La trasparenza deve trovare un proprio riscontro istruttorio nel processo decisionale (la motivazione), e, allo stesso tempo, la trasparenza viene assolta con la pubblicazione/diffusione dei dati, informazione e documenti e la partecipazione al procedimento (accesso partecipativo e documentale), secondo il modello FOIA, la legge del procedimento amministrativo e del diritto di accesso.
Nel video un primo intervento sulla trasparenza
La motivazione come presidio di legalità
La motivazione, secondo il dettato dell’art. 3, seconda periodo del comma 1, della legge n. 241/1990, «deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria», valorizzando l’esercizio del potere in adesione all’attività svolta (in chiave partecipativa) per giungere ad una determinazione in grado di incidere la sfera giuridica del destinatario: un principio di legalità sostanziale[1].
La decisione deve rendere conto sia della legittimazione del potere che della situazione concreta in cui viene ad essere esercitato, con la dovuta esternazione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione adottata, il tutto per consentire al destinatario di comprendere le ragioni, e, conseguentemente, di utilmente accedere alla tutela giurisdizionale, in conformità ai principi di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione[2].
La sez. III, del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 settembre 2021, n. 6320 esprime appieno tale orientamento, imponendo alla P.A. di onorare l’obbligo di motivazione in sede di determinazione dei punteggi per l’individuazione di soggetti da inserire su una graduatoria in relazione alle progettualità presentate: in sede di controdeduzione alle richieste di chiarimenti (preavviso di rigetto) la ditta interessata non è stata soddisfatta dall’esclusione, invocando un difetto di motivazione e la violazione delle garanzie partecipative (deficit partecipativo).
La mancanza di un’istruttoria adeguata (reale) comporta una sofferenza della motivazione che si presenta (nel caso di specie) alquanto sintetica, essendo stato omesso nel contestato diniego ogni pertinente richiamo alle controdeduzioni della parte privata, in cui si sarebbero potuti facilmente ricercare gli elementi giustificativi da porre alla base dell’esclusione.
Si giunge alla massima giurisprudenziale che postula il dovere di motivare i provvedimenti amministrativi, salve esplicite eccezioni, quale espressione dei principi di pubblicità e trasparenza che, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 241/90, sovraintendono all’intero plesso delle attività amministrative, in quanto diretti ad attuare sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (ex art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti della stessa Amministrazione.
(ESTRATTO, Atti di alta amministrazione: la motivazione come presidio di legalità, La gazzetta degli enti locali, 13 ottobre 2021)
[1] La motivazione del provvedimento amministrativo costituisce un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti, Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2021, n. 3385.
[2] Cons. Stato, sez. V, 25 maggio 2017, n. 2457, idem TAR Lazio, Roma, sez. I, 18 dicembre 2017, n. 12441.