere dagli organi tecnici in relazione ai provvedimenti repressivi in materia edilizia: una evidente cesura sul facere.

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Diritto di accesso “emulativo” in pendenza di procedimenti giudiziari

Diritto di accesso “emulativo” in pendenza di procedimenti giudiziari

La seconda sez. del T.A.R. Toscana, con la sentenza n. 1295 del 25 settembre 2019, interviene per limitare il diritto di accesso emulativo sull’attività della P.A., non funzionale o strumentale all’esercizio di una propria libertà o incisione della sfera giuridica: un controllo avulso dai principi del FOIA, pur ammissibile se circostanziato e anche in pendenza di procedimenti giudiziari.

La questione si presenta a fronte del silenzio – rigetto formatosi, ex art. 25, comma 4, della Legge n. 241/1990, sull’istanza relativa ad ordinanze di demolizione e successivi provvedimenti adottati dall’Amministrazione nei confronti di terzi soggetti, con l’intento di verificare l’attività posta in essere dagli organi tecnici in relazione ai provvedimenti repressivi in materia edilizia: una evidente cesura sul facere.

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La sez. III Civ. della Cassazione, con la sentenza 28 agosto 2019 n. 21757, interviene per definire la responsabilità dei danni provocati dalla fauna selvatica che ricade in capo all’Autorità Amministrativa a cui è affidata la vigilanza.

Va premesso, in linea generale, che qualora si intenda gravare di responsabilità un soggetto (deputato alla cura e vigilanza) per aver omesso di adottare misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrecasse danni a terzi, è indispensabile allegare precisi profili di colpa, dimostrando la responsabilità afferente al soggetto in termini di custodia (rectius vigilanza o controllo).

Tale allegazione (le prove), in sede di giudizio, sono necessarie, ai sensi dell’art. 2043 c.c., essendo il danneggiato dalla fauna selvatica gravato dall’onere di provare non solo il danno ma anche il concreto comportamento colposo ascrivibile al soggetto tenuto, ex lege (al controllo e) alla vigilanza della fauna[1].

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Responsabilità in capo alla Provincia dei danni causati dalla fauna selvatica (cinghiali)

Responsabilità in capo alla Provincia dei danni causati dalla fauna selvatica (cinghiali)

La sez. III Civ. della Cassazione, con la sentenza 28 agosto 2019 n. 21757, interviene per definire la responsabilità dei danni provocati dalla fauna selvatica che ricade in capo all’Autorità Amministrativa a cui è affidata la vigilanza.

Va premesso, in linea generale, che qualora si intenda gravare di responsabilità un soggetto (deputato alla cura e vigilanza) per aver omesso di adottare misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrecasse danni a terzi, è indispensabile allegare precisi profili di colpa, dimostrando la responsabilità afferente al soggetto in termini di custodia (rectius vigilanza o controllo).

Tale allegazione (le prove), in sede di giudizio, sono necessarie, ai sensi dell’art. 2043 c.c., essendo il danneggiato dalla fauna selvatica gravato dall’onere di provare non solo il danno ma anche il concreto comportamento colposo ascrivibile al soggetto tenuto, ex lege (al controllo e) alla vigilanza della fauna[1].

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La sesta sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 agosto 2019 n. 5934 (estensore Caputo) definisce i poteri di tutela esecutoria dell’Amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sine titulo quando agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l’esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento, dovendo ricorrere alle comuni azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica.

È noto che sono soggetti al regime del demanio pubblico i beni indicati dagli artt. 823 e 824 c.c., e, in tale materia, non è possibile ipotizzare la modifica della titolarità del bene per effetto di comportamenti occupativi o di impossessamento da parte dei privati, stante il divieto di usucapione del demanio di cui all’art. 823 c.c.[1].

Il potere di autotutela demaniale, ai sensi dell’art. 378 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F), legittima la P.A. ad esercitare la tutela possessoria in presenza dell’apposizione di limiti od occupazioni da parte del privato: il potere esercitato attraverso l’ordinanza di sgombero non è riducibile all’azione possessoria privatistica (ex artt. 1168 e ss. cod. civ.) ma è correlato alla finalità di ripristinare la disponibilità del bene pubblico in favore della collettività, a prescindere dalle modalità concrete nelle quali si è giunti all’occupazione abusiva in via di fatto e quali ne siano le cause[2].

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Niente tutela esecutoria (ordinanza di sgombero) sul patrimonio disponibile

Niente tutela esecutoria (ordinanza di sgombero) sul patrimonio disponibile

La sesta sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 agosto 2019 n. 5934 (estensore Caputo) definisce i poteri di tutela esecutoria dell’Amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sine titulo quando agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l’esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento, dovendo ricorrere alle comuni azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica.

È noto che sono soggetti al regime del demanio pubblico i beni indicati dagli artt. 823 e 824 c.c., e, in tale materia, non è possibile ipotizzare la modifica della titolarità del bene per effetto di comportamenti occupativi o di impossessamento da parte dei privati, stante il divieto di usucapione del demanio di cui all’art. 823 c.c.[1].

Il potere di autotutela demaniale, ai sensi dell’art. 378 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F), legittima la P.A. ad esercitare la tutela possessoria in presenza dell’apposizione di limiti od occupazioni da parte del privato: il potere esercitato attraverso l’ordinanza di sgombero non è riducibile all’azione possessoria privatistica (ex artt. 1168 e ss. cod. civ.) ma è correlato alla finalità di ripristinare la disponibilità del bene pubblico in favore della collettività, a prescindere dalle modalità concrete nelle quali si è giunti all’occupazione abusiva in via di fatto e quali ne siano le cause[2].

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Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza 22 agosto 2019 n. 5780, delinea le conseguenze della mancata (rifiuto) stipula del contratto, pur in presenza di una consegna anticipata del bene oggetto della concessione.

La questione nella sua essenzialità, vede il rifiuto di stipulare un contratto di concessione di un impianto sportivo aggiudicato a seguito di gara e consegnato nelle more del perfezionamento degli atti; il concessionario al momento dell’invito, e a seguito di ripetute diffide, mostrava la volontà di evitare la sottoscrizione del contratto, sollevando una serie di contestazioni non rilevate sino a quel momento[1].

Giova rammentare che, già nel vigore della legge sulla contabilità di Stato, si è consolidato nella giurisprudenza un principio generale, per il quale – quando l’aggiudicatario di una gara pubblica “senza giustificazione” non stipula il contratto – siamo di fronte alla presenza di un danno risarcibile, che può andare oltre all’eventuale cauzione versata[2].

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Forma scritta, rifiuto alla stipula del contratto concessorio e consegna anticipata di impianti sportivi

Forma scritta, rifiuto alla stipula del contratto concessorio e consegna anticipata di impianti sportivi

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza 22 agosto 2019 n. 5780, delinea le conseguenze della mancata (rifiuto) stipula del contratto, pur in presenza di una consegna anticipata del bene oggetto della concessione.

La questione nella sua essenzialità, vede il rifiuto di stipulare un contratto di concessione di un impianto sportivo aggiudicato a seguito di gara e consegnato nelle more del perfezionamento degli atti; il concessionario al momento dell’invito, e a seguito di ripetute diffide, mostrava la volontà di evitare la sottoscrizione del contratto, sollevando una serie di contestazioni non rilevate sino a quel momento[1].

Giova rammentare che, già nel vigore della legge sulla contabilità di Stato, si è consolidato nella giurisprudenza un principio generale, per il quale – quando l’aggiudicatario di una gara pubblica “senza giustificazione” non stipula il contratto – siamo di fronte alla presenza di un danno risarcibile, che può andare oltre all’eventuale cauzione versata[2].

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La prima sez. Catanzaro del T.A.R. Calabria, con la sentenza 16 agosto 2019, n. 1533, in relazione all’annullamento dell’aggiudicazione di un appalto del servizio di raccolta e di trasporto rifiuti, definisce il risarcimento dei danni all’operatore economico estromesso.

In via generale, il giudice dovrà tener conto di tutte le circostanze del caso concreto e liquidare sia il danno emergente che il lucro cessante (quali le spese sostenute per partecipare alla gara, il mancato guadagno per non aver potuto svolgere l’attività ed il mancato incremento del curriculum aziendale)[1]: la domanda sul quantum della pretesa risarcitoria dovrà essere commisurata al danno da mancata aggiudicazione del servizio, la quale si pone in rapporto di diretta causalità con l’illegittimo annullamento dell’aggiudicazione[2].

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Mancata aggiudicazione: prova rigorosa del danno

Mancata aggiudicazione: prova rigorosa del danno

La prima sez. Catanzaro del T.A.R. Calabria, con la sentenza 16 agosto 2019, n. 1533, in relazione all’annullamento dell’aggiudicazione di un appalto del servizio di raccolta e di trasporto rifiuti, definisce il risarcimento dei danni all’operatore economico estromesso.

In via generale, il giudice dovrà tener conto di tutte le circostanze del caso concreto e liquidare sia il danno emergente che il lucro cessante (quali le spese sostenute per partecipare alla gara, il mancato guadagno per non aver potuto svolgere l’attività ed il mancato incremento del curriculum aziendale)[1]: la domanda sul quantum della pretesa risarcitoria dovrà essere commisurata al danno da mancata aggiudicazione del servizio, la quale si pone in rapporto di diretta causalità con l’illegittimo annullamento dell’aggiudicazione[2].

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La sez. seconda Cagliari del T.A.R. Sardegna, con la sentenza 17 luglio 2019, n. 654, interviene nel definire i contorni dell’azione amministrativa (il c.d. uso della discrezionalità) con riferimento all’espletamento di una procedura concorsuale per l’assunzione di personale dipendente, e dell’utilizzo della relativa graduatoria.

Va rammentato che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, è devoluta al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001 (c.d. TUPI), la controversia relativa al c.d. scorrimento delle graduatorie dei concorsi, quando la pretesa al riconoscimento del diritto all’assunzione sia consequenziale alla negazione degli effetti di un provvedimento amministrativo[1], e allorquando la controversia abbia ad oggetto il controllo giudiziale sulla legittimità della scelta discrezionale operata dell’Amministrazione, la situazione giuridica dedotta in giudizio appartiene alla categoria degli interessi legittimi, la cui tutela è demandata al giudice amministrativo (come nel caso di specie)[2].

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L’incerto (non) scorrimento di una graduatoria concorsuale valida

L’incerto (non) scorrimento di una graduatoria concorsuale valida

La sez. seconda Cagliari del T.A.R. Sardegna, con la sentenza 17 luglio 2019, n. 654, interviene nel definire i contorni dell’azione amministrativa (il c.d. uso della discrezionalità) con riferimento all’espletamento di una procedura concorsuale per l’assunzione di personale dipendente, e dell’utilizzo della relativa graduatoria.

Va rammentato che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, è devoluta al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001 (c.d. TUPI), la controversia relativa al c.d. scorrimento delle graduatorie dei concorsi, quando la pretesa al riconoscimento del diritto all’assunzione sia consequenziale alla negazione degli effetti di un provvedimento amministrativo[1], e allorquando la controversia abbia ad oggetto il controllo giudiziale sulla legittimità della scelta discrezionale operata dell’Amministrazione, la situazione giuridica dedotta in giudizio appartiene alla categoria degli interessi legittimi, la cui tutela è demandata al giudice amministrativo (come nel caso di specie)[2].

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