Va premesso che le condizioni di ammissibilità, dell’intervento nel giudizio amministrativo per la tutela del territorio e dell’ambiente, da parte di un terzo (associazione) va compiuta avendo riguardo alla posizione assunta nel sistema ordinamentale, dovendo dimostrare in via immediata il perimetro delle finalità statutarie, nel senso della produzione di effetti del provvedimento impugnato (ex art. 21 bis della Legge n. 241/1990) lesivi dello scopo istituzionale, e non nella mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati[1].
In termini diversi, l’interesse tutelato con l’intervento in giudizio deve essere comune a tutti gli associati e non siano configurabili conflitti interni che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio: la legittimazione attiva di singole associazioni o comitati, pur riconosciuta la legittimazione processuale “speciale” alle sole associazioni riconosciute, ex art. 310 D.Lgs. n. 152/2006 «Norme in materia ambientale»[2] e art. 139 D.Lgs. n. 206/2005, ha, tuttavia, riconosciuto la legittimazione attiva:
- a comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su un territorio circoscritto;
- a sodalizi che, pur se articolati, o non possiedono strutture locali, o s’incentrino in forma non occasionale su dati settori di mercato o per argomenti o esigenze consumistiche stabili, e via di seguito, purchè perseguano nel loro oggetto statutario ed in modo non occasionale obiettivi di tutela delle predette esigenze[3].
L’opzione esegetica consente di estendere la legittimazione anche agli enti non iscritti negli elenchi ministeriali, purché volti per statuto a finalità di tutela ambientale e caratterizzati da presenza sul territorio e attività non episodiche in quanto maggiormente consono al principio di sussidiarietà orizzontale, di cui agli artt. 5 comma 3 del Trattato dell’Unione e 118 Cost., per cui i pubblici poteri devono promuovere, non limitare, la spontanea iniziativa dei privati[4].
L’approdo porta a valutare positivamente l’intervento anche delle Comunità locali (rectius gli Enti locali), istituzionalmente deputate alla tutela del territorio di appartenenza, essendo il Comune, ente autonomo a fini generali, ex art. 3, comma 2, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267[5], e primo livello di allocazione delle funzioni amministrative, soggetto pubblico cui spetta, salva diversa scelta legislativa (giustificata con la necessità di assicurare l’esercizio unitario, secondo il principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, dell’art. 118, primo comma, Cost.), la ricognizione dei bisogni della collettività di riferimento e le loro qualificazioni come obiettivi di interesse pubblico da perseguire, nonché scelta delle modalità per la loro soddisfazione, compresa la dimostrazione, in relazione ad interventi che si presentassero contigui al proprio dominio, del concreto pregiudizio che la realizzazione di un intervento (ad es. realizzazione di una discarica o impianto di incenerimento) sarebbe in grado di produrre negli ambiti territoriali di rispettiva competenza, con conseguente piena legittimazione processuale[6].
Ciò posto, le Sezioni Unite Civ. della Corte di Cassazione, con la sentenza 27 agosto 2019, n. 21740, intervengono sulla legittimazione ad impugnare gli atti relativi ad una opera pubblica anche nel caso sia incontestata la prossimità (c.d. “vicinitas“) delle proprietà dei proprietari (terzi singoli), i quali agiscono a tutela del territorio, e in via strumentale alle conseguenze dannose scaturenti dalla realizzazione dell’intervento a proprio danno.
In questo caso, il requisito della vicinitas viene considerato elemento determinante e sufficiente al fine di radicare l’interesse a ricorrere avverso la realizzazione dell’opera, rispetto ad un interesse collettivo presente nelle associazioni: l’impugnazione di un terzo rispetto al provvedimento esige il requisito della vicinitas e la prova della sussistenza di un qualche pregiudizio alla posizione del ricorrente derivante dall’assetto edilizio scaturente dal provvedimento impugnato[7].
Il confinante delle aree interessate, dall’esecuzione dell’intervento, manifesta il requisito della vicinitas, ravvisabile dalla posizione differenziata, che fonda la sua legittimazione ad insorgere avverso l’intervento essendo titolare di interesse alla “non realizzazione” dell’opera[8].
Nel caso affrontato dai giudici della Corte Suprema, vede due “supercondominio” e privati cittadini impugnare innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (T.S.A.P.) un decreto col quale era stata espressa pronuncia positiva in merito alla compatibilità ambientale di un progetto di sistemazione idraulica e laminazione delle piene di un torrente, assumendo di vedersi gravemente minacciati dall’opera in progetto a causa della prossimità delle loro proprietà all’area destinata a tale intervento.
Il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione ad agire:
- mancata posizione differenziata rispetto alla collettività di cui facevano parte;
- mancata dimostrazione del pregiudizio specifico che avrebbero subito dalla realizzazione dell’opera pubblica, non essendo a tal fine sufficiente l’affermazione della vicinanza alla stessa delle loro abitazioni;
- le censure apparivano rivolte alla tutela di un interesse collettivo che spettava, però, all’Ente esponenziale della collettività di appartenenza.
La Corte in primo rilievo, dà atto della vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti al luogo dell’intervento, donde il requisito della vicinitas possa (o meno) ritenersi sufficiente a sorreggere il loro interesse al ricorso nell’ambito dell’impugnazione di un provvedimento di valutazione di impatto ambientale, quale quello oggetto di causa: l’esistenza, pertanto, di un concreto pregiudizio sufficiente ai fini della legittimazione.
Inoltre, i ricorrenti avevano denunciato:
- un rischio per la salute, riconducibile ad un interesse diffuso, derivante dalla violazione delle norme disciplinanti l’istruttoria per la tutela del diritto alla salute, contestando la trattazione della componente “salute pubblica” nel SIA (studio di impatto ambientale) e nella VIA (valutazione di impatto ambientale), che l’aveva recepito;
- le gravi condizioni delle acque e le conseguenze dannose derivanti da tale situazione, preoccupandosi di evidenziare i rischi concreti e specifici per la loro salute, dato che, vivendo a non più di 50 metri di distanza dall’intervento (vasca di laminazione), avrebbero dovuto fare i conti con acque stagnanti ed inquinate, con fanghi, sollevamenti di polvere con sostanze cancerogene, insetti ed odori.
Tutto l’impianto dei ricorrenti rendeva ben evidente la sussistenza di un loro specifico e concreto interesse alla proposizione del ricorso (ex art. 100 cod. proc. civ.: « Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse»): dunque, il ricorso risultava fondato.
I giudici della Sez. Un. Civ. della Corte di Cassazione, con la sentenza 27 agosto 2019, n. 21740, statuiscono, contrariamente a quanto ritenuto dal T.S.A.P., la presenza di entrambe le condizioni atte a fondare la legittimazione dei ricorrenti all’impugnativa:
- sia la “vicinitas”, riconducibile alla incontestata prossimità delle loro proprietà all’area del programmato intervento pubblico;
- sia l’allegazione delle conseguenze dannose scaturenti dall’attuazione dell’impugnato provvedimento.
Si chiarisce che per il requisito della “vicinitas” è sufficiente al fine di radicare l’interesse a ricorrere avverso la realizzazione di un’opera, escludendo che la legittimazione attiva possa essere subordinata alla prova puntuale della concreta pericolosità dell’opera da realizzarsi nelle vicinanze[9].
Inoltre, la possibilità di localizzare l’interesse rende ultronea la ricerca di un soggetto collettivo che assuma la titolarità della corrispondente situazione giuridica, che può, quindi, trovare, come nella fattispecie, uno o più titolari, sia nelle persone dei singoli proprietari che dei legali rappresentanti dei condomini ubicati in prossimità dell’area di intervento interessata dall’impugnato provvedimento amministrativo.
Quello che diventa determinante risulta essere il requisito incontestato della “vicinitas”: elemento «della differenziazione ad interessi qualificati in virtù delle norme costituzionali o di quelle ordinarie nella materia che qui interessa del diritto alla salute».
Il requisito della “vicinitas” produce e dimostra un interesse che non può che appartenere a tanti soggetti facenti parte di una comunità identificata «in base ad un prevalente criterio territoriale che emerge come autentica situazione giuridica tutelabile in giudizio, laddove l’attività conformativa della Pubblica Amministrazione incida su un determinato spazio territoriale, modificandone l’assetto nelle sue caratteristiche non solo urbanistiche, ma anche paesaggistiche, ecologiche e di salubrità, e venga nel contempo denunziata come foriera di rischi per la salute, diritto, questo, costituzionalmente protetto».
Per la dimostrazione del danno, che solo parte della giurisprudenza amministrativa considera necessaria ai fini della legittimazione, la Corte annota che è stato dimostrato il pericolo alla salute e dell’ambiente dalla produzione della documentazione tecnica (elementi non affrontati dalla SIA e VIA), assolvendo l’onere di allegazione dei fatti e dei documenti strumentali alla prova del danno paventato alla salute, contribuendo a far emergere, contrariamente a quanto ritenuto dal T.S.A.P., una posizione differenziata dei ricorrenti atta a consolidare la loro legittimazione attiva all’impugnazione del provvedimento amministrativo oggetto del contendere, già sufficientemente supportata dalla sussistenza del summenzionato requisito della “vicinitas”.
Il pregio della sentenza delle Sezioni Unite Civ. della Cassazione è quello di aver statuito da una parte, l’elemento territoriale della “vicinitas”, ovvero di coloro che dall’intervento ne subiscono gli effetti diretti, dall’altra parte, l’esigenza di garantire compiutamente un’istruttoria tecnica che risponda in modo puntuale agli effetti dell’intervento sulla salute e sull’ambiente, potendo anche i privati concorre a dimostrarne gli esiti se diversi.
Nel diritto d’accesso, la “vicinitas” tra la proprietà dell’istante e quella del controinteressato, delinea la posizione di quest’ultimo rispetto a quella del “quisque de populo”, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento, tale criterio è ampiamente richiamato in materia collegata all’uso del territorio, dove viene riconosciuta la legittimazione di singoli soggetti ad impugnare atti amministrativi i quali, in qualche modo, interessino l’ambiente ovvero il territorio; in queste evenienze è riconosciuta la legittimazione in base al citato criterio della c.d. vicinitas, definita in termini sintetici come «il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione» dell’intervento[10].
La partecipazione, il c.d. dibattito pubblico (ex art. 22, «Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico», del D.Lgs. n. 50/2016)[11], esigerebbe la consultazione della popolazione prima di realizzare un intervento pubblico che incida su un determinato territorio in modo rilevante.
Sarebbe auspicabile garantire – sempre e comunque – l’inserimento delle osservazioni sia dei privati che di tutti coloro che sono portatori di un interesse diffuso, comprese le istituzioni pubbliche, osservando che la “trasparenza” dovrebbe sempre essere ammessa quando un investimento pubblico possa presentare (anche a livello ipotetico o potenziale) effetti sulla salute e sull’ambiente, valori primari per uno sviluppo sostenibile e durevole, evitando al privato il ricorso alla “Giustizia”.
[1] Cons. Stato, Ad. Plen. n. 9/2015; sez. IV, 16 novembre 2011, n. 6050. Il criterio della vicinitas, talora utilizzato per individuare la differenziazione delle posizioni azionate e radicare la legittimazione dei singoli per la tutela del bene ambiente, risulta rispondente non già alla definizione della legittimazione attiva (che deriva da una posizione sostanziale in altro modo individuata), quanto più propriamente dell’interesse ad agire, Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2016, n. 3805.
[2] Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3808.
[3] Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2010 n. 6554 e 23 maggio 2011, n. 3107; sez. III, 8 agosto 2012, n. 4532.
[4] Cons. Stato, sez. V 22 marzo 2012, n. 1640 e sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4233.
[5] Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2018, n. 6644, idem Cass. Civ., sez., V, 30 ottobre 2018, n. 27572.
[6] Cons. Stato, sez. VI, 19 ottobre 2007, n. 5453.
[7] Cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 20 maggio 2019, n. 625 e 15 febbraio 2018, n. 324; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 4 maggio 2015, n. 1081; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 18 aprile 2018, n.755; Cons. Stato, sez. V, 22 novembre 2017, n. 5442.
[8] T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 7 dicembre 2018, n. 1171.
[9] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 settembre 2011, n. 5193; 13 luglio 2000, n. 3904; 27 settembre 1991, n. 1183.
[10] Cons. Stato, sez. V, 18 agosto 2010, n. 5819.
[11] Vedi, il DPCM n. 76 del 10 maggio 2018, che disciplina le modalità di svolgimento, le tipologie e le soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico, attuativo dell’articolo 22, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, nel testo modificato dall’articolo 12 del D.Lgs. n. 56/17 (primo correttivo al Codice dei contratti pubblici).