«Libero Pensatore» (sempre)
  1. Massima. 2. Peculato e condotta. 3. Misura di prevenzione della corruzione. 4. I poteri del RPCT. 5. Il RPCT e l’UPD. 6. Le FAQ ANAC. 7. Considerazioni ex ante

 

  1. Massima

La sez. Lav. della Corte di Cassazione, con la sentenza del 1° giugno 2021, n. 15239, conferma la legittimità dell’azione del Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC) in materia di violazione delle misure di sicurezza e del contestuale presidio dell’azione disciplinare: piena compatibilità nella composizione dell’organo competente in materia di sanzioni disciplinari del Presidente (Segretario comunale) che rivestiva anche il ruolo di Responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza (RPCT).

  1. Peculato e condotta

La questione è stata affrontata a fronte del licenziamento di un dipendente pubblico al quale veniva addebitato il mancato riversamento, nella casse del Comune, dei diritti di segreteria relativi alle emissioni delle carte d’identità; addebito (per il delitto, ex 314, Peculato, cod. pen., «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria»)[1] emerso da un raffronto tra il registro dei diritti e l’elenco delle carte di identità effettivamente emesse e dichiarate in numero inferiore a quello di effettiva emissione.

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Il Responsabile della prevenzione della corruzione (Segretario comunale) e l’azione disciplinare

Il Responsabile della prevenzione della corruzione (Segretario comunale) e l’azione disciplinare
  1. Massima. 2. Peculato e condotta. 3. Misura di prevenzione della corruzione. 4. I poteri del RPCT. 5. Il RPCT e l’UPD. 6. Le FAQ ANAC. 7. Considerazioni ex ante

 

  1. Massima

La sez. Lav. della Corte di Cassazione, con la sentenza del 1° giugno 2021, n. 15239, conferma la legittimità dell’azione del Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC) in materia di violazione delle misure di sicurezza e del contestuale presidio dell’azione disciplinare: piena compatibilità nella composizione dell’organo competente in materia di sanzioni disciplinari del Presidente (Segretario comunale) che rivestiva anche il ruolo di Responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza (RPCT).

  1. Peculato e condotta

La questione è stata affrontata a fronte del licenziamento di un dipendente pubblico al quale veniva addebitato il mancato riversamento, nella casse del Comune, dei diritti di segreteria relativi alle emissioni delle carte d’identità; addebito (per il delitto, ex 314, Peculato, cod. pen., «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria»)[1] emerso da un raffronto tra il registro dei diritti e l’elenco delle carte di identità effettivamente emesse e dichiarate in numero inferiore a quello di effettiva emissione.

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La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 aprile 2020 n. 2450 (estensore Grasso) affronta un tema importante e basilare per l’attività istruttoria finalizzata all’adozione dei provvedimenti degli organi elettivi: in modo specifico il parere, di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 267/2000.

L’art. 49, «Pareri dei responsabili dei servizi», del TUEL impone al comma primo che «su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione» (ne rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi)[1].

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I pareri negli atti deliberativi rilasciati in conflitto di interessi

I pareri negli atti deliberativi rilasciati in conflitto di interessi

La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 aprile 2020 n. 2450 (estensore Grasso) affronta un tema importante e basilare per l’attività istruttoria finalizzata all’adozione dei provvedimenti degli organi elettivi: in modo specifico il parere, di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 267/2000.

L’art. 49, «Pareri dei responsabili dei servizi», del TUEL impone al comma primo che «su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione» (ne rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi)[1].

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La seconda sez. Salerno del T.A.R. Campania, con la sentenza n. 406 del 18 marzo 2019, interviene nel definire la procedura per individuare l’esperto in “Legislazione Beni Culturali”, a seguito di avviso pubblico su presentazione di appositi titoli professionali ed anche preferenziali, quali quelli riferiti alle materie dei beni culturali, ambientali e paesaggistici o con esperienza (per non meno di tre anni e nelle stesse materie) in ambito della Pubblica Amministrazione.

La nomina, a seguito di accesso agli atti, sarebbe ritenuta illegittima dal ricorrente per i seguenti motivi:

  • veniva effettuata senza la benché minima comparazione tra le varie candidature pervenute (nel numero di cinque);
  • mancava una motivazione sulle ragioni della scelta, non potendo ritenere ammissibile la sua elisione anche se riferita a nomine di componenti onorari;
  • l’avviso pubblico finalizzato al solo scopo di «manifestare la disponibilità all’assunzione della nomina, il possesso dei requisiti, non essendo stata posta in essere alcuna procedura concorsuale, para-concorsuale, gara d’appalto o di graduatoria, attribuzione di punteggi o altre classificazioni di merito», non poteva assorbire – in termini di discrezionalità assoluta – l’onere, gravante sulla P.A., di dare contezza della scelta, in concreto effettuata, ove si considera che la disciplina interna richiamava l’obbligo di una “procedura ad evidenza pubblica”;
  • il professionista individuato non avrebbe avuto i titoli richiesti, né l’esperienza maturata nelle materie della selezione, ergo «un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia» (ex 148, comma 2 del D.Lgs. n. 42/2004, ove si stabilisce che «Le commissioni sono composte da soggetti con particolare, pluriennale e qualificata esperienza nella tutela del paesaggio»).

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Nomina dell’esperto nella Commissione locale per il Paesaggio: motivazione e comparazione dei candidati

Nomina dell’esperto nella Commissione locale per il Paesaggio: motivazione e comparazione dei candidati

La seconda sez. Salerno del T.A.R. Campania, con la sentenza n. 406 del 18 marzo 2019, interviene nel definire la procedura per individuare l’esperto in “Legislazione Beni Culturali”, a seguito di avviso pubblico su presentazione di appositi titoli professionali ed anche preferenziali, quali quelli riferiti alle materie dei beni culturali, ambientali e paesaggistici o con esperienza (per non meno di tre anni e nelle stesse materie) in ambito della Pubblica Amministrazione.

La nomina, a seguito di accesso agli atti, sarebbe ritenuta illegittima dal ricorrente per i seguenti motivi:

  • veniva effettuata senza la benché minima comparazione tra le varie candidature pervenute (nel numero di cinque);
  • mancava una motivazione sulle ragioni della scelta, non potendo ritenere ammissibile la sua elisione anche se riferita a nomine di componenti onorari;
  • l’avviso pubblico finalizzato al solo scopo di «manifestare la disponibilità all’assunzione della nomina, il possesso dei requisiti, non essendo stata posta in essere alcuna procedura concorsuale, para-concorsuale, gara d’appalto o di graduatoria, attribuzione di punteggi o altre classificazioni di merito», non poteva assorbire – in termini di discrezionalità assoluta – l’onere, gravante sulla P.A., di dare contezza della scelta, in concreto effettuata, ove si considera che la disciplina interna richiamava l’obbligo di una “procedura ad evidenza pubblica”;
  • il professionista individuato non avrebbe avuto i titoli richiesti, né l’esperienza maturata nelle materie della selezione, ergo «un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia» (ex 148, comma 2 del D.Lgs. n. 42/2004, ove si stabilisce che «Le commissioni sono composte da soggetti con particolare, pluriennale e qualificata esperienza nella tutela del paesaggio»).

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L’art. 42 del Codice dei contratti (ex D.Lgs. n. 50/2016) afferma che si ha conflitto d’interessi quando un soggetto interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, avendo, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza, a presidio anche dei valori di trasparenza (alias concorrenza, come voluto in ambito comunitario).

Nella condotta da mantenere si richiama espressamente l’obbligo di astensione (da parte di tutti i soggetti coinvolti) previsto dall’articolo 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, in presenza «di interessi propri ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente», e con una disposizione di chiusura «in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza».

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Il conflitto di interessi nel Codice dei contratti

Il conflitto di interessi nel Codice dei contratti

L’art. 42 del Codice dei contratti (ex D.Lgs. n. 50/2016) afferma che si ha conflitto d’interessi quando un soggetto interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, avendo, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza, a presidio anche dei valori di trasparenza (alias concorrenza, come voluto in ambito comunitario).

Nella condotta da mantenere si richiama espressamente l’obbligo di astensione (da parte di tutti i soggetti coinvolti) previsto dall’articolo 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, in presenza «di interessi propri ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente», e con una disposizione di chiusura «in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza».

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