Nella nuova visione del diritto di accesso, sul modello freedom of information act (cd. F.O.I.A.), avvenuta dall’approvazione del d.lgs. n. 97/2016 che ha riscritto l’art. 5 “accesso civico ai dati e documenti” del d.lgs. n. 33/2013, il titolo di legittimazione è alla base dell’istanza ostensiva: il soggetto richiedente non deve dimostrare alcun interesse qualificato e non deve motivare la sua pretesa informativa (full disclosure), essendo tale diritto di libertà riconosciuto a “chiunque”, senza limiti oggettivi e soggettivi.
Il diritto di accesso, nella sua forma di diritto di “accesso civico” non esige alcuna registrazione perché la sua natura si fonda sulla volontà di garantire un controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena partecipazione alla realizzazione del principio “trasparenza” (right to know), assolvendo, diversamente dal diritto di accesso, di cui alla legge n. 241/1990, il reclamo collettivo di conoscere le modalità di utilizzo delle risorse pubbliche e, più in generale, l’attività e l’organizzazione della pubblica amministrazione (P.A.), anche in funzione di misura di contrasto e prevenzione della corruzione.
Con l’accesso civico chiunque ha il “potere” di controllare democraticamente la conformità dell’attività dell’amministrazione pubblica, determinando anche una maggiore responsabilizzazione di coloro che ricoprono ruoli strategici al suo interno, soprattutto nelle aree più sensibili al rischio corruzione, così come individuate dalla legge n. 190 del 2012.
Appare subito evidente che l’accesso civico si collega ad un diritto soggettivo, riconosciuto ex ante dal legislatore, connesso con l’imparzialità e la trasparenza della condotta pubblica, elementi necessari e valori primari dell’agire pubblico, in aderenza ai principi costituzionali di eguaglianza e buona amministrazione (ex artt. 3 e 97 Cost.), in un rapporto di collaborazione e fiducia tra P.A. e cittadino, dove l’esercizio della discrezionalità amministrativa deve sempre poter essere valutato nella sua aderenza con l’interesse pubblico, sia nell’attività organizzativa del potere che in quella eminentemente pratica del comportamento assunto, anche attraverso i propri atti o provvedimenti.
Se con l’accesso civico, nelle sue dimensioni generalizzato o semplice, è proiettato a salvaguardare il favor per la trasparenza totale, che diviene la regola, temperata solo dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi (superiori o pubblici o privati, ex art. 5 bis del d.lgs. n. 33/2013) che possono essere lesi/pregiudicati dalla rivelazione di certe informazioni, è altrettanto vero che l’accesso documentale presenta una forza maggiore rispetto all’accesso civico: in presenza di un diniego di accesso documentale è, di converso, inutile sopperire con l’accesso civico.
Le nuove disposizioni sul cd. accesso civico in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni, da parte delle pubbliche amministrazioni, disciplinano situazioni non ampliative né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990: col citato d.lgs. n. 33/2013, infatti, si intende procedere al riordino della disciplina, intesa ad assicurare a tutti i cittadini la più ampia accessibilità alle informazioni, concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni: l’accesso ai documenti amministrativi, disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990, è riferito, invece, al “diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi”, intendendosi per “interessati tutti i soggetti che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, in funzione di tale interesse, la domanda di accesso deve essere opportunamente motivata.
In relazione al quadro delineato, l’acceso documentale della legge n. 241/1990 ha forma e forza distinta rispetto all’accesso civico, e deve presentare – in capo al richiedente – un interesse qualificato rispetto al diritto di accesso civico, quest’ultimo svolge una funzione informativa per gli atti da pubblicare obbligatoriamente (stabiliti dalle norme del d.lgs. n. 33/2013, si tratta dell’accesso civico semplice) e conoscitiva, per quelli la cui pubblicazione non sia prevista (il cd. accesso generalizzato), ma – in ogni caso – non può sostituire l’accesso documentale (quello della legge n. 241/1990), anche se la sovrapposizione tra i due accessi sono molte e non di immediata distinzione.
Va aggiunto che l’accesso non può riguardare documenti allo stato non esistenti e da formare per dare risposta alla richiesta ostensiva: oggetto dell’accesso sono i documenti amministrativi e non generiche informazioni sull’attività della p.a. (salvo il caso del diritto di accesso generalizzato), anche se ogni richiesta di accesso non deve indicare in modo puntuale i documenti oggetto dell’istanza, in quanto molto spesso il privato non conosce in quali documenti sono contenute le informazioni che richiede, spettando, quindi, all’amministrazione individuare in quali documenti siano presenti le informazioni richieste nel caso in cui sussistano i presupposti per consentire l’accesso.
Ciò posto, il possesso del titolo di legittimazione è il differenziale rispetto ad ogni forma di accesso, con il corollario che in presenza dell’interesse qualificato non occorre altra dimostrazione, indipendentemente dalla qualificazione o dall’inquadramento voluto dalla parte richiedente o dall’amministrazione.
In ambito edilizio (come pure in quello urbanistico), questo comporta un effettivo accesso al procedimento e alla documentazione allegata, non potendo anteporre ragioni di riservatezza o limitazioni individuate dall’accesso civico (ex art. 5 bis del d.lgs. n. 33/2013): il secondo comma prevede espressamente che l’accesso generalizzato (quello dell’articolo 5, comma 2) è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
- la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
- la libertà e la segretezza della corrispondenza;
- gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.
Appare evidente che la protezione di tali interessi priverebbe il richiedente di tutta una serie di documenti utili per verificare il corretto operato di un terzo, qualora intenda iniziare un’attività in un determinato ambito o in un determinato territorio, sia mediante un provvedimento che mediante una dichiarazione inizio lavori (Dia), una segnalazione certificata inizio lavori (Scia), una comunicazione inizio lavori (Cil), una comunicazione inizio lavori asseverata (Cila).
In realtà, quando l’intervento richiesto da un terzo si pone in stabile collegamento giuridico con il territorio circostante o incida gli interessi di un soggetto e/o più soggetti che convivono in prossimità dell’intervento assentito o che operano nel medesimo ambito operativo, sussiste il requisito della vicinanza, idoneo a legittimare l’accesso procedimentale o difensionale: il proprietario di una abitazione posta a poca distanza (inferiore a mt. 10) da un traliccio dell’alta tensione, di proprietà di un gestore della rete elettrica, ha diritto di accedere, ex artt. 22 e segg. della legge n. 241 del 1990, agli atti relativi ad un sopralluogo effettuato dal gestore medesimo, presso il suddetto traliccio, allo scopo di verificare l’esposizione dell’immobile ai campi elettromagnetici.
Quando è presente la cd. “vicinitas” tra la proprietà del soggetto che interviene e quella del controinteressato, la posizione di quest’ultimo rispetto a quella del “quisque de populo”, corrisponde ad una situazione giuridicamente tutelata, è da consistenza alla legittimazione.
Il criterio della vicinitas è ampiamente richiamato in materia collegata all’uso del territorio, dove viene riconosciuta la legittimazione di singoli soggetti e/o gruppi a partecipare al procedimento e ad impugnare gli atti amministrativi o i comportamenti assunti a tutela dei propri interessi, essendo riconosciuta la titolarità dell’azione in base al citato criterio del “collegamento abitualmente” in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell’intervento o dell’attività, anche solo a livello di indizio.
Oltre alla legittimazione vi è anche l’interesse sotto il profilo processuale necessario per adire alla tutela giurisdizionale potendo derivare all’attore una qualche concreta utilità, sotto il profilo di un vantaggio sperato, ovvero di un danno evitato.
È utile ribadire che, in base ai principi generalmente affermati in materia, l’azione proposta innanzi al giudice amministrativo è subordinata alla sussistenza di tre condizioni:
- la titolarità di una posizione giuridica, in astratto configurabile come interesse legittimo, inteso come posizione qualificata – di tipo oppositivo o pretensivo – che distingue il soggetto dal quisque de populo in rapporto all’esercizio dell’azione amministrativa;
- l’interesse ad agire, ovvero la concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto;
- la legittimazione attiva o passiva di chi agisce o resiste in giudizio, in quanto titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo.
Nei termini sopra sintetizzati, la proposizione dell’azione, nell’ambito del processo amministrativo, presuppone l’accertamento:
sia dell’astratta legittimazione ad causam (da intendere come titolarità della situazione soggettiva protetta, nell’ambito dello specifico rapporto, posto a base del giudizio);
sia della concreta finalizzazione del giudizio al perseguimento del bene della vita, inibito o compromesso dal provvedimento impugnato (cd. legitimatio ad processum, intesa come presupposto per poter esercitare, in modo valido, i propri diritti o interessi protetti sul piano processuale.
Per pacifica giurisprudenza la legittimazione dei soggetti terzi, non direttamente destinatari del provvedimento, è riconosciuta nel settore in questione in base al criterio cd. della vicinitas, ovvero in caso di “stabile collegamento” materiale tra l’immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori, quando questi ultimi comportino contra legem un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio.
I proprietari di immobili in zone “confinanti o limitrofe” con quelle interessate da un intervento edilizio/urbanistico sono sempre legittimati ad impugnare i titoli rilasciati che possono pregiudicare la loro posizione per i riflessi sulle condizioni delle aree di proprietà e, più in generale, per le modifiche all’assetto edilizio, urbanistico ed ambientale della zona ove sono ricompresi gli immobili di cui hanno la disponibilità, senza che sia necessaria la prova di un danno specifico, essendo insito nella violazione edilizia il danno a tutti i membri di quella collettività.
La seconda sezione quater, del T.A.R. Lazio – Roma con la sentenza n. 2025 del 6 febbraio 2017, interviene sulla richiesta denegata per silentium di accesso ai documenti (caso di specie, permessi di costruire, atto di cessione e fideiussioni) da parte di alcuni proprietari di immobili adiacenti ad un intervento edilizio in corso di realizzazione.
Il Tribunale dichiara la sussistenza della legittimazione e dell’interesse dei ricorrenti a chiedere e a ottenere l’accesso alla documentazione in considerazione della natura della situazione azionata in giudizio.
Come riferito ut supra, viene precisato che, nel giudizio sull’accesso, il giudice amministrativo deve limitarsi a rilevare la sussistenza di un’esigenza di tutela che non sia manifestamente pretestuosa o priva di qualsivoglia nesso con il contenuto dei documenti richiesti: ai fini dell’esercizio del diritto di accesso in materia edilizia, è sufficiente il requisito della vicinitas, che sussiste in capo al confinante ma anche al frontista e a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la zona in cui si trova l’edificio.
(Estratto, Il criterio della vicinanza, l’accesso documentale e l’accesso generalizzato in ambito edilizio, urbanistico, L’Ufficio tecnico, 2017, n. 5)