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Articolo Pubblicato il 20 Agosto, 2024

Uso improprio delle concessioni cimiteriali

Uso improprio delle concessioni cimiteriali

SOMMARIO: 1. Inquadramento. 2. Tutela esecutiva. 3. I cimiteri. 4. Il fatto. 5. I riferimenti normativi. 6. Cappelle private o gentilizie. 7. Merito.

  1. Inquadramento

In via generale, le concessioni cimiteriali disciplinano l’utilizzo di un bene demaniale e soggiacciono a regole prestabilite dal fondatore sulla possibilità di tumulazione delle salme, ripartendosi tra una durata perpetua e una durata limitata nel tempo [1], dovendo le parti (privato e PA) comportarsi secondo buona fede e correttezza [2], senza operare al di fuori delle condizioni previste nell’atto concessorio.

In effetti, la disciplina in materia di polizia mortuaria impone che ogni Comune deve avere almeno un cimitero a sistema di inumazione, al fine di ricevere i cadaveri quando non venga richiesta altra destinazione: la concessione cimiteriale disciplina l’uso del suolo (o porzione di edificio) all’interno del demanio cimiteriale, in aderenza ai sentimenti di pietas verso i defunti, che trova pronta e piena salvaguardia costituendo, la tutela del soggetto al momento del trapasso dalla vita alla morte, la proiezione dei diritti della personalità dell’individuo costituzionalmente ritenuti degni di considerazione dall’art. 2 Cost.: «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo».

Il Comune, quindi, provvederà a concedere il bene pubblico al privato mediante una concessione amministrativa (concessione – contratto) [3], traslando un vero e proprio diritto reale di proprietà superficiaria [4] produttivo di diritti soggettivi perfetti, con la conseguenza che l’atto dovrà essere registrato a determinate condizioni, ma non potrà essere trascritto, in quanto non può avverarsi una vera e propria “libera circolazione di beni” non venendo meno il carattere demaniale del bene concessionato.

Nella concessione si dovrà valutare il contenuto sulle modalità di intervento e utilizzo di quanto realizzato (tomba/cappella di famiglia o ossario/loculo), dovendo rispettare le clausole ivi inserite, pena la decadenza del titolo.

Invero, se il contratto di concessione è un contratto di durata e, come tale, non consuma i suoi effetti uno actu, trovano applicazione le normative sopravvenute che incidono sul rapporto contrattuale in base al principio tempus regit actum, dovendo considerare legittima una modifica degli effetti del contratto per effetto di una normativa sopravvenuta che non abbia inciso sulla validità del contratto ma sul rapporto [5].

  1. Tutela esecutiva

A fronte di abusi o illeciti da parte del concessionario, l’Amministrazione è autorizzata, con un proprio provvedimento autoritativo, a riacquistare la disponibilità del bene pubblico in forza dei poteri che l’ordinamento riconosce alla PA a tutela del patrimonio pubblico: il relativo potere discende dai principi generali di diritto pubblico, oltre che dalle disposizioni del codice civile che richiamano tali principi generali ove, per i beni demaniali e per quelli patrimoniali indisponibili, l’Amministrazione concedente è titolare in re ipsa del potere di imporne una gestione conforme alle regole e all’interesse pubblico [6].

L’approdo inevitabile porta alla piena legittimità di un’ordinanza di sgombero dei beni demaniali (o del patrimonio indisponibile), adottata dall’Ente locale, in autotutela esecutiva, ex art. 823 c.c., per rientrare nel relativo possesso, sia atto avente natura vincolata in ragione del perseguimento dell’interesse pubblico cui risponde l’uso del bene, e, anzi, conduce a configurare l’esercizio del potere de quo in termini di attività vincolata, in quanto volta all’immediato ripristino della condizione del bene e dell’accesso alle utilità allo stesso connesse, tanto che il provvedimento adottato può risultare adeguatamente motivato attraverso il riferimento alla mera esigenza di rientrare in possesso del bene occupato [7].

Spetta al Comune, a mente dell’art. 823, comma secondo, c.c., oltre alla facoltà di valersi dei mezzi a difesa della proprietà e del possesso ordinariamente concessi al quisque de populo, anche la facoltà di procedere in via amministrativa: la c.d. autotutela esecutiva, mantiene come unico presupposto (oltre che nel carattere demaniale od indisponibile del bene di proprietà pubblica) nell’occupazione sine titulo del bene pubblico, senza che a legittimare lo stato di fatto possa rilevare un’eventuale iniziale tolleranza in merito all’occupazione del bene, non radicando un simile contegno dell’Amministrazione alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all’occupante sine titulo.

Il potere di autotutela esecutiva ha natura doverosa e vincolata e non necessita né della preventiva comparazione con gli interessi del privato occupante, non potendosi giammai ingenerare un affidamento “legittimo” in presenza di una situazione connotata da evidente abusività, né di specifica motivazione, se non quella necessaria a dare atto dell’accertamento dell’abusiva occupazione e nei confronti del quale non è configurabile il vizio di eccesso di potere, perché l’esercizio del potere di autotutela esecutiva si giustifica unicamente in ragione della perdurante occupazione sine titulo del bene pubblico, o alternativamente un uso difforme dell’atto concessorio [8].

Di contro, l’Amministrazione si deve attenere agli obblighi previsti nella concessione cimiteriale, non potendo porre iniziative unilaterali che possano ostacolare o compromettere i diritti del concessionario.

Per completezza espositiva, il comma 1, dell’art. 35, Interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici, del DPR n. 380/2001, fermo il potere di autotutela dello Stato e degli enti pubblici territoriali, nonché quello di altri enti pubblici, previsto dalla normativa citata (vigente), stabilisce che qualora sia accertata la realizzazione di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo, rilevando che trattasi di una norma speciale rispetto a quella codicistica citata e che detta una dettagliata e specifica disciplina per gli abusi edilizi realizzati su suoli di proprietà di enti pubblici (di qualsiasi tipo, riferendosi in maniera onnicomprensiva ai «suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici», e, dunque, anche afferenti al patrimonio disponibile), imponendo l’adozione di un’ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi (atto vincolato).

La norma certifica in modo univoco che il potere/dovere repressivo, di cui all’art. 35 del DPR n. 380/2001, è alternativo – e quindi differente – rispetto ai poteri di autotutela, di cui all’art. 823, comma 2, c.c., soggiacendo per tal via a limiti e presupposti diversi, avendo tra l’altro ad oggetto tutti i beni degli enti pubblici, anche quelli del patrimonio disponibile in virtù del non chiaro dato letterale del comma 1 del citato art. 35 [9].

  1. I cimiteri

I cimiteri sono beni demaniali, ai sensi dell’art. 824, comma 2, c.c., in relazione ai quali l’uso particolare a favore di un singolo beneficiario è attribuito attraverso l’esercizio del potere concessorio.

Nelle concessioni dei beni pubblici intervengono solitamente due sequenze di atti:

  • da un lato, il provvedimento pubblicistico attraverso il quale si esercita il potere concessorio, costituendo in capo al privato un diritto che prima non esisteva, cioè nella specie il c.d. ius sepulchri, che garantisce al concessionario ampie facoltà di godimento del bene, con la conseguenza che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento [10];
  • dall’altro una convenzione bilaterale di diritto privato, finalizzata a dar assetto ai rapporti patrimoniali fra concedente e concessionario, in particolare attraverso la previsione del pagamento di un canone [11].

Il concessionario, nonostante la situazione di diritto pieno che gode verso i terzi, continua a soggiacere ai poteri regolatori e conformativi di stampo pubblicistico propri dell’Amministrazione concedente, destinati primariamente a garantire la funzionalizzazione dei beni demaniali, anche dopo l’attribuzione ai singoli del c.d. uso particolare, al soddisfacimento del pubblico interesse [12].

  1. Il fatto

La sez. III Bari, del TAR Puglia, con la sentenza 19 luglio 2024, n. 878, interviene per definire i poteri del Comune in materia di gestione cimiteriali, nello specifico delle estumulazioni e del rapporto tra l’Amministrazione concedente dei beni e i privati concessionari.

La parte ricorrente, familiare ed erede diretto del concessionario di una cappella di famiglia, ricorre a fronte del silenzio dell’Amministrazione comunale nel rendere conto di un’avvenuta tumulazione di salme di persone estranee alla famiglia del concessionario, chiedendo (inutilmente) di provvedere all’estumulazione, in coerenza con la concessione cimiteriale che impone l’«assoluto divieto di tumulare persone estranee alla famiglia».

Seguiva ricorso avverso il silenzio inadempimento, successivo ricorso avverso l’atto dell’Amministrazione con la quale si manifestava l’acquisita autorizzazione da parte dei titolari della concessione, ossia la facoltà di tumulare altre salme in presenza di alcune circostanze (conviventi o salme di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei confronti dei concessionari).

  1. I riferimenti normativi

Il ricorso viene ritenuto fondato, annullati gli atti, con condanna dell’Amministrazione civica alle spese.

Il GA, prima di giungere alla decisione, si occupa di fornire un inquadramento giuridico della disciplina del demanio cimiteriale, di polizia mortuaria e di autotutela-polizia demaniale:

  • il cimitero comunale è bene demaniale (ex 824 c.c.);
  • il connaturato carattere della inalienabilità del bene demaniale impone che i possibili utilizzi «non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano» (ex 823, comma 1°, c.c.);
  • spetta all’Autorità amministrativa la tutela dei beni, che fanno parte del demanio, anche a mezzo di poteri di polizia demaniale (ex 823, comma 2° c.c.), atti a garantire il corretto uso degli stessi, mediante l’intimazione di ordini o di divieti e, se del caso, di autotutela, idonei a darne esecuzione coattiva, anche in danno dei soggetti inottemperanti;
  • l’uso non diretto del bene demaniale è possibile, per principio generale, solo in via d’eccezione e previa concessione, alla stregua della legge vigente, nella quale sono stabiliti, in modo tassativo, modalità e limitazioni, che consentono, per l’appunto, il c.d. uso eccezionale del demanio;
  • la manutenzione, l’ordine e la vigilanza sanitaria dei cimiteri sono di competenza del Sindaco (ex 51 del DPR 10 settembre 1990, n. 285; nello stesso senso disponevano pure i previgenti DPR 21 ottobre 1975, n. 803, e RD 21 dicembre 1942, n. 1880);
  • la disciplina regionale prevedeva che «Il comune vigila sulla correttezza dell’esercizio dell’attività funebre»;
  • la concessione di un’area cimiteriale è, come tutte le concessioni amministrative, un atto che conferisce una posizione giuridica soggettiva predeterminata nel contenuto, che si atteggia a diritto nei confronti dei soggetti privati terzi, ma anche nei riguardi della PA [13];
  • la concessione di aree cimiteriali consta di un atto amministrativo unilaterale, con cui la Pubblica Amministrazione delibera di concedere l’area al privato, unito ad un coevo contratto, con cui si stabiliscono le condizioni della concessione e dal quale scaturiscono reciproci diritti e obblighi reciproci.

Si desume che nel nostro ordinamento il diritto sul sepolcro già costituito nasce da una concessione da parte dell’Autorità amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale e tale concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o mortis causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che comporta posizioni di interesse legittimo nei confronti della Pubblica Amministrazione nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero impongono o consigliano alla PA stessa il potere di esercitare la revoca della concessione [14].

  1. Cappelle private o gentilizie

La disciplina di riferimento (ex DPR n. 285 del 1990) prevede la possibilità di edificare «cappelle private o gentilizie» previa concessione nella quale sono inseriti diritti e obblighi, con la possibilità, per il Comune, di concedere a privati l’uso di aree per la costruzione di sepolture (a sistema di tumulazione individuale) “per famiglie”, con il divieto di farne oggetto di lucro e di speculazione.

Gli appellativi di cappelle “private” o “famigliari” o “gentilizie” si caratterizzano per essere delle edificazioni sul cimitero demaniale in favore di soggetti privati, volte essenzialmente ad accogliere le spoglie di coloro che siano appartenuti alla “familia” o alla “gens”, ossia in senso generale ai discendenti o ai parenti di una famiglia legata ad un antenato comune, al fine di serbare il culto dei defunti, che sono appartenuti appunto ad un’unica famiglia.

In particolare, quello che caratterizza la «cappella» di famiglia o gentilizia è la destinazione imposta dal fondatore – sulla scorta della tradizione romanistica e del diritto intermedio – a persone legate fra loro da rapporti di sangue o di affinità, sicché in assenza di una volontà espressa del fondatore, la cappella si presume familiare o gentilizia e riservata in primis ai familiari più prossimi e, via via, agli altri (di generazione in generazione, nell’ambito della conservazione delle spoglie di una “familia”): una individuazione ex lege dei titolari del diritto d’uso del sepolcro, secondo le norme civilistiche e penali, da includere anche «le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi».

Il diritto di sepolcro nella cappella di famiglia si risolve, dunque, nella deposizione della salma e si estingue, per tutti, o con l’esaurimento della cerchia familiare, tenuto conto del termine di scadenza della concessione, o con l’esaurimento della capienza del sepolcro, quale stabilita nell’atto di approvazione del progetto o inserita nella concessione del bene.

Dopo la morte del concessionario, il sepolcro «familiare» viene ereditato dai membri della famiglia del defunto, intesa l’espressione in senso molto ristretto, quali il coniuge e i discendenti e ascendenti in linea retta, spettando il diritto solo a tali soggetti non tanto in quanto eredi, ma in quanto familiari del defunto: è esclusa – per principio – la commercializzazione [15] del diritto, esprimendo appieno un valore intrinseco del bene funzionale ad assolvere un’esigenza personale di cura del defunto e della stirpe, quell’insieme di relazioni e nucleo di interessi personali, legati da forti/intensi vincoli che esigono tutela della pietà (latina) verso i familiari (quel rispetto e devozione d’animo verso i propri defunti).

  1. Merito

La lettura delle norme, le linee ermeneutiche generali, postulano che l’utilizzo del bene demaniale viene regolamentato all’interno dell’atto di concessione cimiteriale, il cui contenuto è precettivo per le parti, nel senso che l’utilizzo del bene deve avvenire secondo le indicazioni ivi previste, non potendo l’Amministrazione operare al di fuori dell’atto concessorio, ovvero senza il consenso espresso dal concessionario qualora intenda operare in modo difforme.

La disciplina normativa e regolamentare pone la regola per la quale le cappelle private sono ad uso esclusivo della famiglia del concessionario (e di coloro cui in via ereditaria e sempreché appartengano alla stessa famiglia competa lo ius sepulchri), salvo che l’atto di concessione non contempli dunque altra disposizione più estensiva.

In assenza di un uso diverso previsto (autorizzato) in concessione, all’Amministrazione è precluso un uso proprio (per la tumulazione di terzi) contrario alla destinazione imposta dal fondatore e suoi eredi (i titolari della concessione cimiteriale), rendendo del tutto illegittima la sepoltura di soggetti estranei alla famiglia: un divieto assoluto.

Il GA a rafforzare il merito, osserva – in linea generale – che un simile assetto normativo è quello di consueto rintracciabile nei regolamenti di polizia mortuaria di molti comuni, volti ad assegnare all’atto di concessione-contratto la disciplina in concreto della possibile fruizione della c.d. cappella gentilizia o di famiglia: l’atto di concessione costituisce la fonte di riferimento capace di stabilire quali siano i confini dei possibili utilizzi delle cappelle de quibus, nei limiti temporali di validità della stessa concessione, escludendo in radice ogni forma, anche indiretta, di commercializzazione.

Ciò posto, viene chiarito la non ammissibilità dell’inerzia dell’Amministrazione di tollerare un uso difforme rispetto alla disciplina di riferimento, a fronte di segnalazione o di denunce di privati: la comunicazione dell’uso non corrispondente all’atto di concessione obbliga l’Amministrazione ad intervenire con i poteri di vigilanza e sanzionatori (quelli di Polizia demaniale/mortuaria o di autotutela esecutiva), non potendo – senza il consenso del concessionario – inserire nelle tombe salme non legate da alcun vincolo familiare o di convivenza con il concessionario.

Alla luce dell’impianto normativo e dell’esegesi interpretativa, si deve ritenere legittima la revoca in autotutela di una concessione cimiteriale, che sia motivata con riferimento alla presenza nella cappella gentilizia di defunti non legati al concessionario da rapporti di parentela e di sepolture in numero superiore a quelle autorizzabili, neppure si potrebbe rendere lecito una tumulazione, da parte del Comune, di salme estranee ai titolari della concessione, senza la presenza di una manifestazione certa (veritiera) di assenso [16].

Estratto, LexItalia.it, 9 agosto 2024