Il T.A.R. Sardegna (sez. I, 31 maggio 2013, n. 442) interviene per analizzare la condotta di un’Amministrazione che procede al trasferimento di un proprio dipendente senza disporre il corretto modello procedimentale partecipativo: l’avvio del procedimento e l’acquisizione di eventuali memorie dell’interessato (che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, lettere b) della Legge n.241/90).
Il trasferimento (caso di specie: per incompatibilità ambientale) ha la finalità specifica di porre riparo a situazioni di turbativa che riguardano il corretto e sereno funzionamento di un ufficio, restituendo allo stesso il prestigio e l’immagine compromessi ed evitando ulteriori conseguenze negative che possano aggravare la situazione di precarietà e di minore armonia creatasi in ragione della presenza di quel determinato soggetto in quel determinato ufficio pubblico.
È poi vero che le preminenti finalità di pubblico interesse rendono sostanzialmente irrilevanti le condizioni personali o familiari dell’interessato che devono recedere di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’Amministrazione.
Ciò posto, è da comprendere se, in tali circostanze, possa radicarsi un interesse (qualificato o generico) del destinatario inciso dal provvedimento affinché venga valutata l’intera vicenda (del trasferimento) alla luce di un proprio contributo partecipativo (l’accesso di cui agli articoli 9 e 10 della Legge n.241/90); ritenendo, pertanto, lecito (doveroso) l’avvio del procedimento prima di disporre il trasferimento per incompatibilità ambientale.
È stato affermato che il trasferimento disposto per incompatibilità ambientale, è caratterizzato da un’ampia discrezionalità, ben maggiore di quella di cui gode l’Amministrazione nei rapporti ordinari di pubblico impiego; tuttavia tale ampia discrezionalità non può non essere distolta dalla previsione dell’art.7 della Legge n.241/90, a mente della quale al soggetto nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti deve essere data comunicazione dell’avvio del procedimento, salvo che sussistano ragioni di celerità (Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2001, n.5718).
Non è poi giustificabile (rectius motivabile) l’urgenza di provvedere dall’omissione dell’avvio del procedimento, atteso che la necessità della comunicazione è stata più volte affermata dalla giurisprudenza amministrativa, anche per i trasferimenti dovuti ad incompatibilità ambientale, in applicazione del principio generale citato, trattandosi di atti affatto del tutto vincolati, quantomeno nel loro concreto contenuto dispositivo; ed è stata, altresì, ritenuta anche nel caso di appartenenti alle forme di Polizia e del Corpo degli agenti della Polizia Penitenziaria (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 13 agosto 2003, n. 7097) e, in genere, dei militari dello Stato (T.A.R. Abruzzo – Pescara, 23 gennaio 2003, n. 204; T.A.R. Toscana, sez. I, 19 gennaio 2010, n.71).
Invero, gli atti preordinati alla provvista di personale dello Stato ai massimi livelli (nella specie il provvedimento di rimozione del Comandante generale della Guardia di Finanza) sono soggetti al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, secondo le regole proprie del giudizio di legittimità, essendo tali atti di alta amministrazione e non d’indirizzo politico: l’avviso d’avvio del procedimento deve concedere al destinatario della statuizione conclusiva un lasso di tempo calibrato sulle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa; tuttavia tale lasso di tempo non deve essere simbolico o minimale per poter effettivamente partecipare e, in caso, contraddire gli assunti e i dati della P.A. procedente: una sola giornata non è un periodo di tempo sufficiente per il contraddittorio procedimentale (T.A.R. Lazio – Roma, sez.II, 15 dicembre 2007, n.13361).
Il Tribunale giudicante rinvia al precedente (T.A.R. Abruzzo – Pescara, sez. I, 19 novembre 2010, n.1237), precisando che la comunicazione di avvio del procedimento è necessaria anche per gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, non essendo ravvisabile alcun motivo specifico perché anche nei loro confronti non debba essere applicata questa norma di garanzia e di partecipazione al procedimento, neppure in considerazione della ritenuta natura di “ordine” del provvedimento che lo dispone, trattandosi pur sempre di un “atto” che attiene direttamente ed esclusivamente allo stato giuridico del dipendente o non all’espletamento di un “concreto” e “specifico” servizio attribuito alla competenza dell’Arma: di contro, neppure è stata fornita prova in giudizio che il trasferimento non poteva essere altrimenti disposto anche in considerazioni delle “prevalenti ragioni di servizio”.
L’approdo (anche in questo caso) porta a ritenere che in materia di pubblico impiego, i provvedimenti che intervengono per risolvere situazioni d’incompatibilità ambientale devono essere necessariamente motivati (ex art.3 della Legge n.241/90), indicando il nesso di correlazione tra detta situazione ed il comportamento del funzionario lesivo del prestigio dell’ufficio e tale da poter determinare il suo allontanamento dal posto, indipendentemente da ogni altra responsabilità, consentendo – in ogni caso – l’instaurazione del “giusto procedimento”: il contradditorio, ovvero il diritto di poter difendersi (l’esigenza difensiva, cfr. art.111 Cost.).
Il Collegio giudicante non ignora quella giurisprudenza che ritiene l’inapplicabilità ai trasferimenti del personale militare le garanzie procedimentali (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2010, n. 36905; 21 maggio 2010, 32207; 18 febbraio 2010, n. 944; 11 novembre 2010, n. 8018 e sez. IV, 4 luglio 2012, n.3921), ritenendo detti provvedimenti qualificabili come “ordini”, e in quanto tali sprovvisti di quelle garanzie procedimentali in ragione del particolare status di soggezione del personale militare, ma tale orientamento non può essere condivisibile (si legge) non potendo far rientrare i trasferimenti del personale militare nella categoria degli “ordini” (i trasferimenti sono ordini gerarchici, sicché l’Amministrazione non ha alcun obbligo di motivare le modalità di individuazione della sede assegnata, T.A.R. Valle D’Aosta, 17 maggio 2004, n.46).
In termini più esplicativi (cfr. T.A.R. Umbria, 1 giugno 2011, n.163), gli “ordini” sono disposizioni con lo scopo di impartire il corretto utilizzo delle risorse umane sotto il profilo operativo e logistico di singoli militari o di reparti: un impiego, caratterizzato da esigenze di immediatezza, omogeneità ed efficacia, prescindendo da ogni appesantimento di ordine procedurale, ontologicamente insito nelle garanzie in questione.
A questo punto il Giudice di prime cure si rimette al citato precedente: “Pare invece opportuno distinguere dagli ordini i provvedimenti, qual è quello qui avversato, di natura organizzativa. Tali si profilano quelli volti non tanto ad assicurare l’immediata azione militare, quanto a predisporre la base strutturale della medesima. Sembra evidente, in base alla comune esperienza, che tale predisposizione, attenga essa all’organizzazione, al reclutamento, agli approvvigionamenti ecc., richieda comunque del tempo e non presupponga l’immediatezza propria dell’impiego operativo delle unità militari. Tanto esclude, in particolare, che i provvedimenti organizzativi possano considerarsi per loro natura urgenti (quindi sottratti all’obbligo d’avviso, ex art. 7, 1° comma, cit.). Questo, naturalmente, facendo salvi specifici casi ove l’urgenza può essere esplicitata nei singoli atti, il che qui non si verifica. Per tali ragioni, non sembra logico estendere ai provvedimenti organizzativi la disciplina tipica dei provvedimenti operativi, quali appunto gli ordini, in considerazione della loro diversità concettuale e funzionale, or ora messa in luce. Questo, soprattutto in considerazione del fatto che la limitazione delle garanzie procedimentali per i militari possa giustificarsi solo in via eccezionale, alla luce dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e buon andamento dell’Amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.) nonché di democraticità dell’ordinamento delle Forze Armate ex art. 52, comma 3° Cost. (T.A.R. Toscana, 19 gennaio 2010, n. 71; T.A.R. Abruzzo – Pescara, 23 gennaio 2003 n.204). Deve poi essere messo in evidenza come l’opinione del Collegio, trovi conforto, oltre che in una parte della giurisprudenza (TT.AA.RR. Lazio – Roma, sez. I bis, 16 febbraio 2011, n.1450; id. sez. I, 13 agosto 2003, n.7097; Toscana n.71/2010 cit.; Abruzzo – Pescara, n. 204/2003 cit.) nella stessa normativa interna dell’Arma dei Carabinieri. Difatti, la circolare del Comando Generale n. 243754 del 18 marzo 1993 che disciplina i trasferimenti prevede espressamente l’avviso d’avvio del procedimento (pag. 7, 8° cpv.), menzionato anche nel modello (4° cpv.), allegato sub 1 alla circolare stessa. In tal senso si è pronunciato il T.A.R. Lazio, sez. I bis, con la menzionata Sentenza n. 1450/2011, citata dall’attenta difesa del ricorrente (memoria del 31 marzo 2011, non contestata). Per completezza, si aggiunge che se la garanzia partecipativa è necessaria per i trasferimenti in genere, lo è a maggior ragione per i trasferimenti per incompatibilità ambientale giacché postulano un approfondito esame delle condotte di tutti gli addetti alle unità operative interessate al fine d’individuare, fra l’altro, i soggetti da trasferire. È evidente che quell’esame possa essere tanto più accurato quanto più si disponga di informazioni dettagliate, acquisibili anche grazie all’apporto diretto di tutti i soggetti coinvolti, per cui, a ben vedere, la garanzia procedimentale opera anche nell’interesse dell’Amministrazione”.
Al termine, il Tribunale si allinea alla giurisprudenza consolidata (Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2013, n.78) che, in un caso specifico, ha confermato la sentenza di primo grado (T.A.R. Toscana, sez. I, 11 giugno 2009, n.1016) che aveva accolto (sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento) il ricorso di un appuntato scelto dei Carabinieri trasferito d’autorità (ma il trasferimento era per incompatibilità ambientale): la partecipazione al procedimento amministrativo è d’obbligo nei casi di trasferimento per incompatibilità ambientale in quanto, se le valutazioni dei fatti che hanno dato origine al trasferimento risultano (ovviamente) rilevanti per la valutazione da compiersi in sede giurisdizionale per escludere la sussistenza dei presupposti dello stesso, costituirebbe una contraddizione in termini sostenere che le garanzie partecipative sarebbero inutili nella fase procedimentale.
La motivazione è indispensabile per garantire il percorso giuridico e fattuale posto alla base della decisione, e allo stesso tempo per garantire la verifica (in sede giudiziale) del corretto utilizzo della discrezionalità amministrativa; talché si perverrebbe alla incongrua conclusione secondo cui le ragioni che il militare non ha potuto far valere nel momento procedimentale (che non necessariamente devono attenere ad una propria mancanza di responsabilità) devono essere fatte valere solo davanti al Giudice.
A conclusione della prospettazione, il Collegio censura la condotta mantenuta (mancata comunicazione di avvio del procedimento) non condividendo l’assunto secondo cui “le circostanze oggettive, pur riferibili al funzionario interessato, prescindono da ipotesi di responsabilità delle quali il medesimo debba essere ammesso a discolparsi, o che possa contribuire a rimuovere con la partecipazione al procedimento” (Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 2012, n. 3921).
(Estratto, Obbligo di comunicazione di avvio del procedimento per disporre il trasferimento per incompatibilità ambientale, segretarientilocali.it, n.43, 3 giugno 2013)